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Benjamin Fox-McClan - Hogwarts, 2023

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    C’erano volte in cui Norman Fox non aveva la più pallida idea di chi fosse. Certo, doveva essere piuttosto normale all’età di diciassette anni - vero? - ma il fatto era che la sensazione di spaesamento che provava da ormai un anno o due non faceva che aumentare ed aumentare, a mano a mano che lui cresceva. Andava e veniva, ma la frequenza e l’intensità erano sempre più forti. Del tipo… del tipo che certe volte non aveva voglia di vedere i suoi amici, anche se aveva sempre fatto a gara per essere sotto i riflettori. Del tipo che preferiva passare il pomeriggio da solo a scrivere poesie, alle volte, al solo scopo di rendersi conto di non esserne affatto in grado. Si metteva a disegnare stupidi fumetti e ragazzini innamorati, fantasticava su come sarebbe stato poter vivere per davvero le storie che immaginava e che trasponeva su carta, e sentiva lo stomaco avvilupparsi e la trachea stringersi penosamente. Alle volte non toccava cibo per tutto il giorno, il corpo pervaso da un fastidioso formicolio, dalla sensazione pressante che avrebbe dovuto fare qualcosa, senza però avere la minima idea di cosa. Come sbrogliare la matassa intricata dei suoi pensieri, quando non sapeva nemmeno dove essa cominciasse? Tirare un filo equivaleva solo a creare altri nodi, per cui… per cui era meglio ignorarla, fingere che non esistesse, e concentrarsi sulle cose che sapeva, su quelle che lo definivano come persona. I suoi amici, ad esempio. Malco, Jo, Morwen. La sua… ragazza? No, non avrebbe definito Selene la sua ragazza. Era… una ragazza, a volte uscivano, un’ora o due al massimo, i momenti di silenzio superavano quelli di conversazione. Selene si ostinava a baciarlo e lui la lasciava fare, immaginando che fosse giusto così. Doveva esserlo, no? Tutti i suoi compagni di classe avevano una ragazza ormai, e tutti avevano avuto almeno una storia. Non riusciva a fare a meno di chiedersi, però, se anche loro non provassero niente, quando baciavano le loro ragazze. Se fosse normale.
    Non pensava che fosse normale, lo sapeva. Non osava trascinare quel pensiero spaventoso fuori dal subconscio, però, né avrebbe mai affrontato l’argomento con qualcuno. Se Selene avesse avuto anche solo una vaga idea di quello che Norman non provava, l’avrebbe lasciato immediatamente, e lui non avrebbe più avuto alcuna scusa per non pensare a… beh, per non pensare al motivo persona per cui si sentiva costantemente frustrato, confuso, speranzoso, irritabile, stanco, insicuro, impaziente, innamorato.
    Innamorato? Innamorato. Probabilmente. Il fatto era che non ne aveva idea, non capiva più niente, ma ogni volta che vedeva Benjamin McClan il suo stomaco faceva una capriola e lui aveva come la sensazione che tutti i suoi muscoli lo abbandonassero, almeno per un istante o due. Era così difficile. Frustrante. Ogni volta che cercava di avvicinarsi a lui sbagliava qualcosa, e non era nemmeno sicuro che fargli sapere cosa provasse sarebbe stata la cosa giusta, quindi finiva sempre che faceva più casino di quanto avrebbe fatto standosene fermo, e Benjamin probabilmente lo detestava ogni volta un po’ più della precedente. Che poi… che poi, nell’assurda linea spazio-temporale in cui anche Benjamin avesse ricambiato, cosa sarebbe successo? Norman non pensava avrebbe avuto davvero il coraggio di… il coraggio di far sapere a tutti come stessero le cose. Non aveva alcuna intenzione di trovarsi a dover affrontare un altro Bob Marshall, o due o tre assieme, e comunque il suo patrigno era stato chiaro riguardo a cosa lui fosse ed a cosa non avrebbe mai dovuto essere, per cui, forse era meglio così.
    Era meglio così.

    Era sabato pomeriggio e tutti i suoi amici si trovavano a Hogsmeade, assieme a… beh, a tutta la scuola. Lui no. Lui era in uno di quei giorni, quel sabato, ed aveva deciso di non usufruire del fine settimana che la scuola metteva loro a disposizione per poter vedere un posto che non fossero le Sale Comuni, per una dannata volta, perché non aveva voglia né intenzione di stare in mezzo alla gente. La sua testa faceva troppo rumore anche da sola, e lui aveva bisogno di silenzio. Era per quel motivo che, decisamente più sereno rispetto a quella mattina, Norman Fox stava camminando spedito in direzione del Bagno dei Prefetti. Non ci sarebbe stato nessuno oltre a lui, ed allora avrebbe potuto davvero passare un paio d’ore in tranquillità, in ammollo nell’acqua calda e profumata. Non aveva mai rivelato la parola d’ordine nemmeno a Selene, nonostante lei avesse spesso insistito: Norman voleva che quello rimanesse un luogo sicuro. Pensò, in quel momento, che un desiderio simile la diceva lunga su quanto avrebbe dovuto troncare immediatamente quella relazione. Di nuovo, scosse il capo e non diede ascolto ai suoi pensieri, prima di pronunciare la parola d’ordine e varcare la soglia del suo luogo sicuro.

    Non si rese subito conto di non essere solo. Certo, avrebbe dovuto essere solo, per questo, sovrappensiero, si era tolto subito la maglietta e le scarpe, ma una volta giunto nei pressi dell’enorme vasca che rendeva quel bagno tanto famoso tra gli studenti di Hogwarts, gli occhi verdi di Norman Fox si incastrarono su un dettaglio che mai, per nessun motivo al mondo, avrebbe
    avuto modo di prevedere. Lo studente intento a fare il bagno in quella vasca era Benjamin McClan. Il naturale scorrere del tempo si congelò per un attimo, mentre gli sguardi dei due ragazzi si incrociavano a mezz’aria, tra le piastrelle fredde su cui si trovavano i piedi nudi di Norman, ed i fumi dell’acqua tiepida nella quale, immobile, stava Benjamin. E pensare che era andato lì proprio per non rimuginare su di lui.
    Deglutì un groppo che si era fatto grande come un rospo, Norman, prima di riuscire a riacquisire il suo solito, infallibile autocontrollo, condito dell’aria frizzantina che rendeva la sua aura luminosa e persino brillante.
    - McClan. - Esordì il Caposcuola. Cercò di non pensare a quanto l’altro fosse svestito, sebbene le bolle e la schiuma lasciassero intravedere poco o nulla, e si costrinse a non lasciare che i suoi occhi si spostassero verso il basso o indugiassero troppo su ciò che si vedeva delle sue braccia. Distolse del tutto lo sguardo, pur di non tradirsi, sperando con tutto sé stesso di non essere arrossito. Avrebbe dato la colpa al caldo che c'era lì dentro, in quel caso.
    Le falangi pallide e sottili, dapprima lungo i fianchi snelli, slacciarono il bottone dei pantaloni, di cui Norman si liberò in pochi istanti. Non si era spostato da lì, e sapeva che Benjamin lo stesse guardando. Sapeva anche che sarebbe stato meglio andarsene, passare il pomeriggio al lago, magari, sicuramente non lì, ma vi era nella sua testa una voce che lo spingeva a provare. A provocare. A vedere fino a che punto sarebbe riuscito a spingersi, a scoprire cosa sarebbe successo e come sarebbe stato, avvicinarsi tanto a Benjamin McClan. In fondo, sapeva di aver bisogno di risposte.
    Vestito solo dei boxer, Norman non si prese la briga di piegare i pantaloni e di sistemarli ordinatamente di lato, quando mosse un primo passo nell’acqua. Tiepida ed avvolgente, sapeva di lavanda e di incenso. Egli lasciava che avviluppasse le sue gambe a mano a mano che scendeva la breve scala che l’avrebbe portato alla stessa altezza del compagno di scuola. Si premurò di rimanere a distanza di sicurezza: un paio di metri, la giusta via di mezzo per riuscire a parlare con lui pur eliminando alla radice la tentazione di farglisi eccessivamente vicino, o addirittura di lasciar scivolare la mano sulla sua pelle.
    - Chi è il collega che ha fatto la spia? - Domandò, candido, rivolgendogli un sorriso di sottecchi mentre appoggiava entrambi i gomiti al bordo della vasca. Tentò di ignorare il moto di fastidio che contrasse le sue viscere quando pensò a chi avesse potuto condividere con Benjamin la parola d’ordine per il Bagno dei Prefetti, e soprattutto il motivo per cui, chiunque fosse stato, avrebbe dovuto farlo. Se lui si trovava lì, significava che c’era già stato? Con chi?
     
