Jailhouse Rock

Indagini Preliminari

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    PAPSIE COLA.

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    La punta dell’iceberg.
    Una scalfittura, no, un trascurabile quantitativo di brina grattata e subito sciolta.
    No. Una goccia. Una misera goccia soltanto, polluzione ridicola, pigra stilla di sudore che scivola lungo la landa pallida di una tempia pulsante. Impenna su uno zigomo e si suicida. Sugli indumenti? A terra? Si unisce al ghiaccio ormai deperito nel liquore? Non la distingui più.


    Ecco, quella sfilza di metafore rappresentava in maniera più o meno approssimativa il sentimento asfittico di Paprika nei confronti di Azkaban. Asfittico, certo. Com’era da interpretare la percezione sperimentata all’interno di un carcere? D’altronde, lei era lì per contribuire a cambiare le cose o, come le capitava di pensare quando non riusciva a evitarlo, si aggirava per quei viscosi corridoi con l’armatura invisibile dell’utopista. Ormai lavorava lì da diverso tempo, seppure afflitta da una pervicace e ronzante confusione. Si stava cimentando in una sorta di tirocinio che delineasse la sua figura nonché la definizione della stessa. Non era lì per ambire alla carriera del secondino, anzi, aborriva la quasi totalità di chi svolgeva tale mansione. Non era lì per ambire al vertice direttivo, sarebbe stato avvilente. Un colpo di grazia al suo esistere. Era lì per sondare la psiche e i suoi cambiamenti se sottoposti a un rinnovo che fosse umano. Equo per quanto possibile su un pianeta come la Terra. Non si faceva mettere i piedi in testa ma nemmeno si era mai permessa atteggiamenti sovversivi sterili. Da dentro di lei si stava attuando una ribellione, ovvio, ma non doveva in alcun modo basarsi sullo stesso metodo adottato da altri fra le pareti cariate di quel molare in mezzo a una bocca in tempesta. Forse lasciata un po’ a se stessa, non permetteva che la cosa la annichilisse o, addirittura, fermasse. Non possedere chiarissime direttive non incideva in alcun modo sulla sua lena o sulla sua fame. Stranamente, non un appetito da definirsi letteralmente tipico della sua persona. Anzi, da un po’ doveva obbligarsi al nutrimento per garantire a Marceline il meglio che, da madre, potesse offrirle. Convinta che quella fase si sarebbe estinta, cercava distrazioni utili e meno utili.

    Quello non era un giorno qualunque. Chiamata a svolgere un compito di enorme importanza e delicatezza, si dirigeva marciando alla sala interrogatori. Sfoggiava un tailleur giacca-pantalone grigio che, seppur morbido, non riusciva a svolazzare contro le sue forme. Arduo, lì l’aria era irrespirabile. Immobile. Una camicetta di pizzo dall’ampio bavero si apriva in uno scollo aguzzo. Profondo ma non indecente. I tacchetti delle garçon nero lucido risuonavano in quel tunnel fradicio come rintocchi premonitori e, al ritmo militaresco dai richiami vintage, andava ad aggiungersi il tintinnio delle cinture in oro, appese al vitino di vespa compresa una catenella che si concludeva grazie a un piccolo orologio da taschino. Lo teneva stretto in una mano guantata e dall’oggetto sollevò lo sguardo pervinca solo quando venne raggiunta nel luogo designato per l’incontro. L’interrogatorio da parte di due Auror a Vivianne Plath. Quest’ultima fu condotta sul posto da uno dei suddetti secondini e non senza la rozzezza d’animo e intenti tipica dello stereotipo. Paprika non provava pena nei confronti di quella strega né la giustificava per le sue azioni immonde. Si reputava intelligente ma non di vedute divine. Tuttavia, la gratuità della violenza nelle forme che lei stessa si biasimava, non era tenuta a sopportarle.

    Al secondino non scoccò altro che un’occhiata ipertiroidea, nella quale si percepiva sufficiente spazio e, quindi, chiarezza nell’esprimere un austero disappunto. Lo smilzo in divisa (una divisa troppo grande per lui) grugnì un “detenuta” ma, concentrandosi sulla Plath, Le Miel ricalcò chiamandola per nome: - Vivianne, siediti. Vuoi? - cercò di mostrarsi conciliante senza sbilanciarsi in nessun senso. Scrutava con discrezione il viso emaciato ma ancora pungente e fiero della strega. La invitava con la cautela e la calma che di sicuro non sperimentava in cella. A tal proposito, tolse apposta un guanto per ricercare un breve contatto fra le sue scapole. Non un contatto informale e amichevole ma nudo ed empatico. Fugace. - Rimarrò qui per l’intera durata dell’interrogatorio ma ti prego di capire che mi sarà necessario prendere degli appunti. -

    Nel mentre, i soldati del dipartimento che Malcolm aveva scelto per la circostanza giunsero a destinazione. Dal canto suo, la bruna (ormai tornata al suo colore naturale) posò le punte delle dita sul tavolo che avrebbe diviso l’interrogata dai poliziotti. Era ancora di fianco alla prigioniera quando accolse Rhysand Logan e Gael Naharis. Si assicurò senza fiatare che la loro presenza non agitasse eccessivamente l’animo già tormentato della carcerata, poi disse: - Benvenuti, agenti. Ammesso e non concesso che sia questo il modo migliore di salutarvi in un posto simile, è chiaro. - inspirò gradualmente dalle narici per poi spostarsi lentamente in un punto neutrale. Più defilato. Aveva con sé un taccuino che magicamente si aprì su due pagine intonse. La piuma altrettanto incantata, aveva già preso a fluttuare e scribacchiare per apparente conto proprio.

    Paprika Le Miel non si trovava in quella stanza in esclusiva qualità di dipendente del carcere. In primis, presenziava fra quelle mura come membro rappresentante dell’Ordine della Fenice e nessuno avrebbe dovuto scoprirla. Ancor più che come parte integrante dell’Ordine, le interessava che tutto funzionasse in quanto individuo abitante di un Mondo Magico allo sfacelo. In teoria si trattava di un piano semplice, quasi lineare. All’atto pratico, manteneva alta la guardia e la soglia dell’attenzione malgrado il suo spirito felino.

    - Come immagino vi avrà spiegato Bowie, non mi intrometterò. Non è mia intenzione soffiarvi il lavoro ma – perdonate l’eventuale ridondanza -, se reputerò necessario intervenire sul piano meramente umano, sappiate che non mi risparmierò. So che siete validi professionisti e sicuramente siete stati istruiti nei minimi dettagli, dunque ho la certezza che non andranno a crearsi situazioni spiacevoli. - a scapito dell’inevitabile formalità di quell’introduzione, Longue Langue si impegnava sempre a non perdere ciò che la rendeva una persona in grado di relazionarsi con il prossimo. Era per lei fondamentale. - Quando siete pronti, quando... la signorina Plath è pronta, potete cominciare. -

    // La role si svolgerà nel seguente modo: una volta in cui Vivianne avrà postato, gli Auror saranno liberi di intervenire. Ciascun Auror dovrà concludere il proprio compito in un massimo di tre post. Per ogni post è consentito un massimo (facoltativo) di tre domande da rivolgere alla detenuta. Fondamentalmente, il mio ruolo sarà quello di supervisore dunque non parteciperò a ogni turno. Potrei decidere di farlo solo quando e se dovessi ritenerlo opportunamente in linea con le circostanze e il mio pg. Come concordato con il Capo Auror, per il momento non si seguiranno scadenze tassative ma, qualora i tempi si dilungassero troppo, verranno adeguatamente inserite. Bene, la parentesi formale è chiusa! Buon gioco e in bocca al Drago!
     
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    Nel silenzio di quei raccoglimenti



    Silenzio. L’atmosfera spettrale e tetra ad Azkaban era il luogo dalle sonorità più fredde e vuote che Vivianne avesse mai sperimentato in vita sua; aveva ascoltato molte volte i racconti, che alle volte sfociavano nel mito e nella superstizione, di come quel posto riuscisse a scavare dentro l’anima dei suoi inquilini, penetrando più a fondo di una maledizione oscura e lasciando una scia vuota e scavata dopo il suo passaggio. 
L’anima mutilata di Vivianne Platt non faceva eccezione, a maggior ragione visto ciò che aveva passato negli ultimi mesi.
    L’eco dei passi delle guardie carcerarie, i lamenti dei detenuti, il respiro appena cadenzato, il tiepido sole che, solo nelle prime ore della mattina, sembrava portare un po’ di calore dentro quelle anguste celle, colme di umidità e vuote del calore umano e della comprensione.
    E lei, nascosta dietro l’algida facciata di controllo e compostezza, lo sguardo fiero puntato in avanti che sembrava non fosse costituzionalmente in grado di vacillare, sentiva che, in realtà, il peso di ciò che aveva fatto e la piena consapevolezza delle sue azioni sarebbero stati la sola compagnia durante la prigionia. E lì, non avrebbe potuto sfuggire alle voci dei demoni nella sua testa.

    Il mio spirito par che s’allontani



    Non appena aveva messo piede nella sua cella e aveva sentito le sbarre della porta scattare dietro di lei, un senso di profonda solitudine unito a una stilla di paura erano come usciti dal suo corpo, andando a riempire l’aria al punto tale che, alla bella Vivianne, era mancato il respiro. Il percorso sarebbe stato lungo e tortuoso; lo aveva scelto per sua volontà ma, suo malgrado, si era ritrovata di fronte a qualcosa che non era sicura di riuscire ad affrontare. 
Per tutta la sua breve vita, il dubbio era stato ciò che non aveva saputo davvero affrontare; le scelte che aveva compiuto era convinta la definissero prima come persona e poi come strega e, senza permettersi cedimenti, le aveva portate avanti come un Thestral sfinito trainava una carrozza fino alla meta. Che potesse permettersi di avere dei ripensamenti, dei momenti in cui domandarsi se ciò che aveva tra le mani fosse davvero ciò che desiderasse, questo non se lo era mai concesso.
    Che poi, in realtà, ora che si trovava preda del suo stesso niente che si portava appresso, cosa era che Vivianne Platt desiderava, davvero? 
Era Agnes ad aver intrappolato la sua parte più buona o Vivienne a essersi trasformata in un essere potente, risoluto e, inequivocabilmente, spietato e malvagio?
    La consapevolezza degli orrori indicibili, che avevano macchiato le sue mani e la sua anima, era arrivata a imporre la sua presenza su di lei in maniera repentina: non appena aveva permesso al dubbio di insinuarsi, ecco che le sue azioni arrivavano a domandarle il loro prezzo. E stavolta non avrebbe potuto tirarsene indietro.
    Quel silenzio l’aveva obbligata a riflettere ed elaborare.
    Sola tra le mura di quel posto infernale, un giorno dopo l’altro aveva iniziato ad avvizzire, appassendo come un fiore esposto alle intemperie del freddo inverno. Uno dopo l’altro, i petali della sua anima strappata stavano cadendo a terra e raccoglierli era ancora più doloroso che perderli. Si era tuffata nella ricerca di un potere immenso che l’avrebbe resa grande e potente, sacrificando la sua stessa integrità.
    Paradossalmente, rifletté dopo qualche tempo - i giorni erano talmente uguali gli uni agli altri che Vivianne non seppe dire davvero da quanto tempo fosse lì sola - era stata Agnes ed il suo male a salvare il suo lato chiaro, decidendo di spaccare permanentemente la sua anima.
    Se non avesse creato l’Horcrux, probabilmente la sua parte buona sarebbe rimasta confinata dov’era, senza che il dubbio riuscisse ad insinuarsi e a distruggere le barriere che la imprigionavano, permettendole di emergere e ritornare in superficie.
    Aggrappata a quella consapevolezza, Vivianne si tuffò ancora più a fondo dentro quel fiume, sapendo che sarebbe stata in balia della corrente e sarebbe potuta riemergere solo se disposta a non fuggire più.