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    Per un attimo aveva pensato di essere stato preso in giro, o che magari la parola d’ordine fosse datata. Era rimasto davanti alla porta così a lungo che, quando questa si era finalmente aperta, il sospiro che aveva rilasciato era giunto tremante alle sue orecchie, così come tremanti erano i suoi polmoni, forzati fin troppo in una tediosa apnea. Non aveva fatto a posta a trattenere il respiro, ma si era sentito talmente ridicolo e teso da non poter fare altrimenti: si stava intrufolando nel Bagno dei Prefetti senza essere un Prefetto, un Caposcuola oppure il Capitano della Squadra di Quidditch. Ed anche se tutta la scuola pareva essere scappata ad Hogsmeade o perlomeno al Lago Nero per godersi quella bella giornata, Benjamin era comunque irrequieto, preoccupato del fatto che qualcuno avrebbe potuto sorprenderlo con le mani nel sacco… anche se, tecnicamente, era stato invitato ed il biglietto che stringeva tra le mani avrebbe potuto confermarlo.
    In tutta onestà, McClan non conosceva Eileen Petersen. Di lei sapeva che fosse la Prefetto di Tassorosso, che avesse i capelli rossi e che una volta l’avesse aiutata a rialzarsi da terra, dopo che una ragazza le aveva fatto cadere i libri di mano, portandola ad incespicare nei propri piedi. In quel momento Benjamin non l’aveva degnata che di uno sguardo, ma la sua gentilezza non era passata inosservata e ben presto un gufo era giunto al tavolo di Grifondoro, a colazione, portandogli una lettera di ringraziamento molto… accalorata, insieme alle indicazioni per raggiungere il Bagno dei Prefetti, situato al quinto piano, un certo giorno ad un orario preciso. Il luogo in sé non era una leggenda, però il ragazzino non poteva vantare di conoscerne la parola d’ordine, perché non era amico di nessuno d’importante e non era mai stato invitato ad una festa clandestina lì dentro, seppur ne fossero state organizzate molte ed anche i più giovani fossero stati chiamati a prendere parte al divertimento. Lui di anni ne aveva ormai quasi diciassette.
    Meglio tardi, che mai.
    Non era esattamente entusiasta, però, del fatto che Eileen Petersen si fosse presa una cotta per lui. Era da qualche tempo che era consapevole di non poterla ricambiare, ormai più che certo di non provare attrazione per le ragazze, ed il solo pensiero di cosa la Prefetto volesse fare all’interno del bagno era bastata a mandargli degli spiacevoli brividi lungo la schiena. Così, McClan aveva fatto la cosa più saggia: aveva risposto che avesse già una ragazza e che, per quanto lusingato, non potesse accettare l’offerta di Eileen. Aveva poi conservato il biglietto con le istruzioni, senza essere particolarmente stupito dell’ingenuità dei Tassorosso, ed aveva deciso di andare nel Bagno dei Prefetti da solo, lontano dalla data dell’appuntamento e solamente per dare un’occhiata ad una delle stanze del Castello che altrimenti non avrebbe mai avuto il piacere di vedere.

    La stanza era completamente di marmo bianco, dal soffitto al pavimento, ed era illuminata gentilmente da un grosso candeliere. La vasca da bagno incassata nelle piastrelle era della dimensione di una piscina, così grande da poterci nuotare, ed i rubinetti dorati sui bordi mandavano un balugino invitante, ognuno con una grossa pietra colorata nel pomolo. Era sicuramente il bagno più bello che avesse mai visto, ed era davvero un peccato che fosse vuoto. Timidamente scrutò l’unico quadro appeso alle pareti, una splendida sirena dormiente, e, vedendo che questa non si muovesse, cominciò ad agitarsi sulle piante dei propri piedi, incapace di stare fermo e di fissare un unico punto. C’erano asciugamani puliti, addirittura un trampolino. E nessuno sarebbe tornato a scuola prima… delle sei di sera, almeno. Aveva tutte quelle ore da perdere ed era più che certo che non avrebbe mai più avuto un’occasione simile. Non si illudeva del fatto che sarebbe diventato Caposcuola, non piaceva a Carondell quanto non piaceva a sé stesso; era troppo irruente, attaccabrighe. Aveva perso troppi punti per via dei suoi comportamenti, delle risse e gli insulti, e non era nemmeno riuscito a sostenere il provino per la squadra di Quidditch. Non sarebbe mai stato ricordato negli annali di Hogwarts e se mai l’avessero sorpreso lì, Benjamin avrebbe detto la verità: i Tassorosso sono brillanti quanto i Troll, è colpa loro.

    Da lì ci aveva messo poco a spogliarsi e decidersi a riempire la vasca. Aveva giocato con i rubinetti fino allo sfinimento dopo che, senza esitare, si era calato nella piscina non appena l’acqua si era fatta abbastanza alta. Accolto dal tepore, aveva lasciato che nubi violette, dall’intenso aroma d’incenso, si sprigionassero da un lavandino a sinistra. Aveva poi scelto la schiuma, candida e densa, ed anche un gel color lavanda.
    Era rimasto con la testa abbandonata tra le bollicine, il corpo in totale relax, ed aveva respirato e basta, con gli occhi chiusi e la mente che vagava.
    Si rese conto tardi del suono della porta che si chiudeva, dei movimenti provocati da qualcuno che si stava spogliando.
    Decise di restare immobile, cercare di giustificarsi solo se pressato. Tante persone dovevano conoscere la parola d’ordine, no? Benjamin si sarebbe difeso, dicendo di essere uno dei tanti. Oppure, avrebbe tenuto la testa sott’acqua finché la persona sconosciuta non gli avesse le dato le spalle, poi…

    Norman Marshall entrò nel suo campo visivo e sentì la gola, d’improvviso, farsi arida. Il suo battito cardiaco raddoppiò, minacciando di sfondargli lo sterno, e le sue iridi si fecero grandi e colpevoli. Era senza parole e non aiutava assolutamente che il Caposcuola fosse senza maglietta, la pelle candida ed un accenno di muscoli sotto allo sterno, lo stomaco glabro, la sottile linea che conduceva al di sotto dei pantaloni ancora indossati. Sapendo di essere arrossito vistosamente, distolse lo sguardo. Faceva caldo, in quella vasca.
    - … Hey. -

    Si rialza da terra, sputa un fiotto di sangue. La lingua passa sui denti: niente di rotto, neanche una scheggia. Dev’essere il labbro ad essersi spaccato, per l’ennesima volta, e Benjamin ghigna, aldilà di una ciocca che gli è scivolata su un occhio. Thomas Doyle pare soddisfatto di sé stesso, l’idiota, ma non è divertito. Ha un’espressione indecifrabile, a metà tra il pietoso e lo schifato. Lo guarda come se Benjamin fosse talmente rivoltante da non poter credere alla sua esistenza. McClan ne è contento.
    - Allora, frocio? Lo ammetti? -
    Thomas Doyle gli ha fatto questa domanda per l’ultima mezz’ora. Ha atteso che lo spogliatoio si svuotasse, dopo l’esercitazione di Volo, e l’ha placcato, loro due soli. Benjamin è stato un idiota a pensare che Doyle non si sarebbe vendicato della notte in cui ha sorpreso lui e Norman in Sala Comune; è stata la notte in cui Benjamin era stato sicuro che Fox l’avrebbe baciato, lì sotto al vischio, poi la magia si era rotta e da allora i suoi aguzzini paiono trovarlo ovunque sia, ovunque cerchi di nascondersi. Marshall, da quel momento, si è visto in giro solo con Selene. E Doyle non ha mancato di farglielo notare ripetutamente, con apprezzamenti volgari, battutine e gestacci. Solo con un manrovescio di Bowie la situazione si è risolta. O almeno, così sembrava.
    - Vuoi che ti dica se sono frocio? Puoi chiederlo al tuo amico, quell’Edwards, - ridacchia acerbo, tra i denti, fissando Thomas Doyle negli occhi. Carter Edwards l'ha approcciato due settimane dopo il rifiuto di Norman, quando le prime voci hanno cominciato a girare, e gli ha chiesto un appuntamento con una certa dolcezza; si sono visti di nascosto, perché Carter voleva diventare amico di Thomas Doyle e del suo gruppo. Combattendo contro ogni istinto di auto conservazione, Benjamin ci è andato, tutti i martedì. Hanno continuato ad incontrarsi per qualche tempo, poi McClan si è stufato. Si è tolto qualche curiosità, ha imparato ciò che Carter sapeva e poi l’ha piantato, stanco di immaginare capelli rossi occhi verdi mani affusolate sguardo brillante e di non riuscire a divertirsi sul serio.
    - Stai dicendo un sacco di cazzate. -
    - Sai a chi potresti chiederlo? A Dane Ellis, il Battitore di Serpeverde. -
    - Te lo stai inventando, frocio! -
    Lascia che Doyle lo attacchi ancora una volta, ed il calcio gli mozza il fiato, sgonfia i polmoni. Si piega ancora di più su sé stesso, ma non smette di ridere.
    - E sai a chi dovresti chiedere? A Norman, Norman Marshall. Il tuo Caposcuola. Quello che segui come un cagnolino e guardi con occhi adoranti… Quello che tra poco mi infilava la lingua in gola, sotto al vischio. Te lo ricordi? -
    Solo al sentir nominare Norman, Doyle si ferma. Doyle lo guarda. Farfuglia. Lo afferra per le spalle. E proprio quando sta per dire qualcosa, tremante di rabbia, Benjamin gli assesta una testata in piena fronte, mandandolo all’indietro, a sbattere contro uno dei lavandini. Si alza qualche attimo dopo, il mondo che vortica violentemente, e lo lascia lì, a tastarsi la nuca ed a piagnucolare.


    - Chi è il collega che ha fatto la spia? -

    Aveva smesso di pensare nell’istante in cui aveva notato le lunghe dita di Norman armeggiare con il bottone dei propri pantaloni. Ovviamente non aveva commentato, non gli aveva detto di andarsene, non l’aveva invitato a restare dove fosse, perché era lui ad essere nel torto ed era più che sicuro che non sarebbe riuscito ad emettere neppure un suono. Chiuse le palpebre e respirò a fondo, ascoltando l’acqua infrangersi e frusciare al passaggio del corpo del Prefetto. Era una situazione di merda. E loro due, dalla notte del vischio, non si erano più parlati. In realtà, Benjamin aveva evitato Norman come il Vaiolo di Drago, perché Doyle doveva avergli detto qualcosa. Doyle doveva aver parlato del loro incidente. Eppure, Marshall si appoggiava con agio al bordo della vasca, ogni muscolo della schiena che guizzava. Si fece ancora più piccolo contro al suo angolo, mettendo ancora più distanza tra se ed il Prefetto. D’altronde, lui il bagno lo faceva nudo.

    - Non devo andarmene? - Domandò, ed il suono che lasciò la sua gola fu timido, strozzato. Si schiarì la voce, entrambe le mani a proteggere la spalla opposta, spostando la schiuma come se McClan se ne fosse potuto vestire. Si sentiva esposto, imbarazzato. Si sentiva colpevole ed avrebbe voluto che il fondo della piscina lo inghiottisse. Aveva fantasticato così tanto, su quel ragazzo, ma Norman era perfido, noncurante e narcisista, amico di Doyle, aveva una fidanzata ed aveva giocato con lui, come aveva fatto per anni. Gli unici che sembravano desiderarlo davvero erano ben distanti da Marshall. Loro non avevano occhi cangianti ed il sorriso contagioso. Inghiottì un fiotto di saliva.

    - Non posso dirtelo, - ribatté, più serio. Poi, gli fece un sorriso amabile, quasi stucchevole. Messo all’angolo, sentì nel petto crepitare un pizzico di rabbia, che, mista all’imbarazzo, gli faceva ribollire e vibrare il sangue nelle vene. - È una ragazza. Pensava di venirci insieme a me, ma ho lasciato perdere perché, come ormai ben saprai, sono gay, omosessuale, frocio, una checca, deviato. -
    Snocciolò quei termini con agio, costruendo il suo scudo invisibile con tutti gli insulti che gli erano stati rivolti da allora, da quando Doyle li aveva visti. Da sotto le ciglia, scrutò Norman attentamente, indeciso se avvicinarsi, se restare impalato come una bestia accerchiata, capace solo di mordere ed abbaiare.
    - O almeno, Doyle dice di esserne sicuro. Se fossi in te, mi chiederei come faccia a saperlo. -
    Si abbandonò nuovamente contro alla vasca, distogliendo infine lo sguardo da Norman. Non si era neanche reso conto di averlo mantenuto fisso fino a quel momento.

    Edited by Benjamin Fox-McClan - 21/6/2022, 22:33
     
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    Il petto addossato al bordo in marmo della vasca, Norman faceva scivolare le dita sottili sul rubinetto dorato più vicino al punto in cui si trovava. Era umido di condensa, sebbene non fosse propriamente bagnato. Insisteva, nella sua testa, una vocetta fastidiosa, che ci teneva a ricordargli ogni tre per due che, a pochi metri da lui, nella stessa vasca in cui si trovava lui, c’era anche Benjamin McClan. Quello per cui aveva una cotta da anni, ormai. Quello che non avrebbe mai potuto avere. Era combattuto tra l’intenzione di riempirsi gli occhi di lui, e quella di scappare via, mettere quanta più distanza possibile tra loro, dimenticare quell’episodio. Ebbe la meglio la curiosità, infine.
    In fin dei conti, entrare in vasca per ignorarlo sarebbe stato ancora più strano. Gli dava le spalle, però. Finché fosse riuscito, avrebbe cercato di scappare come poteva. Si sentiva in trappola, e sapeva di aver serrato egli stesso le sbarre ed aver buttato la chiave. Si costrinse a respirare a fondo, e sperò che il vapore che risaliva a nuvole dalla vasca fosse una scusa sufficiente per giustificare il rossore che imporporava le sue guance.

    - Non devo andarmene? -

    Si limitò a scuotere il capo, le sopracciglia aggrottate sulla fronte. Era teso, ma doveva esserlo anche McClan, per qualche motivo. Il tono sommesso della sua voce l’aveva tradito.
    Beh, probabilmente, si disse, doveva essere perché tra tutte le persone che frequentavano Hogwarts, lui era il meno gradito. Non aveva più parlato con Benjamin McClan da dopo le vacanze di Natale, quando lo aveva quasi baciato sotto il vischio che, poi, era finito tra le fiamme del camino della Sala Comune, tra le risate di scherno di Doyle e le sue parole crudeli. In un moto di profonda vergogna e rabbia, Norman lo aveva quasi chiamato Bob, quando si era voltato ad affrontarlo. Quando aveva deciso di lasciar perdere con Benjamin McClan.
    Era piuttosto certo, a quel punto, che l’altro Grifondoro lo detestasse. Si detestava anche lui. Si rendeva conto di essere sin troppo sfuggente, incostante, uno stronzo, ma non sapeva come fare a smettere di esserlo, o anche solo… a spiegarsi. A dirgli perché facesse così. Non avrebbe mai, mai, mai potuto. Significava ammettere di essere… di essere come Bob Marshall lo aveva sempre chiamato. Poteva sentire il profondo disprezzo nella sua voce anche lì, a miglia e miglia di distanza. Un brivido lo colse e corse lungo la sua spina dorsale, ma era una sensazione che non aveva nulla a che fare con il calore dell’acqua o il freddo del marmo.