    Quando l’estasi mistica scompare, per voi ho serbata una parola sola



    La corrente l’aveva trascinata a fondo del suo essere. Così a fondo che, in più di un momento, le sembrò di essersi completamente smarrita, quasi come avesse smesso di esistere.
    Chi era?
    Vivianne, forse? La Grifondoro, la ragazza combattiva, colei che era stata cresciuta in un mondo di illusioni, una bambina comprata e allevata solo per colmare una lacuna affettiva, una studentessa ambiziosa - al punto che il Cappello Parlante aveva esitato, non sapendo se fosse davvero Grifondoro la casata che l’avrebbe potuta accogliere al meglio - ma al contempo orgogliosa e desiderosa di lasciare il suo segno nel mondo, la donna che desiderava quasi morbosamente di essere amata e di trovare il suo posto nel mondo dove potesse fare grandi cose?
    Oppure era Agnes? La figlia che ritrovava il suo passato, la donna che aveva ucciso i suoi genitori adottivi, colei che aveva lasciato emergere il lato oscuro che aveva segregato dentro di sé per tutta la vita e che, una volta uscito, le si era rivoltato contro, esigendo sangue e vendetta come cura per le ferite che si portava dietro, colei che aveva sfruttato consapevolmente le persone a lei vicine come pedine su una scacchiera, consolidando una posizione che le avrebbe permesso di avere ciò che voleva davvero, il potere, nella vana ed effimera convinzione - ora se ne rendeva conto - che quel potere l’avrebbe resa finalmente felice?
    La paura era stata ciò che l’aveva definita per tanto di quel tempo che non ricordava ci fosse mai stato un giorno in cui non fosse stata preoccupata o spaventata.
    Persino in quel momento, tra le fredde mura di una prigione immobile, in una sorta di eterno presente statico, era ancora impaurita; le mani le tremavano, il labbro superiore leggermente sollevato mentre i denti erano conficcati in quello inferiore, le tempie che pulsavano incessanti, gli occhi lievemente umidi.

    Espiare



    L’urlo squarciò il silenzio del corridoio. Tutti i detenuti l’avevano inteso - era una prassi piuttosto comune dentro Azkaban - ma rimasero piuttosto sorpresi nell’appurare che la fonte del rumore fosse proprio Agnes MacNair,
    Era così carico di frustrazione e di pena che sentì la gola raschiare e infiammarsi, chiedendo tregua per quello sforzo, ma la donna ignorò le proteste della sua laringe e continuò a vomitare quel suono così sgradevole e ruvido, perché ad ogni oncia del suo dolore, le sembrò di uscire da quello stato di torpore e di sentirsi viva, nuovamente. Un’animale ferito. Di ciò che era stata, una strega potente e pericolosa, non rimaneva nient’altro che una manciata di suoni sgraziati.
    Quel dolore però riuscì a farla sentire viva per la prima volta: la scosse dal torpore esistenziale in cui sembrava essersi impantanata e dalla quale non riusciva a uscire, così da pensare con chiarezza.
    Il pentimento era arrivato, tempo prima.
    Ciò che l’attendeva, dal quel momento in avanti, era l’espiazione.


    *****




    “Quale gradita sorpresa” borbottò, quando il secondino l’andò a chiamare per annunciarle che era convocata per un colloquio. Non aveva ricevuto una singola visita da quando era rinchiusa: Albus l’evitava come la peste, e non poteva certo biasimarla, ma era sicura che la curiosità prima o poi avrebbe vinto e Gabriel si sarebbe recato da lei per parlarle, oppure Rose, o la Shafiq, che aveva protetto durante la messinscena a Hogwarts, o chiunque altro.
    Da una parte, forse era stato meglio così, perché era riuscita a scendere a patti con molte cose che l’avevano afflitta e, sebbene nell’aspetto fisico apparisse provata, con delle pesanti occhiaie violacee sotto le palpebre, oramai rese pesanti dall’angoscia, il volto scavato ed il colorito emaciato, i capelli, che un tempo erano una chioma color mogano fluente e curata, ora erano sfibrati, nella sua psiche i solchi scavati al suo interno stavano iniziando a cicatrizzare.
    “Non pensavo vi avrei rivisto qua, e tutti impomatati” osservò, guardando nello specifico i volti dei due ragazzini sui quali aveva messo le mani anni prima. “Spero che, al di là della forza bruta, tu abbia acquisito un po’ più di materia grigia, biondino” disse, guardando verso Rhysand Logan. “E tu? Mi sei costato quasi la disfatta, fortunatamente i tuoi amichetti erano più ingenui di quanto non sperassi e, alla fine, ho avuto quattro cagnolini da comandare a bacchetta. Dì la verità, Logan, ti sei divertito vero? concluse, con una risata roca e gutturale, mentre si accomodava su una sedia di fronte alla donna che era con loro.
    “A cosa devo l’onore?” domandò, sgranchendosi le gambe e facendo scattare le giunture delle sue mani, stringendole l’una contro l’altra.
     
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    Un rimuginio nevrotico assale la mente del Naharis mentre intreccia incessantemente gli eventi che più hanno travolto la sua esistenza. Eliminando la respirazione, il ritmo scorre caotico e illogico, va avanti, poi indietro, oscilla fra passato e presente in un monolitico agglomerato della psiche, un' inestricabile matassa di pensieri che non dà tregua all’intreccio che più si affanna e più si aggroviglia.



    La copia del fascicolo dell'ultimo rapporto redatto da Malcolm faceva compagnia a Gael dalla fine di Maggio. La prima volta esso era stato letto con disattenzione: i giovani lineamenti del ragazzo erano deformati dal terrore che sapeva avrebbe provato nel leggere il finale di quel capitolo. Sebbene quella favola fosse già stata anticipata dal papà castoro Grizzly, l'ex figlio di Salazar non riusciva a connettere i neuroni, avvolto da una patina umida sulle sclere e invaso da un senso di vuoto che lo rendeva un inutile pezzo di carne.
    "L'Auror Raynard Davies è valorosamente caduto in battaglia"
    "Era così giovane"
    "Chissà quanti altri ancora"
    Frasi che riecheggevano nel Ministero britannico come se le mura le avessero assorbite.
    Sebbene il ruolo che il ragazzo avesse scelto richiedesse una forza d'animo e volontà superiori a quelli richiesti in un lavoro più ordinario, ci volle del tempo perché Gael potesse riprendere in mano il rapporto di quella missione. La freddezza con cui cominciò a rileggere le prime parole gli addensò il sangue che divenne come ghiaccio nelle vene pronto a frantumarsi in mille schegge taglienti che gli trafissero il cuore, quando arrivò alle ultime pagine. Tuttavia, stavolta la concentrazione ebbe la meglio, le pupille rimasero asciutte e i pensieri intatti.
    Lesse e rilesse, di nuovo, dall'inizio, un'ultima volta che diventava solo l'ennesima, poi ancora, finché non servì più sfogliare le pagine perché tutto era impresso nella sua testa.

    Lì, dinanzi al memoriale degli Auror caduti, Gael rimuginava sul 17 di Maggio, su come i sospetti dei coinvolti di essere stati seguiti fossero plausibili e su chi fosse quel ragazzo, l'unico dal volto scoperto, descritto e disegnato nel dettaglio. Mentre osservava i lineamenti aquilini di quel viso, Malcolm gli arrivò alle spalle. Gael alzò lo sguardo solo quando la presenza nerboruta dell'uomo fu così vicina da poterne sentire il calore emanato. L'Auror aveva testato numerose volte la schietta sensibilità del cugino, quindi parlare con lui si rivelava piacevole, liberatorio e, alle volte, doloroso, come una pacca ben assestata sulla schiena. Malcolm lo aveva capito fin dalla loro prima reale conversazione nella caffetteria del San Mungo e, Gael non aveva problemi ad ammetterlo, se non ci fosse stato lui non avrebbe saputo dire quanto avrebbe retto al dolore di rivedere sua madre in quelle condizioni.
    Si domandò se si fosse ripreso con la gamba, se la cicatrice sotto all'occhio bruciasse ancora, ma le labbra rimasero serrate perché, codardo, non voleva dar voce a niente che rimandasse a quel giorno. Fu tuttavia il Capo a prendere le redini e, senza giri di parole, gli disse che sarebbe dovuto andare ad Azkaban per interrogare Agnes McNair.

    Se un orso lo avesse davvero travolto, probabilmente gli avrebbe fatto meno male. Tuttavia, Gael aveva imparato a controllare la propria impulsività e lì per lì avrebbe preso quella sadica richiesta come senza senso. Era davvero la persona migliore per interrogare quella donna? No. Ma forse, così si ritrovò a pensare mentre si dirigeva ad Azkaban in compagnia dell'agente Logan, Malcolm aveva compreso meglio del cugino quanto un confronto con lei fosse necessario per mettere la parola fine a numerose questioni che pesavano nell'animo del ragazzo. Avrebbe potuto chiederle perché proprio lui fra tanti; se fosse stato una scelta casuale, perché si trovava al posto giusto, al momento giusto, o se avesse avuto in qualche modo a che fare con suo nonno e suo padre, tanto per sfruttare in toto tutta la sua famiglia. La McNair e William cercavano la stessa cosa, sebbene suo nonno avesse ucciso suo padre troppo presto perché potesse brancolare fuori dal buio.

    Quando Malcolm gli disse che Paprika avrebbe presenziato all'interrogatorio, Gael si sentì sollevato. Non perché dubitasse del proprio autocontrollo, né di quello del collega, (anche se lui e Rhysand non erano gli individui più calmi del mondo, specialmente se a stretto contatto l'uno con l'altro), ma la strega aveva il giusto distacco e raziocinio che le permettevano una composta e diplomatica tolleranza. Dalle poche parole pronunciate, Gael capì che il suo gioco, se così lo si voleva chiamare, era quello di far sentire Vivianne protetta e coinvolta in un certo qualmodo nel potere decisionale delle sue stesse azioni. Se fosse stata solo una mossa furba, in quanto consigliata nelle procedure da seguire durante un interrogatorio, o semplicemente umana poco importava.

    Le iridi oltremarine si soffermarono sulla figura ingrigita di Agnes McNair. La prima volta che la vida, la coscienza di Gael non era sua, tuttavia alcuni spicchi di realtà si palesarono nella sua mente: l'oscurità del loro luogo di ritrovo, l'odore di polvere, il fumo negli occhi. E prima che parlasse, il Naharis sapeva già quale sarebbe stato il suono della sua voce.
    Nessuna reazione deformò il volto del ragazzo, nessun timore che Rhysand potesse reagire a quella provocazione, nessuna soddisfazione per aver quasi rovinato il suo piano. Perché quel piano Gael era riuscito a portarlo a termine sfruttando la fiducia di coloro che al tempo poteva considerare amici. Adamantino, lo sguardo dello scozzese scavò dentro quell'ombra dalle fattezze femminili mentre il disgusto gli rivoltò lo stomaco.
    Troppe domande gli stavano intasando la testa. Troppe, da poter seguire lo schema che si era mentalmente creato. E i dubbi sulla veridicità delle parole che avrebbe udito lo indussero a pensare che l'unica mossa sensata sarebbe stata quella di usare del veritaserum.

    Si sedette su una delle due sedie rimaste libere e poggiò entrambi gli avambracci sul tavolo. Essi assunsero una posizione rilassata, ma chiusa dalle mani le cui dita si incrociarono fra di loro. Continuò a studiare le fattezze del viso di quella donna. Austero, sinistro, beffardo, enigmatico e..sofferente? Le occhiaie e il colore spento della pelle indicavano un tenore di vita ben lontano da quello che chiunque vorrebbe. Non era pena ciò che provava per lei, piuttosto cercava un modo per sfruttare qualsiasi informazione potesse reperire in quel frangente concentrandosi sulle micro-espressioni del suo viso.
    - Ho immaginato molte volte di poter avere un confronto con te e non hai idea di quante domande vorrei farti. - La voce era preoccupantemente calma. - Io voglio sapere chi sei, Vivianne Platt. E voglio sapere chi è Agnes McNair. Quindi fammi capire alcune cose. Ad esempio, perché ti sei consegnata? Non penso che avresti mai permesso a te stessa di ritrovarti in una situazione senza via di fuga. Quindi cosa c'è sotto? Con chi altro hai lavorato? Vorrei dei nomi, qualcosa di concreto. Osservò per un attimo la penna di Paprika che iniziò affannosamente a prendere appunti, poi ritornò sul volto della donna, di cui non si sarebbe perso la minima contrattura facciale. - Naturalmente potrei farti mille domande senza avere la certezza che ciò che uscirà dalla tua bocca sia vero, ma se lo fosse, mi pare chiaro che il tuo contributo potrebbe non rimanere indifferente e magari la tua situazione potrebbe mogliorare. Deve essere dura vivere costantemente con i propri, deleteri, pensieri. -

    Edited by Gael Naharis - 15/9/2022, 08:01
     
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    Questa volta non l’avrebbero trovato impreparato.
    Si era anche impegnato nel discorso che avrebbe tenuto da lì a poco, calmo ed educato, senza parolacce né imprecazioni o borbottii proferiti nel mezzo, avrebbe parlato in modo politicamente corretto, dando le sue motivazioni le quali davano a Tucker della testa di cazzo senza dire che Tucker fosse una testa di cazzo totalmente inutile e incapace di fare il suo lavoro. O che non sarebbe stato in grado di distinguere una prova dall’altra nemmeno se l’avesse davanti agli occhi.
    Insultare senza insultare, pensò Rhysand. Un nuovo modo per esprimersi senza passare dalla parte del torto non appena apriva bocca ed ignorava il dettaglio che su quattro volte che aveva provato questo metodo, avesse fallito causa mancanza di tatto e pazienza, la quinta volta sarebbe stata quella buona.
    La quinta andrà bene.
    Perché tutto ciò? Beh non era difficile associare “Rhysand” e “convocazione” ad un guaio.
    Anche se questa volta non era successo nulla, se si escludono gli insulti che il giovane aveva lanciato contro il collega, ma chi non veniva insultato oggigiorno? Lui ne era la prova vivente, per esempio.
    Immaginava già di vedere Benjamin dietro alla propria scrivania -mentre si avvicinava all’ufficio- le braccia incrociate al petto, lo sguardo puntato verso la porta, il sopracciglio sinistro appena inarcato verso l’alto e l’interminabile silenzio che Rhysand faticava a sopportare. McClan non ci mise molto a capire quanto Logan detestasse i momenti in cui si ammutoliva, specialmente in situazioni di brevi strigliate dovute al suo carattere del cazzo, ma perché sprecare parole e oggetti lanciati se tanto Rhysand comprendeva la metà degli sbagli che commetteva?
    Non appena aprì la porta dell’ufficio già immaginava l’atmosfera contrariata tanto densa che avrebbe potuto toccarla, forse con il dolcetto comprato poteva trovarsi una riduzione del silenzio e dei vecchi fascicoli da risistemare nell’archivio quella sera, ma anziché trovarsi Benjamin davanti, Rhysand si ritrovò la figura di Malcolm.
    La sesta volta andrà bene.

    Aveva distolto lo sguardo dal Capo Auror e dal dolcetto che teneva tra le sue brutte mani mentre riportava gli occhi sul fascicolo. Appoggiato contro il muro ascoltava ciò che Malcom aveva da dirgli mentre osservava la foto che ritraeva il volto di Agnes McNair alias Vivianne Platt, rispondendo alle poche domande che l’agente gli rivolgeva, oltre alle pessime battute sulla cicatrice. Il fatto era che, non voleva pensare alla persona ch’era caduta, non voleva pensare a quello che era successo o cosa provassero tutti coloro ch’erano vicini a Davies; se non ci pensava il problema non esisteva e se non c’era alcun problema, perché soffrire? Non era sano quel modo di pensare, ignorare in quel modo tutte quelle sensazioni ed emozioni fino a sotterrarle chilometri sotto terra, ma dopo diciannove anni nemmeno ci faceva più caso.
    Deprimente, malinconico, ma non deprimente quanto il scoprire chi l’avrebbe affiancato in quell’interrogatorio.
    Aveva sollevato gli occhi verso il capo Auror, occhi vitrei contro quelli oltremarini prima sbuffare come un ragazzino viziato, chiudendo il fascicolo che teneva tra le mani un po’ troppo bruscamente, voltandosi verso l’uscita dell’ufficio.
    Che palle aveva borbottato, sia mentalmente ed evidentemente anche realmente dal momento che sentì la manaccia di Malcolm colpirlo sul retro del collo.

    Non accadde nulla nel momento in cui Logan si incontrò con Gael, ad eccezione di una veloce occhiata e una sigaretta che fumò a tempo record, credeva vivamente della meravigliosa giornata che lo aspettava: interrogare una donna con evidente disturbo di personalità, in compagnia del suo ex migliore amico con un incredibile faccia da schiaffi e sorvegliati da Paprika Le Miel mentre faceva da babysitter a quei due scoppiati di agenti. Anche in assenza di Malcolm Bowie, Rhysand sentiva la presenza dello scozzese attaccata al culo.

    ***



    Appoggiato contro la parete gli occhi vitrei del ragazzo si sollevarono non appena lei entrò nella stanza, ascoltando le parole di Paprika, Rhysand seguì ogni movimento di Agnes -o Vivianne- cielo non era passata nemmeno mezz’ora ed aveva già il mal di testa prima di spostare lo sguardo sulla figura di Gael.
    Un angolo della sua bocca si sollevò appena mentre recuperava il tabacco dalla tasca interna della divisa –Ti trovo bene anche io, cella vista mare immagino- mormorò calmo, osservando le proprie mani mentre si girava la sigaretta –Hai un bel colorito in faccia- avvicinò la sigaretta alle labbra, leccando la colla della cartina prima di chiuderla con le dita, lo stesso sorrisetto e aria strafottente che vedeva impresso su Agnes e ancor prima di accendersela, che Rhysand lanciò tutto il necessario sul tavolo –Sei stata dentro la mia testa, dimmelo tu.-
    Ma entrambi sapevano che ricordi o meno, Rhysand era già a conoscenza di quella risposta.
    Inalò il primo tiro nello stesso momento in cui Gael iniziò a parlare, vedendolo sedersi di fronte a lei con la coda dell’occhio; ammetteva a sé stesso che c’erano un po’ di cose che avrebbe voluto chiederle, per esempio il perché avesse deciso di munirsi di un mini esercito di studenti imperiati, forse per mancanza di personale?
    Lanciò un’occhiata a Paprika da oltre la sua spalla, buttando fuori il fumo appena aspirato, allontanandosi finalmente dalla parete su cui si era appoggiato non appena fece il suo ingresso.
    Avrebbe potuto interrompere Gael con qualche cavolata, ma nonostante fosse uno stronzo sapeva ch’era meglio starsene zitto per ora, perciò allungò la mano verso la sedia libera, avvicinandola a sé mentre la girava in modo tale da avere lo schienale davanti a lui. Si sedette, le braccia appoggiate sullo schienale.
    -O con la puzza. Deve fare un po’ schifo, avere tutto un attimo prima mentre quello dopo…non ti da fastidio l’idea che tu sia qui al posto di altri?- mormorò non appena notò che Gael avesse terminato di parlare, avvicinando nuovamente la sigaretta tra le labbra senza preoccuparsi di mascherare quell’espressione fastidiosa impressa sul volto –Almeno ne vale la pena? Cosa volevi fare, creare un nuovo mondo con nuove regole o perché la tua esistenza fa così pena da temere che nessuno ricordasse il tuo nome?-
     