    - Non posso dirtelo -

    Ridestato dal suo groviglio spinoso di pensieri, Norman inarcò le sopracciglia e fissò il volto di Benjamin. Spaesato, dovette ripercorrere la breve conversazione che avevano avuto fino a quel momento, per ricordare cosa gli avesse chiesto.
    Ah, già. Chi era stato a rivelare la parola d’ordine.
    Ma era davvero un problema? No, certo che no. Il vero problema era che non fosse stato lui a farlo, a invitare McClan ad unirsi a lui al calar del sole, a sfuggire al coprifuoco e a farsi beffe degli insegnanti e delle regole del Castello. Sarebbe stato bello, condividere quel segreto. Solamente loro due.

    - È una ragazza. Pensava di venirci insieme a me, ma ho lasciato perdere perché, come ormai ben saprai, sono gay, omosessuale, frocio, una checca, deviato. -

    Il tono della voce di Benjamin lasciava trasparire quanto egli fosse… infastidito. Arrabbiato. Deluso, forse. Deluso da lui?
    Norman, dal canto suo, aveva aggrottato le sopracciglia ed aveva preso a rannicchiarsi nell’angolo della vasca, pelle bianca contro il marmo. C’erano troppi sentimenti che si agitavano nel suo petto, ed il cuore stringeva tanto da far male.
    Una ragazza. Una ragazza aveva invitato Benjamin nel Bagno dei Prefetti.

    Lo ha fatto una ragazza e non lo hai fatto tu.

    Certo, era ovvio: prima o poi anche gli altri avrebbero cominciato a vedere quanto Benjamin fosse bello.

    Che ti aspettavi? Che ti avrebbe rincorso per sempre fino ad obbligarti a dirgli quello che provi per lui? Lo avrebbe fatto con le cattive senza lasciarti alcuna via di fuga, e allora sì che saresti esploso e gli avresti detto tutto. Tutto.

    La gelosia immotivata che si annidava nel suo cuore bruciava come veleno. Non aveva alcun diritto di essere geloso, lui che esibiva Selene Roth come un trofeo, tra i corridoi della scuola. Non ne aveva alcun diritto, eppure avrebbe voluto forzare Benjamin a rivelargli il nome della ragazza in questione, per poterla odiare per il resto della sua vita.

    Era stato tutto il resto, però, a scatenare una reazione che Norman stava faticando parecchio a controllare. Le mani, falangi pallide nella penombra del tardo pomeriggio, si erano lentamente fatte strada sulle tempie. Erano affondate nelle ciocche fulve che, a poco a poco, avevano cominciato a scurirsi. Vedeva il nero corvino ingoiare il cremisi, attraverso le palpebre semi aperte.
    Si ritrovò a scuotere il capo, a piano, da sinistra a destra, in avanti, indietro. Inspirò a fondo. L’ossigeno crepitò come fuoco vivo nei suoi polmoni. Le narici fremettero, le labbra tremarono appena.
    Non poteva. perdere. il controllo.
    Sapeva di non avere un briciolo di speranza di poter imbrigliare la sua condizione di metamorphomagus, anche se alle volte ci riusciva. Ci stava lavorando, ecco. La maggior parte del tempo, comunque, era vestito, e non importava veramente che il suo corpo non fosse celato come avrebbe voluto, come avrebbe dovuto, al di sotto della divisa.
    Sapeva, in quel momento, che le cicatrici che si trovavano sulla sua schiena stavano minacciando di svelarsi, e quello non sarebbe mai dovuto succedere. Si lasciò inghiottire dall’acqua fino a che solo il collo e la testa rimasero fuori.
    - Non dire queste cose, ti prego. - Sussurrò, a stento.

    Serrò le palpebre per un attimo ed un lampo investì la sua intera visuale. Il dorso della mano del suo patrigno sulla guancia. Il sapore del sangue. Frocio. Il rumore della cintura che si sfilava dai passanti. Deviato. Il dolore lancinante. Metallo sulle ossa sporgenti della colonna vertebrale. Mostro. Mi fai schifo. Dovresti vergognarti.

    Inspirò a fondo, costringendosi ad abbassare le mani, ad assumere una posizione più naturale. A fingere indifferenza. Avrebbe fatto passare quell’episodio per un attacco di emicrania. Forse Benjamin non gli avrebbe creduto, ma lui avrebbe continuato a sostenere la sua versione allo sfinimento. Inspirò a piano, a fondo. Fino a quando le punte delle sue dita non smisero di agitarsi sommessamente. I capelli, però, rimasero coperti di fuliggine.
    - Io… lascia stare, okay? La metamorfomagia. E’... complicata, a volte. Ti chiedo scusa. - Ti chiedo scusa per tutto quanto.

    - O almeno, Doyle dice di esserne sicuro. Se fossi in te, mi chiederei come faccia a saperlo. -

    Un’altra pugnalata allo stomaco. I suoi organi vitali sanguinavano e lui non poteva fare nulla per fermare l'emorragia.
    Doyle aveva parlato? Aveva parlato anche di lui? Era andato a raccontare a tutti del vischio, di lui e di Benjamin? Che cazzo andava a dire, in giro, sul suo conto? Possibile che né Malco nè Jo ne sapessero nulla?
    - Doyle non capisce un cazzo. - Snocciolò, brusco. Socchiuse le labbra e prese fiato, ma non parlò. Le iridi vagarono sul volto dell’altro ma non poterono evitare di scivolare verso il basso, per un solo, fugace attimo, che però fu sufficiente a farlo avvampare in un fiotto di calore improvviso: la schiuma si stava pian piano dissipando, e la sagoma del corpo di Benjamin cominciava ad intravedersi al di sotto della superficie dell’acqua. La sua pelle sembrava così… morbida? Non lo aveva mai pensato, di quella di Selene. Avrebbe dato qualsiasi cosa per allungarsi e poterlo anche solo sfiorare.
    Distolse lo sguardo. Serrò le labbra, inspirò.
    - Senti, forse è meglio che vada. Non mi sembra una buona idea rimanere qui, è… ho sbagliato a venire qui. - Sentenziò. E fece davvero per prendere ed uscire dalla vasca, ma si rese conto ben presto di non poterlo assolutamente fare. Evitò accuratamente di guardare in basso, tra le sue stesse gambe, ma il fatto di trovarsi in acqua era, in quel momento, l’unico scudo che aveva. Se fosse uscito così, Benjamin lo avrebbe visto di sicuro. E allora lui sarebbe stato… tutto quello che Bob gli aveva sempre sputato addosso.
    Si bloccò. Inspirò a fondo, riempiendosi i polmoni, pregando di non essere arrossito, pregando che quello che era successo non fosse così palese, e tornò al posto che aveva occupato sino a quel momento, spalle contro al marmo. Deglutì. Sperò che la sua voce non uscisse tremolante dalla trachea. Sentiva l’assoluta necessità di darsi sollievo, e la consapevolezza di non poterlo fare lo rendeva nervoso ed irritabile.
    - No, sai cosa? Sono venuto per farmi un bagno, e mi farò un bagno. Tu puoi… fare finta che io non esista. Non ti darò fastidio. - Oppure potresti venire qui e farmi una-no. No.
    - Però… dovresti passarmi un po’ di sapone… il rubinetto che ho qui è quello della schiuma. Dopo, smetterò di esistere. Promesso. - E gli rivolse un sorriso fugace. Un sorriso dei suoi, di quelli brillanti, da volpe.
    Avrebbe voluto potergli sorridere così più spesso.
     
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    Era stata l’adolescenza a farlo diventare arrabbiato. Aveva sentito Diane dirlo alla madre di Kate, una sera in cui pensava che Benjamin stesse già dormendo. Credevano di essere sole, accomodate al modesto tavolo della cucina dei McClan, due dita di Whiskey Incendiario per bicchiere. La signora Evans aveva annuito gravemente dicendo che, prima o poi, anche alla sua bambina sarebbe successo. Che fosse normale. Quel tipo di incazzatura, però, non gli sarebbe mai passata, non davvero: Diane non faceva mistero delle loro precarie condizioni economiche ed, orgogliosa, rifiutava qualsiasi tipo di aiuto e supporto e Benjamin era incazzato. Lei non gli permetteva di lavorare di più, ma gli vietava anche di compare una divisa nuova, convinta di poterla sistemare da sé. Diane McClan era una testarda ed allontanava anche suo figlio. E suo figlio, da dolce ed innocente, era diventato un piccolo stronzo che le rinfacciava di non aver mai cercato suo padre per farsi dare i soldi che spettavano loro. Non si era pentito di averlo detto, ed era stata l’unica volta in cui Diane aveva alzato la voce, alzato le mani senza osare colpirlo, anche se avrebbe voluto. Gliel’aveva letto in faccia.
    Era stata l’adolescenza a renderlo aspro. Era stata la cattiveria del resto del mondo, l’ingiustizia di quella vita e della vita di sua madre. Guardava i propri libri usati, ornati di pieghe e strappi e provava schifo. Credeva di meritarsene di nuovi. Era egoista ed iracondo e quando era a casa, ad Hackney, non riusciva a non farle battutine velenose su quanto le patate, solo patate, fossero ripetitive, per cena. Su quanto avrebbe voluto del cibo vero, per una volta. Quando vedeva gli occhi lucidi di lei ed il suo volto impassibile, allora piangeva, la supplicava, ma Diane non accettava che lui facesse altro se non studiare e tenere da parte i pochi Galeoni che guadagnava durante i pomeriggi da Fortebraccio. Benjamin non riusciva a capire perché fosse tanto stupida e testarda, perché volesse sacrificarli entrambi sull’altare di un sogno che Benjamin non era neppure certo sarebbe riuscito a conquistare.

    Rabbia ed imbarazzo sfrigolavano sotto al suo petto e nelle sue viscere costantemente. Anche nella piscina del Bagno dei Prefetti, al cospetto di Norman Marshall, non poteva soffocarle. E se anni prima sarebbe stato mesto ed arrendevole, magari una battutina nevrotica per cercare di offenderlo, quel giorno era stanco di sottomettersi. Era incredibilmente attratto da lui e faticava ancora a capire il perché: il Caposcuola di Grifondoro lo prendeva e lo lanciava in aria come una Pluffa, facendogli attraversare anelli invisibili che Benjamin affrontava con prontezza, pur di ottenere la sua approvazione. Voleva la sua amicizia e da qualche tempo si era reso conto di volere anche qualcosa di più, ma al tempo stesso lo odiava. Lo odiava, così come odiava il resto della società. Era l’ennesima spunta nella lista di ingiustizie che la vita gli aveva rigurgitato addosso, presentatagli con malsana ironia: sei gay? Bene, ora sogna di voler entrare nei pantaloni della tua nemesi, quello che non ha il coraggio nemmeno di esserti amico, per non farsi giudicare. Quello che vuole usarti per sentirsi ancora più ammirato e desiderato. Quello che vuole sapere soltanto che tu sia a disposizione, pronto a cadere sul suo palmo, sulla sua lingua.

    Provò un piacere selvaggio nel guardarlo tremare. Era il bosco che bruciava sotto alla verità delle parole di Benjamin. Marshall aveva contribuito a creare la sua reputazione, McClan non poteva credere che gli importasse. Guardò i suoi capelli cambiare colore e lo sforzo impresso nel suo volto per non cedere all’impulso della sua abilità innata. Il problema dei Metamorfomagus era che ogni loro pensiero, anche quello più nascosto, si traducesse in uno spasmo incontrollabile, un cambiamento, anche minimo, che l’osservatore più attento avrebbe potuto notare con agio. Fox aveva capito quanto male gli avesse fatto? Era stato abbastanza velenoso, poco servile? Era contento.

    - Non dire queste cose, ti prego. -

    - Perché no? - Domandò. Noncurante, scrollò anche le spalle. Sarebbe stato evidente a chiunque quanto non gli importasse di preservare le apparenze: ce l’aveva con lui. Lo detestava. Era colpa sua. Era tardi per pentirsene. Non si sarebbe fatto usare mai più. Non si sarebbe fatto prendere per il culo mai più.

    - Io… lascia stare, okay? La metamorfomagia. È... complicata, a volte. Ti chiedo scusa. -

    È il senso di colpa, Norman, ma io non ti aiuterò ad estinguerlo. Non importa quanto male starai, non sarà mai peggio di come mi senta io.

    - Doyle non capisce un cazzo. -

    Restò in silenzio. Non annuì nemmeno ed invece lo scrutò, torvo, per poterlo mettere in soggezione. Fu allora che notò le sue iridi vagare, scendere morbidamente lungo il suo sterno verso la schiuma che lo avvolgeva all’altezza delle costole. Qualche bolla era scoppiata: presto avrebbe dovuto aprire di nuovo il rubinetto e farne uscire dell’altra. Anche se… non si sentiva così a disagio all’idea di restare nudo in compagnia di Norman Marshall e non perché la sua mente stesse andando alla deriva: si sentiva finalmente con il coltello dalla parte del manico, perché le sue parole dovevano aver colpito più profondamente di quanto credeva avrebbero fatto, abbastanza da togliere al ragazzo il controllo sul suo potere. Non era lui ad essere senza vestiti, in quel momento. E comunque, lui sapeva controllarsi. Avesse guardato in basso, sotto al ciglio dell’acqua, non avrebbe scoperto alcuna situazione degna di nota.

    - Senti, forse è meglio che vada. Non mi sembra una buona idea rimanere qui, è… ho sbagliato a venire qui. -

    Un brivido gelido gli corse lungo la schiena e la gola gli si serrò. Corpo traditore. Istinto traditore. L’idea che Norman se ne andasse era inaccettabile e decise di darsi una giustificazione approssimativa: se se ne fosse andato, Benjamin non avrebbe potuto continuare a torturarlo, a guadagnarsi la sua vendetta.
    Sì, era quella la verità.
    C’era dell’altro e lo sapeva bene. Gli era sempre piaciuto passare del tempo con Norman, anche quando erano più piccoli. Aveva una miriade di storie straordinarie da raccontare, era carismatico, coinvolgente e divertente, tanto che Benjamin doveva sforzarsi di non scoppiare a ridere ogni tre per due, per potergli far finire il discorso o semplicemente per sembrare più controllato e poco impressionabile. Però Norman se ne sarebbe andato e Benjamin doveva accettarlo: aveva deciso da sé di metterlo in soggezione e spingerlo ad abbandonare la nave.