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    Tamburellava incessantemente le dita sul tavolo, quasi come se fosse stata una pianista alle prese con un pezzo in 6/8 particolarmente rapido. Il movimento delle dita era imitato da un agitare blando ma costante delle gambe, accavallate l'una sull'altra, mentre con le iridi color antracite continuava a far saettare lo sguardo prima su Gael Naharis e poi su Rhysand Logan, ascoltando con un contegno quasi indifferente le parole che entrambi proferivano.
    Sembrava volessero giocare al solito e abusato giochetto dello sbirro buono e dello sbirro cattivo: Naharis - ne era sicuro - aveva tentato di approcciarla con un balsamo di parole, probabilmente scelte con cura, che volevano sembrare piene di una condiscendenza ed una commiserazione tali da farla sentire inadeguata. La stessa condiscendenza e la stessa commiserazione che lei aveva utilizzato in più occasioni nella sua vita, tanto che le era onestamente impossibile non riconoscerle.
    Ne hai di strada da fare, ragazzino, se questo è ciò che vuoi
    Scosse la testa, mentre sentiva gli angoli della bocca inclinarsi verso l'alto e il labbro superiore arricciarsi, scoprendo i denti bianchissimi, che neanche quella prigione era riuscita a macchiare.
    "Che belle parole" iniziò, adottando lo stesso stile comunicativo. "Immagino che tu lo sappia bene cosa significa vivere con pensieri deleteri, dico bene? E magari sei anche convinto di avermi messo all'angolo con questo discorsetto che ti sei preparato e che io, Agnes MacNair o Vivianne Platt, dopo tutto ciò che queste mie mani hanno fatto - disse mostrandogli i palmi - non possa resistere alla tua sagacia" rise di gusto.
    Gliel'avrebbe volentieri fatto fare un giretto nella sua mente: una passeggiata tra gli anfratti più reconditi dei suoi pensieri così che vedesse e sentisse il peso sulla sua stessa psiche degli orrori di cui si era macchiata la coscienza, mentre continuavano a premere su di lei e lei vi si era immersa completamente, così da trovare per la prima volta la via che le consentisse di trovare la sua vera dimensione, qualunque essa fosse.
    "E pensi addirittura di esserti conquistato il diritto di conoscere i motivi che mi hanno spinta a consegnarmi" abbandonò qualunque compostezza o finta compiacenza avesse finora dipinto, come una maschera, sul suo volto, inchiodandolo con uno sguardo di fuoco. "Non ti conviene cercare di capirmi: della tua comprensione non ne ho bisogno né, tantomeno, saprei cosa farmene. Alla fine sei solo un povero ragazzino che gioca a fare l'adulto, venendo qui di fronte a me, offrendomi che cosa? Una rielaborazione dei miei crimini? Una non richiesta commiserazione per ciò che sono? Come se sapessi davvero con cosa hai a che fare, mentre invece non sai niente."
    Poi era venuto il turno di Rhysand Logan.
    Di tutte le persone che aveva stregato e con cui, suo malgrado, si era ritrovata a condividere i pensieri, Logan entrava a pieno titolo nella top tre delle persone più vuote e inconsistenti; la sua mente era un panorama desolato, un sentiero tra le dune di un deserto arido e freddo nel quale non si annidava altro se non un ipertrofico ego, creato a misura sua per sopportare il proprio senso di bieca inadeguatezza e impedire al vuoto che aleggiava all'interno di risucchiare ogni cosa dentro di lui, come una sorta di entropico buco nero.
    Non deluse di certo le sue aspettative e l'unica cosa che l'avrebbe reso più interessante ai suoi occhi era il fatto che stesse fumando, tentando di darsi un tono da sbirro cattivo e spazientito, un uomo che non doveva chiedere mai e che non si abbassava, dall'alto della sua protervia, a trattare con la feccia dei comuni mortali; in altre circostanze, probabilmente, gli avrebbe chiesto di farle fare un tiro , visto che le mancava davvero la sensazione del fumo che scendeva a ritmo costante verso i polmoni.
    Ebbene, tutto ciò che ai suoi occhi poteva rendere Rhysand una persona degna di attenzione era la sua sigaretta, e questo la diceva davvero lunga.
    "Devo dire che sei rimasto nel personaggio. Adesso si che sono offesa, ora se permetti
    andrò a piangere in un angolo"
    disse, non appena ebbe udito le parole del biondo. "O forse questo è quello che fai tu di solito, dico bene? Ti offendi quando la gente non ti tributa gli onori che senti - opinabilmente - di meritare. E sì, ci sono stata io nella tua testa, e mi trovo di nuovo a constatare che non sai neanche distinguere una domanda retorica da una domanda vera; la prossima volta, leggiti un dizionario, così da iniziare a riempire la tua scatola cranica" continuò, anche in questo caso, adottando i toni corrispettivi a quelli del poliziotto.
    "Cosa volessi o non volessi fare di certo non vengo a dirlo a te, ammesso che tu sia in grado di capire qualcosa di diverso da quale parte vada impugnata la bacchetta. Quanto al ricordare il mio nome, questa si chiama proiezione: se vuoi diventare un bravo poliziotto dovresti imparare a guardare le cose fuori dal tuo microcosmo, visto che sappiamo entrambi che, tra me e te, il terrore di essere una persona irrilevante appartiene a te, e non di certo a me" concluse l'arringa con il tono che avrebbe utilizzato di fronte ad un bambino capriccioso che la importunava con domande stupide e ripetitive.
    "Signorina, parliamo io e lei" disse, apostrofando la donna seduta in disparte che prendeva appunti. "Ho già sprecato troppe parole dietro ai bambini che ha portato al parco giochi; se volete le mie informazioni, voglio un accordo. Non dirò una parola di più e me ne tornerò immediatamente in cella, a meno che io non venga spostata immediatamente dopo questo colloquio al Reparto Malattie Psichiatriche del San Mungo. Sono pazza no? Una pazza che ha fatto cose terribili, alcune delle quali ancora non di vostra conoscenza, quindi perché non tentare un programma riabilitativo per la mia psiche compromessa, così da riabilitarmi. D'altronde, non serve a questo il carcere?"
    Non c'erano migliori segreti di quelli nascosti in piena vista. Lo sapeva benissimo lei, che per anni aveva celato la sua vera identità dietro l'inappuntabile facciata di Vivianne Potter, la moglie di Albus Severus Potter; in quel caso, aveva nascosto la sincerità delle sue parole dietro un muro di perfetta occlumanzia, l'arte in cui da sempre era stata una professionista nata.

    Edited by Gabriel S. Silente - 14/9/2022, 01:02
     
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    Prevedibile come un pendolo che oscilla fra noia e dolore. Ma in quegli intervalli fugaci e illusori, Agnes McNair non aveva né gioia e né piacere (quelli se li procurava facendo del male agli altri), bensì altra insoddisfazione che la rendeva acida e amara come il veleno. Una mantide orchidea pronta a mangiare la testa di chiunque, genitori, studenti, compagni.
    Gael si trovò a riflettere su quanto potesse essere stata misera l'esistenza di quella donna per essere diventata così ossessionata da chissà quale scopo. Riportare in vita Morgana? O altro? Più la donna parlava, più l'Auror rifletteva. Era stata sposata per anni, aveva ingannato amici e parenti, eppure non pareva esserci un briciolo di rimpianto in lei. Osservò il movimento di quelle dita nude martoriate sul tavolo e percepiva il vento creato dal movimento oscillatorio delle gambe accavallate. Era nervosa o irritata? Probabilmente, a giudicare dal tono della sua risposta, stizzita dal ritrovarsi a fare di nuovo da baby-sitter a quei due ragazzini. Trattenne un sorriso: infastidirla non era nei suoi propositi, ma il fatto che si aspettasse una risposta tanto inutile gli aveva dato la parvenza, seppur minima e irrilevante, di conoscerla.

    Non appena la carcerata finì quello sproloquio, Gael riprese parola. Allungò le gambe e sgranchì il collo: quelle sedie erano dannatamente scomode e, unite alla presenza della McNair, gli creavano fastidio alle giunture. - Non starò a rispondere ad ogni banalità che hai detto, ma forse devo chiarire una cosa - disse inarcando la schiena verso il tavolo per ritrovarsi con l'addome premuto sul bordo - Dovresti ringraziare qualunque Dio in cui credi che siamo ancora interessati a te. Questo fa sì che tu non marcisca qui da sola per il resto dei tuoi giorni, dimenticata da tutti. Perché alla fine tutti quelli a cui hai fatto del male, a cui hai massacrato l'esistenza, andranno avanti e ricostruiranno pezzo dopo pezzo la loro vita. Mentre tu starai qui. Giorno dopo giorno, ad ingrigirti sempre di più. Persino dopo la morte il tuo corpo giacerà qui, nel cimitero di Azkaban. Una tomba senza nome e senza valore. - Finì il proprio di sproloquio. Non perché lo ritenesse banale, ma sapeva che non avrebbe nemmeno scalfito di una virgola l'animo di Agnes, che di spazzatura ne aveva vista così tanta da diventarne parte. - Ma se ci può essere una soluzione che mette d'accordo sia te che noi, non vedo perché non coglierla: ti daremo ciò che chiedi, se collaborerai e risponderai alle nostre domande. -

    La sola idea di avere la McNair nello stesso reparto di sua madre gli faceva ribollire il sangue nelle vene, tuttavia, cercò di non cedere alle sue provocazioni sebbene il primo istinto sarebbe stato quello di sbatterla al muro. Non provava alcuna pena per lei, né compassione. Non gli interessava capirla: che fosse una vecchia pazza era piuttosto palese, ma probabilmente era a conoscenza di qualcosa. Doveva essere così. - Direi quindi che i giochetti e le provocazioni possono finire qui. - disse, calmo e tagliente. - Rispondi a ciò che ti ho chiesto poco fa. Dici che non so niente, quindi fammi sapere tutto su di te e i tuoi collaboratori. -
    Non avrebbe sprecato fiato per ripetere le domande, certo che la donna fosse munita di una buona memoria.

    Lo sguardo oltremarino si sganciò poi da Agnes solo per un momento, quando ricercò il sostegno di Rhysand. L'odore di fumo aveva impregnato la stanzetta fin troppo affollata. Tornò poi ad osservare la McNair che guardava avida il bastoncino pieno di incandescente nicotina. - Sarai venuta a conoscenza che abbiamo perso uno dei nostri, intorno alla metà di Maggio. - Prese il fascicolo di "Una notte al museo" e lo aprì sull'identikit di Virgil. - Riconosci questo ragazzo? - Chiese guardandola in faccia per non lasciarsi sfuggire la minima smorfia.
     