    - No, sai cosa? Sono venuto per farmi un bagno, e mi farò un bagno. Tu puoi… fare finta che io non esista. Non ti darò fastidio. -

    Gli lanciò uno sguardo perplesso, riportando le iridi color miele sulle sua figura. D’improvviso, Marshall si era fatto rosso in viso. Si era bloccato nell’issarsi con le braccia per uscire dall’acqua, giusto sul bordo della vasca. Probabilmente non era abbastanza forte, magro com’era, tutto ossa e muscoli e pelle bianchissima…

    - Se sei troppo basso per uscire da qui, c’è la scaletta, - rispose sarcastico. Poi… un pensiero gli balenò in testa, troppo rapido per poterlo controllare, sfuggito alle profondità del suo inconscio: e se il problema non fosse stato come uscire dalla piscina… ma uscire e basta? Qualche attimo prima, la Volpe s’era immersa fino al collo per non permettere a Benjamin di vederlo fremere per il disagio. E se avesse voluto utilizzare l’acqua per celare qualcos’altro, qualcosa che McClan avrebbe senz’altro notato e giudicato?

    No, assolutamente no. Si rifiutava di credere che Marshall fosse un povero represso che non aveva il coraggio di esplorare o farsi avanti. Era così diretto e disinibito, faceva troppe allusioni e voleva essere sempre al centro della scena, l’oggetto delle attenzioni di tutti. Le storie delle sue conquiste avevano fatto il giro di Hogwarts, quelle delle ragazze che aveva rimorchiato e di quelle che si era scambiato con i suoi amici, nemmeno fossero state Figurine delle Cioccorane… l’unica cosa che voleva era restare impresso. Ed anche in quel momento si rifiutava di andare via per non permettere che Benjamin vincesse. Non avrebbe mai allentato la presa su di lui. E Benjamin non sarebbe riuscito a svincolarsi. Ma Norman non era attratto dagli uomini: a lui faceva orrore la possibilità di essere considerato omosessuale. Era solo divertito da quanto Benjamin, invece, fosse ingenuo e pronto a gettarsi ai suoi piedi.

    - Però… dovresti passarmi un po’ di sapone… il rubinetto che ho qui è quello della schiuma. Dopo, smetterò di esistere. Promesso. -

    Per un attimo si bloccò, sentì la maschera di beffarda indifferenza crollare davanti al suo sorriso. Avrebbe voluto poter rispondere, ma se lo impedì. Ciò che ne risultò fu una smorfia pari a quella dei Gargoyle che facevano da guardia all’ufficio di Carondell e le sue spalle si mossero per voltarsi e dargli la schiena. Si maledisse, perché l’insidioso pensiero di poco prima gli galleggiava nella psiche, pizzicandogli le meningi, rifiutandosi di uscire. Non voleva testare quella probabilità insensata… ma voleva. Voleva avvicinarsi a lui, per quanto si stesse reprimendo. Che desiderasse Norman Marshall era un dato di fatto. Ed ignorarlo… gli avrebbe fatto solo del male. Più male di sapere che avesse una ragazza e stesse solo giocando con lui. Poteva convincersi di avere abbastanza potere da giocare a propria volta. Ricordava gli sguardi di Edwards, quello di Dane Elis. Poteva risultare desiderabile a propria volta, oppure metterlo tremendamente a disagio all’idea che ci stesse provando, come aveva fatto con Thomas Doyle.

    Non aprì il rubinetto del sapone. Invece, si voltò. Puntò allo zaffiro blu incastonato alla sinistra di Marshall. Arrivò al suo cospetto con due larghi passi, ed anche se il Caposcuola era più alto di almeno una testa, si sentì torreggiare su di lui come un falco. La distanza tra i loro corpi era a metà tra l’equivocabile ed il rispettoso, ma questa si accorciò quando Benjamin si allungò sopra alle spalle di Norman, verso il rubinetto zaffiro. Lo aprì con lentezza, aspettò che il sapone blu notte gli scivolasse tra le mani poste a coppa e poi lo lasciò aperto, prima di tornare davanti alla Volpe e rivolgergli un sorriso felino, enigmatico, iridi luccicanti di sfida.

    - Mi stupisce che tu non conosca il tuo stesso bagno. Tieni… un po’ di sapone. Se te ne servirà ancora, dovrai arrangiarti. Oppure… chiedere per favore. -
     
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    Si chiedeva, in momenti come quello, come Benjamin McClan dovesse percepirlo. Cambiava umore ogni cinque minuti, un’altalena di emozioni che andavano dalla totale e netta chiusura nei confronti del compagno di scuola per giungere poi, senza un vero e proprio passaggio logico, al rivolgerli sorrisi e battutine. Alle volte Norman gli confidava fatti personali, anche parecchio personali, come il discorso della metamorfomagia che, pur non essendo il motivo nudo e crudo per cui il colore dei suoi capelli era mutato in quel modo, era pur sempre un suo tallone d’achille, ed in genere preferiva fingersi in pieno controllo delle proprie capacità. Quando si trattava di Benjamin McClan, non capiva nemmeno lui quella sua urgenza di mostrarsi distaccato ed interessato al contempo, forte e fragile. L’altro doveva odiarlo, e quel giorno pareva essere piuttosto palese. Lo era nel modo in cui Benjamin rispondeva alle sue parole sconnesse e negli sguardi taglienti che gli rivolgeva. Norman, dal canto suo, aveva deciso che sarebbe stato più saggio staccare la testa ed evitare del tutto di arrovellarsi su come avrebbe potuto salvare la situazione: era palesemente troppo tardi. Aveva fatto una marea di cazzate una dopo l’altra, ed una confessione in quel momento (non avrebbe aperto bocca nemmeno se fosse stato costretto a farlo), lo avrebbe dipinto come un buffone per l’ennesima volta. Come avrebbe potuto fidarsi ancora di lui, McClan, dopo che per anni le sue parole si erano rivelate in pieno contrasto con il suo modo di comportarsi?
    Quelle, il fastidio e l’indifferenza del compagno nei suoi confronti, erano le punizioni che Norman meritava.
    Era semplicemente troppo tardi, non gli restava che lasciarsi colare a picco nell’acqua tiepida e schiumosa di quella vasca. Figurativamente, certo, eppure per un attimo Norman pensò che sarebbe stata una fine quasi catartica. Dolce, ovattata, pacifica. Non avrebbe più dovuto inventarsi storie assurde per far credere a sé stesso e a Benjamin che i maschi non gli piacessero. Si chiedeva come facesse a crederci ancora, McClan, a quella fesseria, e si chiedeva quando invece lui stesso si sarebbe stancato di prendersi in giro. Quando avrebbe deciso di staccare il filo spinato che lo legava a Bob Marshall. Sapeva, ed era una consapevolezza nitida e dolorosa, che quando avesse deciso di farlo sarebbe stato troppo tardi per lui e per Benjamin. Sapeva che non sarebbe bastato sapere di essere libero per esserlo davvero, perché ormai la prigione se l’era costruita tutto attorno a sé, giorno dopo giorno, bugia dopo bugia. La matassa si era fatta talmente intricata, e pesante, e complessa che anche il solo gesto di prenderla e gettarla via pareva una fatica immane. Il solo gesto di zittire le parole velenose di Benjamin premendo le labbra su quelle di lui era concepibile solo da un angolo remoto della sua mente, eppure l’immagine c’era e persisteva e si faceva via via più nitida, e faceva sì che le guance di Norman si tingessero di rosso e la sua epidermide divenisse più sensibile. Aveva la pelle d’oca.
    Ed un problema tra le gambe, che se non fosse stato veloce a mascherare con la schiuma sarebbe stato la sua fine.