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    Il disagio figurava tra i prezzi da pagare affinché la natura di Paprika si modificasse in libertà. Si evolvesse e si dipanasse spandendo la propria tela anche oltre ciò che immaginava di essere. Dal punto allegorico in cui si trovava sul momento, la Paprika del passato sfumava senza sparire ma garantendole aloni-guida. La Paprika del futuro appariva come una bozza, un tripudio di grafite brulicante che a tratti spariva e a tratti riappariva più nera di prima. Aveva iniziato con un’ingorda passione per lo studio che, sin da subito, aveva abbracciato l’aspetto umano che ne derivava. Mente e cuore si intersecavano fra nozioni ed emozioni quasi a consolidare uno spesso cordone che sostenesse la strega. Una spina dorsale che lei stessa intrecciava senza badare al dolore che, via via, si impadroniva delle sue mani. Intraprendere la carriera di precettrice non era mai equivalso al “giungere a una conclusione”; forse si era sempre sentita che il ruolo della maestra non fosse tagliato per la sua persona. Forse, si era invischiata nell’insegnamento all’unico scopo di salvare un bambino dalla sua stessa famiglia. Così, era capitolata nel luogo che più di tutti sentiva suo: gestire la biblioteca continuava ad appartenerle malgrado la personalità cangiante, se non lunatica. Da lì traeva i nutrienti del sapere ma, contemporaneamente, trovava la maniera di concedersi “stravizi culturali”. Amava la sua mostrina di bibliotecaria e sempre l’avrebbe amata ma... non bastava. Era sua piena intenzione convogliare quanto assorbito lì per rielaborarlo e asservirlo a quel che si stava verificando dopo. Una naturale conseguenza, seppur nebulosa, che l’aveva condotta fra quelle pareti fredde, umide, quasi pronte a squittire da un’istante all’altro. E dunque: fuori infuriava la tempesta, dentro il disagio verniciava le labbra di tutti con il sale marino.

    Le Miel detestava l’idea d’essere scambiata per una bieca voyeur e, in effetti, non era a una serratura da occhieggiare che andava limitandosi. Prestava ascolto, lasciava che la più solleticasse la pergamena ma non parossisticamente né all’infinito. Studiava gli individui che sottraevano ossigeno alla stanza, sotto i riflettori di un muto consenso. Le era necessario comprendere quali dinamiche si stessero instaurando sotto a quella cappa grigia e asfittica. Doveva mantenersi pronta a scattare e intervenire, tanto che un paio di volte le venne il dubbio ma tacque. Preferì lasciar spazio a chi, in quel caso, spettava. Munita di discrezione, aveva cercato un contatto rassicurante con ambedue i giovani Auror e le fu letteralmente impossibile non notare la tattica adottata dai due. Volontariamente o meno, si erano giocati la parte del “buono” e del “cattivo” con un primo approccio piuttosto debole. Possibile che Gael avesse ecceduto nell’indorare la pillola con ottimi propositi ma risultati “fraudolenti”. Dal canto suo, Rhysand era così blindato nella sua ostilità dal darle enorme precedenza rispetto a quanto dovesse ottenere. E Vivianne non si era risparmiata di sottolineare simili dettagli, rileccandoli di veleno letale. Non era l’ultima arrivata, non era una donna ingenua dalla quale ottenere tutto e subito. D’altro canto, benché l’interrogatorio lo stessero gestendo due agenti inesperti, Platt non poteva nutrire egual speranza. Non poteva davvero credere che bastasse puntare i piedi per ottenere quanto imperiosamente richiesto. La merce di scambio scottava come magma ma, secondo il parere di Longue Langue, non era così che doveva funzionare.

    Ecco che, ancora immersa nel silenzio, disarcionò i tratti affilati della prigioniera con ancora bene impressa ogni contrazione fisionomica (pressoché nulla, forzatamente imbalsamata nell’occlumanzia e nell’impassibilità) per agganciarsi ai volti tesi dei poliziotti. Distribuì accuratamente lo sguardo pervinca sull’uno e sull’altro nel tentativo di comunicare. Di mettere loro delle briglie invisibili. <i>“Non abbiate fretta”, sembrava suggerire loro sbattendo le palpebre orlate d’inchiostro. D’altronde, era a lei che Agnes aveva deciso di rivolgersi. Era con lei che voleva trattare. Allora, la Secondina inspirò lentamente dalle narici e si sbilanciò appena in avanti con lo scopo di trovare un appoggio sul tavolo che aveva davanti. Le dita guantate di una mano, carezzarono debolmente le nocche dell’altra. Dato che, sebbene sprezzante, la McNair aveva imposto un registro più formale, anche Paprika vi sarebbe tornata senza indugi, nel nome di uno scambio efficace. Si sarebbe espressa prima che Naharis o Logan riprendessero l'operato.

    - Vivianne, non so chi lei creda io sia ma, intanto, posso offrirle la mia impressione. - la osservava ma non per esaminarla: per entrarvi in una sorta di sintonia. - La mia impressione è che lei sia una donna lucida, estremamente presente a se stessa. Tuttavia, un’idea non può bastare alla dichiarazione di una diagnosi e penso lei sia abbastanza intelligente da capirlo. - le lunghe gambe si accavallarono naturalmente. - Il mio ruolo attuale qui dentro è quello di supervisore, nient’altro. Non ho alcun potere decisionale in merito quindi, ciò che posso fare, è consigliare ai due Auror di agire con assennatezza. Guardiamoci in faccia: le informazioni in suo possesso ci sarebbero di enorme utilità e siamo consapevoli del suo vantaggio in proposito ma... suppongo dovrà avere pazienza. - asserito ciò, si stupì di come la sua passionalità non l’avesse mai abbandonata. Ne aveva usufruito in sorprendente contrasto con le sue esplosioni emotive ma ciò non impediva al suo cuore di rullare. Al sangue, di vorticare nelle sue vene. Dunque, lasciò spazio alle persone cui competeva scendere a patti.
     
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    Appoggiò il mento sul palmo della mano, il gomito posizionato sullo schienale della sedia mentre, lentamente, gli angoli delle sue labbra si sollevarono pian piano verso l’alto.
    Era stato zitto quando la sentì aprire bocca, era stato zitto quando rivolse la sua attenzione a Naharis e rimase zitto quando la donna parlò con lui, perché se pensava che insultarlo o enfatizzare alcuni dei suoi molteplici difetti potesse farlo scattare beh, si sbagliava. Dopotutto né ad Agnes né a lui fregava un cazzo di mordersi a vicenda lasciando i marchi sulla propria pelle, come ad entrambi non fregava nulla dell’esistenza dell’altro. Così, come Rhysand sapeva che ci voleva ben altro per far crollare la donna, ben altro per ottenere da lei ciò che lui e l’altro agente desideravano e di certo non sarebbero state delle parole rancorose, proferite a causa di un passato irrequieto di Gael, ad ottenere delle risposte. No.
    Decisamente no.
    Agnes era troppo intelligente ed orgogliosa per cedere così facilmente, piuttosto che ammettere a quei due ragazzini quanto le mancasse prima di toccare il fondo della disperazione avrebbe di gran lunga preferito tagliarsi la lingua, accettato il bacio di un Dissennatore, vivere reclusa in quello schifo di cella per il resto della sua vita piuttosto che parlare. Perché sapeva di avere ciò di cui loro avevano bisogno, perché pensava di stare costantemente a un passo davanti a tutti quanti loro. Ministro compreso.
    E il fatto che fosse esattamente quella la situazione attuale, era imbarazzante.
    Perché non avevano nulla tra le mani, né Auror né agenti della Squadra Speciale Magica mentre lei, lei poteva dargli la svolta che aspettavano da quanto? Settimane? Mesi?
    Probabilmente Bowie si era fumato il cervello per averlo scelto quel giorno, stare lì seduto insieme a Naharis mentre Agnes abbaiava contro alle loro domande, probabilmente credendo di insultarli per bene anziché collaborare, era una grande cazzata.
    Lei era una grande cazzata.

    Avvicinò la sigaretta nuovamente alle labbra, aspirando e buttando fuori il fumo qualche istante dopo perché era meglio fumare piuttosto che continuare quello stupido giochetto a chi ce l’ha più lungo, perciò buttò fuori il fumo aspirato, voltandosi appena alle proprie spalle e incrociando il volto di Paprika che sembrava stesse urlando avvertenze ad entrambi i due ragazzi.
    Dannazione.
    Non ce la facevano Auror con più esperienza di loro, cosa diavolo si aspettavano che risolvessero quei due idioti? La fame nel mondo?
    Eppure la situazione andò avanti e…cavolo.
    Questa volta Logan guardò l’altro agente di sfuggita trattenendo quello stupido bisogno di doversi mettere a sogghignare in situazioni dov’era meglio starsene zitti, buoni e seri. Ancor prima che realizzasse il tutto si ritrovò ad allungare il braccio verso di lui, bloccandolo –nonostante ci fosse già il bordo del tavolo come ostacolo- da qualunque cosa Naharis avesse in mente di fare: che volesse saltarle addosso ottenendo le risposte con le cattive maniere o che volesse semplicemente farle brutto poco gli interessava, non sapeva nemmeno il perché lo avesse bloccato o del perché avesse mormorato a bassa voce –Vacci piano Rambo con le promesse- scuotendo appena la testa senza levare il braccio che faceva da doppio blocco, non fino a quando non avrebbe sentito Nahairs tornarsene con la schiena incollata alla stramaledetta sedia
    Da come si era immaginata la situazione, Rhysand, quella attuale era totalmente fuori dalla sua immaginazione, una parte di sé pensava che avrebbe dovuto provare dell’odio verso quella donna, risentimento, rabbia, le classiche emozioni che provava quotidianamente ma, nello stesso momento in cui mise piede lì dentro che la sua mente, semplicemente, si calmò. Se non fosse per l’unico tarlo nel cervello che urlava a squarcia gola il nome di Isabella.
    Dopotutto avrebbe avuto tutto il diritto di sentirsi in quel modo, di bramare risposte, renderle la vita un inferno esattamente come quello che Gael sembrava stesse puntando di fare e invece… il nulla. Come se non fosse mai stato imperiato, come se non avesse fatto qualunque cosa che ancora non ricordava, come se non bramasse ogni tanto quella strana sensazione di libertà mentale che non riusciva a spiegarsi.
    Era solo un ragazzo di diciannove anni in veste di agente della Squadra Speciale Magica, seduto ad un tavolo in una lurida stanza di un lurido carcere, con una criminale che piuttosto che ammettere le sue colpe si auto diagnosticava un disturbo psicologico perché “è meglio essere pazza ma comoda che sana di mente ma senza diritti.”
    Eppure, potevano fare meglio di così.
    Si alzò dalla sedia, posizionandola –per questa volta- nel modo corretto prima di risedersi, afferrò nuovamente il proprio tabacco nella tasca interiore nella giacca mentre teneva bloccato il filtro della sua sigaretta tra le labbra, ignorando il fumo che iniziava a dargli fastidio. Velocemente e stringendo nuovamente la propria sigaretta tra le dita, il diciannovenne ne aveva appena girata una per la donna ostinata e maledettamente furba, seduta davanti a loro e, senza dire nulla, allungò la mano –la quale teneva la sigaretta- verso la donna fermandosi a metà del tavolo.
    -Ricominciamo da capo- mormorò piano Logan –Sento un po’ di tensione, qui dentro.- continuò calmo, attendendo e sperando che la donna accettasse quella stupida offerta di “pace” momentanea.
    E se Agnes avesse accettato la sigaretta, Rhys si sarebbe sporto appena soltanto per accendergliela.

    Incrociò le braccia sulla superfice del tavolo, dopo aver spento la sigaretta e lasciato il mozzicone ai piedi del tavolo, osservando la foto che Gael aveva spiattellato sul tavolo prima di incrociare il suo sguardo per qualche istante.
    Doveva essere cauto questa volta, usare le parole giuste senza avere tanta fretta, avrebbe potuto risponderle come sempre faceva, mettendo da parte i suoi doveri da agente comportandosi come un’idiota soltanto per soddisfare quel lato sadico di se stesso. Avrebbe potuto, anche perché era la prima occasione dopo mesi per vedere Gael esplodere di rabbia, insomma uno show in prima fila. Un’occasione del genere non capitava mica tutti i giorni, perciò perché privarsene?
    Però…
    -Non è così che funzionano i patteggiamenti- iniziò –E fingerti disturbata mentalmente non ti garantirà una stanza in dieci minuti-.
    -Lo sai meglio di tutti noi che abbiamo bisogno delle tue informazioni perciò trovo superfluo girarci intorno con delle cazzate e qualche provocazione, che dici? Ciò che potrei fare una volta terminato questo incontro è alzare il mio culo e sentire il mio capo e il suo capo, riferire a loro la tua proposta e lasciarti un maledetto foglio di carta come garanzia, che garantisce lo spostamento al San Mungo quando la tua richiesta viene accettata.-
    e lo sai che verrà accettata. Sentì le parole aggiungersi mentalmente, ma le trattenne e continuò –Possono verificare che tu sia veramente pazza o semplicemente fingere che sia così ed essere trattata nuovamente come un essere umano, lontana da qua, lasciandoti tutti i comfort che pensi di meritare così che tutti quanti possano vivere felici e contenti. Potrebbe essere una proceduta veloce, massimo qualche settimana d’attesa e ti lascerai alle spalle questo luogo per sempre. È un atto di fiducia, con le firme di chi cazzo vuoi sulla garanzia che ti farà compagnia fino a quando i tuoi desideri non verranno esauditi.
    Peccato che non sarà un atto di fiducia a farti parlare o sbaglio?-
    si appoggiò contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto. Rhysand stava usando un tono di voce estremamente pacato e non provocatorio come sempre.
    Aveva pensato a qualcosa che potesse funzionare per entrambe le parti, nonostante trovasse l’idea di lei fuori di testa una dannata presa per il culo per quelli che lo erano veramente e forse aveva parlato troppo presto, forse stava proponendo qualcosa che mai gli avrebbero concesso, magari stava allungando una proceduta soltanto perché era paranoico ma, se fossero tutte cazzate quelle che uscivano dalla sua bocca?
    Potevano veramente permettersi di fidarsi di quella donna, al primo impatto?
    No. Non con suo fratello ad Hogwarts.
    -Ma né te né noi abbiamo settimane a disposizione e più stiamo qui a discutere su cosa vuoi subito, più ci fai perdere tempo e nessuno di noi ottiene ciò che vuole. Perciò ti propongo questo: posso provare a farti ottenere una garanzia in questo giorno, ci dai metà- teneva puntato lo sguardo vitreo in quello della donna, serio come mai lo era stato prima di quel momento – e quando dico metà intendo il cinquanta per cento delle informazioni, Agnes: nomi, fatti, luoghi, voglio sapere tutto. Niente giochetti né cazzate, se qualcosa dovesse risultare falsa, l’accordo salta.- ed era serio, se le informazioni li avrebbero portati ad un punto cieco, se qualcosa non dovesse tornare o risultare totalmente inutile, avrebbe bruciato la pergamena davanti ai occhi. E ciao ciao San Mungo.
    -Se invece le tue informazioni dovessero risultare utili, si procederà con lo spostamento e una volta sistemata, ci darai il resto. E credimi, in questo caso avverrebbe velocemente- terminò, unendo le mani a mo’ di applauso silenzioso, prima di lasciarle ricadere sul proprio grembo -Uno scambio equo da entrambe le parti- concluse rivolgendo questa volta uno sguardo a Gael.
    Dannazione, sperava di non aver sprecato fiato inutilmente anche questa volta.
    -Allora Agnes che ne dici, iniziamo a collaborare?- chiese nuovamente, trascinando il fascicolo che l’Auror aveva portato con sé, verso di lui.
    -Dimmi chi è, come faceva a sapere il luogo della missione, che cavolo stava cercando e ti procurerò la tua garanzia-
     
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    WHAT DOESN'T KILL ME BETTER RUN

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    The Unknown

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    Un brivido freddo le percorse la schiena; le pareti di Azkaban stavano esigendo e continuavano ad esigere un prezzo decisamente alto da lei e, nel tentativo di non impazzire, Agnes aveva perso molti pezzi di sé, durante quei mesi. Parte della sua energia mentale, quella che emergeva prepotente quando animata dalla bramosia del potere, quella che si sprigionava da lei sublimandosi in un istinto mortifero e letale che schiacciasse o rimuovesse tutti gli ostacoli, di qualunque natura essi fossero, si trovassero tra lei e la sua meta, sembrava essersi esaurita, lasciando all'interno un vuoto che aveva difficoltà a colmare.
    Un vuoto doloroso, che le faceva male ad ogni respiro, visto che da quel non luogo oscuro era emersa un'altra entità, che non si era affacciata in lei per molto, molto tempo: il senso di colpa, che demandava l'espiazione per ciò che aveva commesso.
    Una sorta di Inquisitore Supremo personale con il suo stesso volto, che la inchiodava con le sue accuse, condannandola ad un verdetto di assoluta colpevolezza, senza alcun tipo di appello.

    La mia impressione è che lei sia una donna lucida, estremamente presente a se stessa. Tuttavia, un’idea non può bastare alla dichiarazione di una diagnosi e penso lei sia abbastanza intelligente da capirlo. Il mio ruolo attuale qui dentro è quello di supervisore, nient’altro. Non ho alcun potere decisionale in merito quindi, ciò che posso fare, è consigliare ai due Auror di agire con assennatezza. Guardiamoci in faccia: le informazioni in suo possesso ci sarebbero di enorme utilità e siamo consapevoli del suo vantaggio in proposito ma... suppongo dovrà avere pazienza.



    Sentì un moto improvviso e strano dentro di lei; da una parte il fastidio per il giudizio sommario, espresso sulla base di ciò che traspariva dalle sue parole durante l'interrogatorio, e dall'altra la voglia di chiedere aiuto alla donna seduta con le gambe incrociate. "Vuoi farti un giretto nei miei pensieri?" domandò, mascherando la richiesta d'aiuto con un commento pungente. "Se devo collaborare con voi, dovrò averne qualche vantaggio e dubito di riuscire a rimanere ancora a lungo in possesso delle facoltà mentali che mi consentirebbero di aiutarvi, se rimango rinchiusa qua altro tempo." sussurrò, a bassa voce.

    Dovresti ringraziare qualunque Dio in cui credi che siamo ancora interessati a te. Questo fa sì che tu non marcisca qui da sola per il resto dei tuoi giorni, dimenticata da tutti. Perché alla fine tutti quelli a cui hai fatto del male, a cui hai massacrato l'esistenza, andranno avanti e ricostruiranno pezzo dopo pezzo la loro vita. Mentre tu starai qui. Giorno dopo giorno, ad ingrigirti sempre di più. Persino dopo la morte il tuo corpo giacerà qui, nel cimitero di Azkaban. Una tomba senza nome e senza valore.



    "Dopo aver sconvolto le leggi profonde della Magia Arcana della vita, dopo aver preso io stessa delle vite in maniera consapevole e, grazie a questo gesto, spaccato la mia anima, pensi davvero che io sia preoccupata dal ricordo che lascerò di me? Pensi che io mi trovi di fronte ad un'impellente necessità di trovare una divinità cui temere il giudizio finale o votare le mie preghiere per avere perdono?" disse, scandendo ogni parola con livore e veleno. "Pensi davvero che abbia bisogno dello spauracchio di una qualche punizione divina per rendermi conto della portata delle mie azioni? Sei davvero così stupido come sembri, Gael Naharis? Per toglierti ogni dubbio in merito, non me ne frega un cazzo di ciò che gli altri possano pensare di me, dell'opinione delle masse, del lasciare un ricordo buono o cattivo che fosse, ma tutta quest'affermazione la dice lunga su di te. Hai proprio bisogno di sentirti apprezzato e hai il terrore di essere irrilevante, vero?"
    Nonostante Gael Naharis fosse libero, libero di fare ciò che voleva quando lo voleva, in realtà tra lei e lui quello in catene era proprio il ragazzino che giocava a fare il poliziotto e, sorprendetemente, Agnes avvertì un moto di pietà e compassione prendere corpo dentro di lei: era quello ciò che aveva rifuggito per tutto quel tempo, alla ricerca di qualcosa di più grande e, nonostante fosse reclusa con la sola compagnia dei propri demoni, poteva affermare senza timore di smentita, che era comunque più libera di lui.