    - Se sei troppo basso per uscire da qui, c’è la scaletta. -

    - Sì, beh… - “Senti chi parla”, avrebbe voluto rispondere, ma pensò che non fosse la scelta più saggia, quella di mettersi a discutere in quel momento. Non quando Benjamin McClan aveva il coltello dalla parte del manico. Aveva vinto, sotto ogni punto di vista, ed era la prima volta che succedeva da quando si conoscevano. A Norman mancò un battito, quando se ne rese conto. -… beh, penso di avere un crampo, o che mi stia per venire un crampo, perché… insomma, non ci riesco, okay. - Rivolse un’occhiata a Benjamin. Lo guardò dritto negli occhi attraverso le ciocche bagnate dei suoi capelli. Rimase in silenzio per qualche istante, l’unico suono attorno a loro era quello delle bolle e della schiuma che si sfaldava a poco a poco. Strinse le labbra. - Niente scaletta. -
    Non avevano mai davvero litigato, prima di quel momento. Non che stessero apertamente litigando, ma l’aria tra loro due non era mai stata tanto negativamente tesa. Norm si rese conto che il motivo per cui lui e Benjamin non avevano mai avuto una conversazione come quella era perché, almeno dall’inizio di quell’anno scolastico, lui aveva fatto di tutto per evitarlo, o per incontrarlo solamente in situazioni affollate, dove non vi fosse la possibilità anche solo remota di ritrovarsi da solo con lui.
    No, non era stato dall’inizio dell’anno, le cose stavano in un altro modo, e Norman lo sapeva bene. Era stato dalla sera del vischio, da quando Thomas Doyle aveva riso di lui perché… perché… perché stavi per baciare Benjamin McClan. Lo avresti fatto, e lo faresti anche adesso. Lo sai.
    Era una situazione disperata. Più Norman si costringeva a controllare il proprio corpo, più avvertiva chiaramente il controllo sfuggirgli di mano. Era come se i suoi sensi si stessero ribellando tutti insieme, per la volta buona. E proprio quando era intento a prendere un respiro profondo e a riprovare, Benjamin decise di voltargli le spalle, e allora i suoi occhi scivolarono sulla linea sinuosa della sua schiena solcata da minuscole gocce d’acqua, che la percorrevano delicate e gentili, esattamente come avrebbero fatto le sue dita se solo si fosse permesso di essere felice.
    Sentì un nodo scorsoio ostruirgli la gola. Non era stato proprio lui, al terzo anno, a difendere Benjamin dalle ingiurie di Doyle? Lo aveva consolato, lo aveva fatto ridere e lo aveva portato con sé ai Tre Manici di Scopa, pur di cancellare la tristezza profonda che aveva visto nei suoi occhi. Doyle lo aveva chiamato pansy, e allora Norman gli aveva detto che si era sicuramente sbagliato, che non era pansy la parola, bensì fancy.
    Lo aveva riaccompagnato a scuola, poi. Gli aveva messo lo smalto sulle unghie.

    Mentre le iridi scivolavano sulla pelle candida della schiena di McClan, Norman si chiese cosa fosse successo a quel ragazzino così sicuro di sé e della persona che era. A quel Norman non importava se era attratto dai maschi, anzi. Era estremamente felice di provare qualcosa per Benjamin McClan, anche se era troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo e anche se i baci erano ancora un concetto orripilante, per lui. Poi, ricordò. Ricordò il suo entusiasmo e ricordò la prima volta che Bob Marshall lo aveva picchiato.
    Sentiva chiaramente il proprio cuore spezzarsi, soffocato dalla cassa toracica improvvisamente non più in grado di garantirgli lo spazio necessario.
    - Benjamin senti… - Ed in quel momento, lui si voltò.

    Norman deglutì a vuoto mentre, paralizzato contro al bordo della vasca, non poteva fare nulla se non guardare il ragazzo di cui era innamorato camminare verso di lui. Era la prima volta che lo ammetteva a sé stesso, ed improvvisamente tutta quella situazione si era fatta troppo complessa da gestire. Aveva l’impressione che avrebbe perso i sensi da un momento all’altro. Le gambe, fino a pochi minuti prima salde a terra, ora parevano fatte di gelatina. Le ginocchia tremavano e non riuscivano più a sorreggere il suo peso. Lo stomaco mandava fitte fastidiose, che gli facevano venire voglia di affondare le unghie nella propria pelle lattea pur di farle smettere. La testa era avvolta da un fitto banco di nebbia, che gli appannava la vista e i pensieri. Sapeva solo di avere un gran caldo, e di non potersi assolutamente permettere che il suo corpo reagisse a Benjamin McClan nello stesso modo in cui reagiva a quello di Selene Roth.
    Come a rallentatore, osservò il ragazzo fermarsi a mezzo passo da lui. Benjamin lo guardava, sfrontato, e Norman si imponeva di non abbassare lo sguardo, di non cercare al di là delle bolle che si stavano pericolosamente dissipando. Obbligò le sue mani a non allungarsi sui fianchi di lui ed il suo collo a non protendersi verso il volto di McClan. Si limitò ad inspirare a fondo, rosso in viso, le iridi sgranate come un coniglio davanti ai fari di un’auto che sta per metterlo sotto. Sarebbe stata una questione di pochi secondi, e anche la sua vita sarebbe finita. Benjamin avrebbe saputo Benjamin già sapeva.

    - Mi stupisce che tu non conosca il tuo stesso bagno. Tieni… un po’ di sapone. Se te ne servirà ancora, dovrai arrangiarti. Oppure… chiedere per favore. -

    Gli tremavano le mani, ma comunque le sollevò per prendere il sapone da quelle di Benjamin. Si sforzò di non toccare la sua pelle, di lasciare che il sapone blu notte scivolasse dalle mani del suo compagno di scuola alle proprie.
    - Benjamin, io… - Non piangere. Non ci provare, cazzo. Ci manca solo che ti metti a piangere, come se non ti fossi già scavato la fossa da solo. Sarebbero lacrime di coccodrillo, lo sai. Benjamin penserebbe a quello.
    Benjamin McClan non era mai stato un ragazzino cattivo ma in quel momento, attraverso la sua rabbia, Norman si rese conto di quanto doveva avergli fatto male. Seppe che ogni istante passato insieme era stato da lui manipolato affinché Benjamin gli cadesse ai piedi, e nonostante il suo fare apparentemente distratto, era consapevole di aver sempre avuto un secondo fine: voleva diventare la sua ossessione. Voleva che Benjamin lo desiderasse, allo stesso modo in cui lui lo desiderava. Peccato che non avesse pensato alle conseguenze di una simile evenienza, e le conseguenze erano che non ci potevano essere conseguenze.
    Avrebbe dovuto fargli male un’ultima volta, era l’unico modo per uscire da quel disastro in cui aveva finito per cacciarsi. Una volta, l’ultima, e poi lui avrebbe preso una strada diversa da quella del suo vecchio amico. Per sempre.
    Strinse i muscoli della mandibola, mentre lasciava che il sapone, a contatto con l’acqua, creasse altre bolle. Si impose di non lasciare che il senso di sconfitta gli inumidisse le iridi, ma era più difficile di quel che credeva. Non era la sconfitta derivata da quell’incontro, a distruggerlo: era la consapevolezza di aver fallito in quanto persona. Non avrebbe mai potuto aspirare alla felicità. Per lui, non ce ne sarebbe stata.

    Voglio baciarti.
    - Ora stammi a sentire, McClan. -
    Voglio toccarti.
    - Smettila di tormentarmi, dico davvero. Non sono interessato. -
    Vorrei solo sapere come sarebbe. Come potrebbe essere tra di noi.
     