    Ascoltò le parole di Rhysand Logan con un misto di soddisfazione, come una madre che vede il proprio figlio per una volta portare a casa un successo, seguendo l'esempio che aveva appreso. Sorrise, mentre constatava che, alla fine dei conti, ciò che aveva fatto su Rhysand l'aveva elevato rispetto al desolante stato in cui si trovava e, senza dubbio, seppur rimanesse ancora un idiota, almeno aveva imparato a trattare per ottenere ciò che voleva.
    "Bravo Rhysand, che non si dica che tu non abbia imparato qualcosa da me."
    Si sistemò più comoda - per quanto possibile - sulla sedia e incrociò le mani di fronte a lei. "Proviamo a fare questo accordo. Vi dirò qualcosa qui e subito ed il resto lo saprete quando sarò spostata al reparto Malattie Psichiatriche del San Mungo e, possibilmente, messa sotto scorta, visto che al momento non sono in grado di difendermi, senza la mia bacchetta, e ho altri piani rispetto al farmi uccidere così da non poter parlare più di quello che so." annunciò, pratica.
    Prese il fascicolo che Naharis le aveva messo davanti, indugiando momentaneamente sulla foto del ragazzino , osservandola con un misto di sgomento.
    "Gabriel è andato a ficcare il naso in una questione che è molto più grande di lui, del Mondo Magico, dell'Inghilterra, persino della storia dell'ultimo secolo." iniziò, monocorde. "Tuo padre così come quel pazzo di tuo nonno facevano parte di una congrega di maghi che da secoli, o forse addirittura da un millennio, ha custodito i più grandi e pericolosi misteri della magia. All'interno di questa specie di società segreta, nel corso dei secoli, un consiglio di saggi ha fatto sì che l'ordine delle cose fosse solo influenzato e non travolto, così da custodire i propri segreti ancora a lungo. Ora le cose sono cambiate, ma non vi dirò più di questo, perché non voglio morire domani assassinata nella mia cella, non appena il resoconto di ciò che vi sto dicendo raggiunga le orecchie sbagliate."
    Deglutì, mentre scuoteva la testa. "Si fa chiamare Virgil" disse, indicando con le dita innaturalmente magre la foto. "Nessuno sa di più su di lui, né da dove venga, non risulta in nessun archivio. Ha ricevuto un compito dal suo padrone, un'entità che lui stesso nomina come una sorta di Messia; pare che ci sia lui dietro molti degli sconvolgimenti avvenuto in seno al circolo: è molto potente, probabilmente i suoi poteri gli sono stati trasferiti dal suo padrone in persona in maniera innaturale, ma è lui il suo nuovo favorito e, per un periodo, mi ha offerto il suo aiuto, anche se so che fosse tutto parte di un piano più grande. Ma anche in questo caso, se volete saperne di più sul suo padrone, non sarà tra queste mura che avrete il resto.
    Fece una pausa.
    "Il Ministero è invaso da spie e talpe" annunciò, pratica. "Buona parte di quella rete è stata tessuta dalla sottoscritta quando ancora mi facevo chiamare Vivianne Platt ed ero la moglie di Albus Severus Potter; le spie ora sono mosse come burattini da qualcuno - non so davvero chi sia, ma sospetto che se Virgil ha mandato i suoi cagnolini fedeli in giro, probabilmente è lui che ne ha preso le redini. Se volete dei nomi, io so solo quelli che lavoravano anche per me: Bernie Reagan, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, Melvin Norris, Ufficio Regolazione e controllo delle Creature Magiche e Bart Fletcher, Manutenzione Magica. Loro tre sicuramente sono coinvolti, ma stanno sull'attenti e se non li prenderete con le mani nel sacco sarà solo un buco nell'acqua e Virgil, o chiunque ci sia dietro questa storia, saprà che siete appresso a loro." disse, definitiva.
    Non avrebbe consegnato altre informazioni, visto che sapeva che, con buona probabilità, il contenuto di quell'interrogatorio sarebbe arrivato alle orecchie delle persone sbagliate, mettendola in grave pericolo.
    "Spero capiate che mi sono fidata di voi molto più di quanto pensiate. Vi chiederei, se possibile, finché non sarò trasferita e al sicuro, di non scrivere un rapporto ufficiale di questa confidenza che vi ho appena fatto e che riferiate il contenuto di questo interrogatorio solo a Gabriel o ai vostri superiori, persone fidate su cui potete contare, altrimenti non avrete altre occasioni per ottenere informazioni da me, mi sono spiegata? Ora, con permesso, me ne torno alla mia cella"
     
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    Nonostante le molteplici differenze che distinguevano Gael Naharis e Rhysand Logan, spiccava, in quel momento, una similitudine che nel corso degli anni li aveva fatti rimbalzare e cozzare più volte l'uno contro l'altro: la difficoltà a contenere certe reazioni impulsive, specialmente se queste riguardavano un fastidioso prurigginio sui palmi delle mani.

    – Vacci piano Rambo con le promesse -

    Avvertì la mano di Rhysand bloccarlo, esattamente come il suo stesso arto aveva bloccato tante altre volte il biondo nei corridoi della scuola, quando potevano ancora considerarsi amici, se mai lo fossero davvero stati. Dopotutto, gli amici risolvevano i disguidi, le incomprensioni e si aiutavano a guarire le ferite, cosa che loro non avevano mai fatto. Comunque, sebbene la loro fosse stata un'amicizia fugace e precaria, quel gesto ricordò al Naharis di darsi un contegno. Le sue intenzioni non erano certo quelle di prendere a schiaffi la McNair, ma evidentemente il suo stesso linguaggio del corpo trasmetteva altro. Lanciato uno sguardo di disapprovazione al collega, dovuto non solo al suo gesto, ma anche alle sue parole, poggiò di nuovo la schiena alla sedia.
    - Mai sentito parlare di bluff, Logan? - pensò stringendo le labbra.
    Paprika aveva già cercato di mantenere Agnes con i piedi per terra, ma il suo tentativo si era rivelato del tutto inutile. Come se non bastasse, la donna aveva completamente frainteso le parole del giovane Auror focalizzandosi sulla cosa sbagliata: a Gael non interessava niente del giudizio e del ricordo che avrebbe lasciato di sé agli altri, perché almeno la sua coscienza era ancora integra. Ma avendo passato gran parte della sua esistenza da solo, alla ricerca di risposte e in un ambiente violento, comprendeva quanto quella miseria potesse far male e il fatto che Agnes si fosse consegnata poteva rappresentare una sorta di tentativo di redenzione (sempre che tutto quello non facesse parte di un qualche piano elaborato).

    -..Hai proprio bisogno di sentirti apprezzato e hai il terrore di essere irrilevante, vero? -

    Sorrise scuotendo appena la testa, esasperato. Lui e la McNair cercavano di ferirsi a vicenda senza arrivare ad alcun risultato: entrambi consideravano l'altro un niente senza valore, dunque le parole non riuscivano neanche a graffiare superficialmente l'animo dell'altro. - No, Agnes. Sei stata nella mia testa, eppure non hai capito niente. Non che sia importante, comunque. - Chiuse quel piccolo e insignificante scontro sperando di poter andare oltre.

    A quanto pareva, ciò che voleva Agnes era chiarire un punto che poteva già essere sottointeso (almeno per lui): dare una parte delle informazioni, essere accontentata e dare l'altra metà delle informazioni. Il parere di Gael era che questa non fosse altro che una buffonata, una mezza misura che li avrebbe lasciati a bocca asciutta: non erano sicuri di niente, né che quanto detto fosse vero, né che lei non sarebbe riuscita a scappare una volta uscita da Azkaban. Non gli interessava che quelle promesse si fossero rilevate false, l'importante era che parlasse e Rhysand era riuscito apparentemente a convincerla. Se poi il Wizengamot o chi di dovere non avesse mantenuto i patti, poco importava. Personalmente, non le avebbe concesso niente, imbottendola invece di veritaserum. La soluzione era talmente semplice che la pelle cominciò a urticargli. Davvero il Ministro e i giudici l'avrebbero accontenta? Non vedeva il senso di una tale mancanza di rispetto e sensibilità verso chi era stato ucciso, ferito o anche solo coinvolto dalla donna che aveva difronte.


    Quando Agnes cominciò la sua confessione, una saetta, ustionante e agghiacciante al contempo, attraversò la testa del Naharis facendogli vibrare la nuca e irrigidire la spina dorsale:
    - Tuo padre è un brav'uomo -
    Ricordo indistintamente questa frase mentre mia madre mi tiene per mano. Gli ultimi steli di lavanda si stanno seccando nei campi. I piccoli petali si librano nell'aria al nostro passaggio. Cerco di non colpirli perché voglio che il loro profumo circondi la casa il più a lungo possibile. Ma stiamo andando di fretta. Beth indossa una gonna lunga pesante e una camicia bianca leggera. Prenderà freddo. Sulle spalle ha la coperta di lana a quadri scozzesi che di solito è sul divano. La usa come mantella per pararsi dal vento autunnale proveniente dal nord. C'è odore di mare. Siamo usciti in fretta e furia di casa e ha pensato prima di vestire me, così che fossi protetto. Ma era tardi, erano arrivati, all'improvviso. Da così lontano sembrano formiche giganti, vestite di nero, il viso nascosto, in una fila ordinata che con passo deciso entrano in casa nostra.
    - Maman, qui sont ces? - le chiedo in un perfetto francese. So quanto ci tiene che lo impari, così potrò interagire più facilmente con gli altri bambini. Spero così di rabbonirla, di convincerla a rispondermi perché ho il sospetto che non lo farà.
    - Tuo padre è un brav'uomo - ripete.


    - Qual è il nome di questa congrega? - chiese. Sapeva che Agnes non avrebbe risposto ad altro, ma tanto di fiato sprecato ce n'era già stato parecchio e un po' in più non avrebbe fatto differenza. La donna non solo voleva la sua ricompensa, ma era evidentemente preoccupata per la sua stessa vita. - Perché ti sei fatta catturare? Se questo Virgil ha uomini ovunque, non pensi che potrebbe sospettare di un tuo tradimento in ogni caso e ucciderti? Magari lui è già qui, tra queste mura. Avresti potuto assumere le sembianze di chiunque e nasconderti. Non ti sei esposta troppo, facendoti prendere? - disse, riflettendo a voce alta. Tutto il mondo magico sapeva che lei fosse lì e non faceva troppa differenza che avesse detto loro niente, metà o tutto: era una mina vagante. Avrebbe detto a Malcolm di controllare tutti, ogni guardia, ogni inserviente, persino ogni minuscolo insetto che fosse fra quelle mura e al Ministero, chiaramente con le dovute precauzioni.
    Puntò i gomiti sul tavolo e unì le mani. Le unghie corte andarono a premere sotto al mento del Naharis mentre le iridi osservavano quella donna che chiedeva loro di non scrivere alcun rapporto così da non mettere a rischio la sua vita. Per quanto lo riguardava, la McNair sarebbe potuta essere assassinata quello stesso giorno, ma loro erano i buoni dopotutto, quindi, nonostante il rancore provato verso di lei, il ragazzo avrebbe accettato di proteggerla. - Sebbene ci consideri degli stupidi, potremmo sorprenderti, Agnes. - La verità era che mentre diceva quella frase, Gael si sentiva un perfetto idiota, perché un'altra cosa che avrebbe detto a Malcolm sarebbe stata quella di mettere alcuni dei suoi uomini più fidati a proteggere la cella e gli spostamenti della McNair. Non per bontà d'animo, ma lei era pur sempre una testimonianza in più da poter ascoltare.
     