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    FUN GHOUL


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    Benjamin McClan non era mai stato un ragazzino cattivo, ma lo era diventato. Tra le bolle che perdevano consistenza e l’odore d’incenso ormai nauseabondo nelle narici, il Bagno dei Prefetti stava diventando la sua personale stanza delle torture. Aveva imprigionato Norman, affilato la lama, gli aveva graffiato la pelle e somministrato piccole dosi di veleno per farlo capitolare lentamente. Intimamente sapeva che cosa gli avesse provocato quella reazione, anche se non riusciva a dare un nome al grumo di sentimenti opprimenti che accompagnavano Marshall, ma in quel momento, con pochi metri a separarli e la Volpe di Grifondoro che incespicava nelle sue parole, tradendosi con il corpo e con lo sguardo, Benjamin desiderò non averlo fatto. Si pentì di aver dato voce alla parte più martoriata di sé, seppur riconoscesse che Norman si meritasse tutto il suo astio e che Benjamin non gli nascondesse più di essere offeso e ferito. Era stato quasi baciato e poi ignorato, era stato preso in giro… ed era stato vessato e mortificato per anni, perché il maggiore non si era mai deciso ad essere realmente suo amico, ad includerlo nel suo gruppo, a dirlo a tutti. Norman avrebbe potuto aiutarlo così tante volte, ma non l’aveva fatto, oppure l’aveva fatto solamente a metà; e Benjamin, invece di detestarlo, si scopriva attratto da lui, a chiedersi come sarebbe potuta andare quella conversazione se, invece che aggredirlo e metterlo al muro, si fosse aperto e gli avesse detto chiaramente quel che stava succedendo, come si sentisse. Provò quasi dispiacere nel vederlo in difficoltà; ed insieme sentì una piccola, ma potente stilla di perversa gioia crepitare al posto della rabbia, parzialmente soddisfatta. La sua fame di rivalsa si saziava nel guardarlo rifiutarsi di usare la scaletta, chiaramente nel panico, le iridi cangianti ed aliene che non si staccavano dal suo aguzzino. Anche se gliel’avessero chiesto, il piccolo McClan non avrebbe mai potuto spiegare che cosa gli suscitasse esattamente quella vista. A metà tra la spavalderia e la vergogna, si era fatto avanti per poter diminuire ancora un po’ di distanza tra i loro corpi e testare la sua teoria. Voleva che Norman lo guardasse e voleva studiare la sua reazione. Aveva ignorato volontariamente come lui l’avesse chiamato, il tono tremante ed il suo aspetto rattrappito in quell’angolo di vasca. Era riuscito a scordarsi addirittura del colore dei suoi capelli e della consapevolezza che fosse cambiato per colpa sua. Aveva deciso di andare dritto per la sua strada, dritto verso il non-ritorno.

    Quello sarebbe stato il momento che avrebbe cambiato irrimediabilmente il loro rapporto, pensò. La notte del vischio aveva solamente innescato una reazione a catena che stava andando a concludersi proprio quel pomeriggio. D’altronde, non era la caduta a fare i danni peggiori, ma l’atterraggio; e Benjamin stava cadendo rovinosamente, trascinando Fox con sé. L’avrebbe rifiutato? Era molto probabile. Restava scettico all’idea che Norman potesse provare della reale attrazione nei suoi confronti, ma fosse troppo condizionato da ciò che gli altri avrebbero pensato di lui: la Volpe era un personaggio, un esibizionista ed un trascinatore, ed a nessuno sarebbe interessato se gli fossero piaciuti i ragazzi. Però, se così fosse stato, perché tenere Doyle tra le loro fila? Lui proprio non piaceva a nessuno, nemmeno alle persone che egli considerava amiche. Nella Torre di Grifondoro era mal sopportato proprio perché era un conclamato ignorante, un sessista ed un attaccabrighe di prima categoria. Quindi… era più probabile che Benjamin fosse stato un passatempo, un gioco al quale McClan stesso stava per mettere fine. La Volpe non avrebbe mai potuto prevedere che il ragazzino si sarebbe stufato di essere trattato come una merda. Forse pensava che l’avrebbe picchiato: Benji stava avanzando senza alcuna traccia di esitazione ed i suoi gesti erano calmi e controllati. Si era allungato oltre il maggiore risultando addirittura più alto e di sottecchi aveva osservato il viso di Fox perdere ogni traccia di colore, per poi tingersi improvvisamente di rosso carminio. Sentiva come si stesse trattenendo… ma dal fare cosa? Vedeva, poi, come i suoi occhi non riuscissero a restare fissi in un punto, un qualsiasi punto lontano da Benjamin e dal suo corpo. Ed eccolo quindi di nuovo furioso, a chiedersi perché fosse così fottutamente difficile ottenere delle risposte da quel ragazzo e perché ogni segnale, anche il più palese, fosse così contrastante.

    Terminò lo scambio di sapone continuando a sorridere, sfacciato e brillante, ed attese. Semplicemente attese, guardandolo, pregandolo silenziosamente di rivelargli la verità giusta, una verità che in fondo desiderava.

    - Benjamin, io… -

    Ora te lo dice, stai a vedere. Con il cuore in gola ed una quieta fiammella di speranza nel petto, Benjamin McClan attese. Si sforzò di restare impassibile di fronte alle iridi lucide di Norman e di non empatizzare con lui. Era palese che stesse facendo fatica e che avrebbe avuto bisogno di un abbraccio, di restare da solo, di non sentirsi addosso una presenza così incombente ed una domanda tanto chiara, anche senza che McClan l’avesse pronunciata ad alta voce. Il sapone gocciolava dalle dita dei due ragazzi, l’unico suono in tutto l’universo. Se gliel’avesse detto in quel momento, non avrebbe più avuto nulla da temere; ed il Bagno dei Prefetti sarebbe stato l’unico a saperlo, oltre a loro due. Norman sarebbe stato al sicuro. Sarebbe stata una bella vittoria per tutti.

    - Ora stammi a sentire, McClan. Smettila di tormentarmi, dico davvero. Non sono interessato. -

    E come era nata, la speranza s’infranse e l’intero peso delle proprie spalle gli crollò addosso, rendendolo curvo ed infelice. Era come se Norman gli avesse dato un vile calcio tra le scapole, mandandolo con la testa sott’acqua, tanto che quasi boccheggiò per la sorpresa. Era sicuro, sicurissimo di non essersi immaginato l’elettricità statica che si era formata nel momento in cui si era avvicinato al maggiore, poi le lacrime che brevemente avevano reso le iridi di Norman lucide e vulnerabili. Era sicuro di ciò che aveva visto, era sicuro di ciò che aveva capito. Il silenzioso ultimatum di Benjamin non era stato abbastanza per farlo uscire dal guscio, ma forse era quella la verità: non c’era nulla che dovesse sbucare fuori. Era solo un suo desiderio, insensato, unilaterale ed impossibile da realizzare, perché contro ogni pronostico Benjamin si era invaghito dell’unico ragazzo sulla faccia della terra che non gli avrebbe mai dato una chance, che non avrebbe mai potuto far altro che vederlo come un punching ball emotivo e come un mezzo per appagare il suo ego.
    Trasse un breve respiro tremante, ma non distolse lo sguardo. Lasciò che il silenzio tornasse ad avvolgere la stanza, come se Norman non avesse mai parlato. Sarebbe uscito di scena a modo proprio, non senza scalciare e non senza compiere un ultimo affondo. Avrebbe fatto credere a tutti di essere un folle e di avere una malsana fissa per Fox, probabilmente, ma la sua dignità ne aveva bisogno. Un ultimo fendente, poi sarebbe sparito.
    - Stronzate, - pronunciò, a mezza voce. - Ed io ti odio, vorrei non averti mai conosciuto. -
    Un altro respiro. Pregò con tutto se stesso di non scoppiare a piangere, che nessuna emozione gli solcasse il viso a parte il disgusto, lo stesso che Doyle gli riservava ogni volta che lo vedeva in corridoio ed ogni volta che Benjamin si sforzava di sostenere il suo sguardo. Da quel giorno in poi l’avrebbero guardato tutti così.
    - Ora vattene fuori dai coglioni, prima che vada a dire a Doyle che ti sei dato da fare con me, come il frocio del cazzo che in realtà sei. -

    Gli diede spazio per allontanarsi, tornando a rintanarsi nel suo angolo. Avrebbe ponderato a lungo se infilare la testa sott’acqua e tenercela per almeno due o tre minuti. Niente gli sembrava abbastanza efficace per dimenticare.

    Edited by Benjamin Fox-McClan - 12/3/2023, 01:19
     
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5 replies since 15/6/2022, 16:30   182 views
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