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    Di tutti gli interrogatori che aveva tenuto fino ad ora, quello sembrava un fottuto circo.
    Era talmente una situazione assurda il fatto che lui e Naharis si trovassero nella stessa stanza, in silenzio a fare i bravi poliziotti mentre davanti a loro sedeva la donna che si era divertita a giocare al piccolo chimico con le loro menti, per non parlare dei botta e risposta continui, di qualunque cosa Naharis cercasse di trattenere riguardo al suo passato e alla sua famiglia, fallendo miseramente. A Paprika che se ne stava lì in fondo alla stanza a vigilare tutti e tre o ad Agnes, che palesemente si divertiva a giocare, a sfottere, a prendere le loro parole e sgretolarle in mille pezzi soltanto per confermare, ancora una volta, chi cavolo comandasse lì dentro.
    E infine lui. Seduto sulla sedia, girandosi e fumando sigarette ascoltando per lo più Naharis e la Mcnair parlare, piuttosto che intervenire sparando cazzate.

    Assistere a quello scambio di parole fu paradisiaco per Logan.
    Trovarsi in mezzo tra due persone che si mangiavano con le parole, costatando e rimarcando ad ogni turno chi avesse la meglio sull’altro; trovava confortevole quel tipo di chaos, ammirando come poche parole potessero ribaltare la situazione all’istante. Era come guardare un reality show dal vivo, prima da partecipante e poi nuovamente da spettatore.
    Ci mancava soltanto una tazza di caffè o di tea e sarebbe stato perfetto.
    Tuttavia, goduria a parte, non ci pensò due volte ad allungare il braccio verso Naharis, bloccandolo da qualsiasi cosa avesse in mente ma non perché il biondo credesse realmente che uno come Gael si mettesse a picchiare una criminale sotto interrogatorio, estorcendo informazioni con la forza -in realtà Rhys nemmeno sapeva il perché si fosse disturbato a far tanto, scomponendosi così tanto di commettere anche il minimo sforzo fisico, ma perché tutto quello faceva così ridere. E si, forse era un pezzente, uno sprovveduto, uno stronzo arrogante che preferiva vedere chiunque ai propri piedi implorandolo di smetterla ma, quello non era Gael.
    Forse persino Naharis si era rotto le palle di essere quel piccolo cucciolo indifeso o forse, che diavolo ne sapeva lui cosa o non cosa pensava l’Auror.
    A lui poi, cosa gliene fregava? Nulla.

    Avrebbe dovuto sentirsi estremamente in colpa per ammirare quella donna, specialmente dopo tutto quello che aveva causato o quello che avrebbe potuto fare se solo non avesse deciso di farsi catturare ed era ignobile, persino per lui, nascondere i fatti veri e propri: le erano stati dietro per giorni se non settimane, chiunque all’interno del Ministero stava dietro alle sue tracce cercando di scovarla e catturarla con sciocchi imboscate, piani su piani mandati a puttane per cosa esattamente? Trovarsi nuovamente a mani vuote? Ricominciare tutto quanto da capo? No.
    Se Agnes ora si trovava dietro le sbarre, se ora lui e l’Auror sedevano a quel tavolo chiusi in una piccola stanza a cercare informazioni, era solo grazie a lei.
    Avrebbe potuto ridere in faccia al Capo Auror quel giorno, svanire nel nulla lasciando nient’altro che polvere su qualunque pista avessero su di lei, mandando avanti quel sadico gioco del poliziotto e il ladro all’infinito ma per qualche strana ragione la Mcnair decise di fermarsi, deponendo le sue armi.
    Lei lo aveva scelto.
    Lei si era arresa.
    Lei chiedeva patteggiamenti in cambio di informazioni.
    Non loro.
    Non Gael o Malcolm.
    E di certo, non lui.
    Perciò ascoltò quel botta risposta in silenzio, per una parte godendoselo e dall’altro trovando quella minuscola similitudine proferita nel lungo discorso che non riuscì a non ricollegare a sé stesso, escludendo però il costante lavoro e fatica che infliggeva se stesso soltanto per rientrare nella categoria dei “giusti”, lasciandosi una volta per tutti quegli sguardi che lo seguivano fino a quando non ne perdevano traccia.

    Non si scompose nel momento in cui il suo sguardo cadde sul proprio, né tanto meno la brevissima attesa di come le cose sarebbero potute andare, dopotutto continuava a sfancularli a non stop, come poteva sapere Rhys che avrebbe accettato quel patteggiamento?
    Come avrebbe potuto fidarsi delle sue parole?
    Si era ormai abituato a fare così tanto l’animale selvatico che si scordava delle proprie qualità, talmente rare e quasi normali.

    "Bravo Rhysand, che non si dica che tu non abbia imparato qualcosa da me."
    Accolse quelle parole con un minuscolo cenno del capo, senza distogliere gli occhi dalla sua figura e ascoltò.
    Aveva immaginato che di merda ce ne sarebbe stata parecchia, ma non credeva che ne fossero totalmente immersi. Le parole di Agnes parevano quasi assurde per essere vere eppure Rhys non riuscì a pensare il contrario, seguiva il filo del discorso quasi come se si fosse congelato sul posto, i vitrei occhi fissi sul viso della donna, sbattendo a malapena le palpebre.
    “…un consiglio di saggi ha fatto sì che l'ordine delle cose fosse solo influenzato e non travolto, così da custodire i propri segreti ancora a lungo.”
    “Virgil”
    “…probabilmente i suoi poteri gli sono stati trasferiti dal suo padrone in persona in maniera innaturale…”
    “Bernie Reagan, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, Melvin Norris, Ufficio Regolazione e controllo delle Creature Magiche e Bart Fletcher, Manutenzione Magica.”


    Rhys sapeva che doveva aspettarsi tanto ma non credeva sarebbe stato così, tanto. Sembrava come se avesse appena preso un pugno in faccia, tra il padre di Gael e la congrega, la foto che finalmente possedeva un nome, Messia e poteri trasferiti. Spie. Agnes che si era fidata di loro… Era tutto così maledettamente assurdo da essere vero.
    Rimase zitto per altro tempo, con la voce di Naharis che riempiva il silenzio conferito dagli altri due, quasi totalmente ignorando ciò che l’Auror stava chiedendo nuovamente, senza mai distogliere gli occhi da lei e le sue parole, ancora nella testa.

    “Ha ricevuto un compito dal suo padrone”
    Chi cazzo è questo padrone?
    Incrociò le braccia al petto distogliendo per un momento gli occhi da lei, chiedendosi in che cavolo di guaio si era infilato il Ministro della Magia. Doveva esserci uno scopo, no? Insomma se era così tanto segreta quella congrega, perché uscire allo scoperto adesso? Cos’era cambiato nel circolo? Se esisteva da così tanti secoli, perché proprio ora? Perché non intervenire prima?
    Morse l’interno della propria guancia “mi ha offerto il suo aiuto, anche se so che fosse tutto parte di un piano più grande”. Non aveva gran ricordi di quel periodo del suo ultimo anno ad Hogwarts, probabilmente non li avrebbe mai recuperati ma a Rhysand cosa fregava? Sapeva che la discesa verso il proprio abisso fu quando oltrepassò i propri limiti, credendo veramente di aiutare il ragazzo al proprio fianco, invece mentre lui ed altri camminavano con la mente controllata dalla stessa donna che diede a loro grandi informazioni, lui se ne stava da tutt’altra parte.
    Agnes era riuscita a penetrare all’interno della scuola grazie a loro, attaccando e creando ulteriormente chaos ma non era da sola, perché qualcun altro agiva alle spalle di chiunque già da molto tempo, qualcuno di cui tutti si erano fidati, lui si era fidato.
    Isabella si era fidata e nell’unico momento di lucidità, Rhysand l’aveva disarmato.
    Sgranò appena gli occhi, un movimento quasi impercettibile sul suo volto considerando la costante espressione vuota, mentre riportava lo sguardo verso la donna, un semplice scatto che già parlava da sé. No, no è una cazzata eppure sapeva che non gli serviva dire il suo nome a voce alta per far sì che lei capisse.
    Carondell.
    -C’era di mezzo anche lui, non è così?- proferì tuttavia, dopotutto erano quasi due anni che oramai non si avevano più notizie di quell’uomo, ma quante potevano essere alte le probabilità che fosse coinvolto? A insaputa di Rhysand poteva essere bello che schiattato, il mondo non ne avrebbe di certo sentito la sua mancanza.

    Ma non finì lì, perché altre parole entrarono violentemente nella testa di Logan.
    Da un semplice interrogatorio, il diciannovenne era arrivato a provare un forte dolore alle tempie, consapevole del fatto che il loro tempo stesse raggiungendo la scadenza, troppo velocemente.

    “…possibilmente, messa sotto scorta”, “…ma non vi dirò più di questo, perché non voglio morire domani assassinata nella mia cella…”, “…se volete saperne di più sul suo padrone, non sarà tra queste mura che avrete il resto…”

    Ha paura,
    pensò.
    Come aveva fatto a non capirlo prima? Il modo in cui si muoveva, come parlava, il modo in cui li guardava, la persistenza nell’avere un’alternativa, un luogo sicuro perennemente sorvegliato. Forse si sbagliava, forse non aveva capito un cazzo, forse aveva percepito i suoi movimenti e il suo stato nel modo sbagliato scendendo a conclusioni affrettate… ma se non si sbagliava?
    Al San Mungo sarebbe stata perennemente sott’osservazione tra Medimaghi e infermieri, stagisti, personale ospedaliero, quelli addetti alla sicurezza, gli stessi pazienti potevano essere occhi in più per non parlare della possibilità di aggiungere Auror o agenti della Squadra Speciale Magica come custodi; non sarebbe mai stata sola. Sarebbe stata al sicuro.
    Ma anche Azkaban era sorvegliato, anzi era pur certo che fosse più sicuro di qualsiasi altro posto, a meno che…
    Le vitree iridi tornarono nuovamente sul viso di lei, mille domande e punti non collegati palesemente impresse sul suo volto, consapevoli della lunga attesa prima di poter rispondere ad ognuno di esse –Non è solo il Ministero, vero?- mormorò a voce bassa, talmente bassa che sperava che fosse solamente lei a scorgere il movimento delle sue labbra captando quel pensiero e dubbio che potevano essere corretti, quanto sbagliati.

    Edited by Rhysand Logan - 25/10/2022, 00:15
     
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