Dirty Work

Layla L. - Addestramento quotidiano

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    PRIMA SETTIMANA
    26 ottobre – 2 novembre
    06:00 AM








    Non guardava quell’orologio da mesi.
    L’ultima volta che ne aveva memoria risaliva a quella notte in cui tornò nel proprio appartamento silenzioso, le vitree iridi che ricaddero sull’oggetto ancora posto accanto al letto prima che i suoi passi irruenti riempissero bruscamente le mura spoglie di casa sua, l’aveva preso, odiandolo con tutto se stesso perché ancora non se n’era liberato e, per quanto ci avesse provato, non riuscì a liberarsene.
    Voleva lanciarlo contro il muro, sentendo il rumore del vetro rompersi in mille pezzettini, avrebbe voluto calpestarlo, bruciarlo, disintegrarlo ma ogni volta che ci provava finiva sempre con il fermarsi proprio sull’ultimo. Il braccio teso, la mano che stringeva il maledetto orologio, il viso contratto in un’espressione di pura rabbia e delusione ma niente. Non succedeva mai un cazzo.
    E detestava il fatto che non riuscisse a liberarsi di quel maledetto oggetto, che anziché buttarlo come aveva fatto tante volte –per poi recuperarlo dalla spazzatura ogni santa volta- l’aveva nascosto nel cassetto del mobile che aveva nel salotto, tra vestiti che raramente utilizzava o ignorava perché alla fine riutilizzava le stesse cose.
    Sempre lì, al sicuro, che sussurrava il suo nome con quella punta di malizia perché era un codardo.
    Eppure Rhysand ne aveva tutto il diritto di disfarsi del regalo, esattamente come l’anello dello stemma di famiglia di sua madre che portava comunque al dito.
    Ne aveva tutto il fottutissimo diritto di disfarsi di quegli oggetti.

    Le iridi chiare fissavano le lancette dell’orologio, quella dei secondi che si avvicinava sempre di più a quella dei minuti la quale avrebbe posto fine all’ultimo minuto prima che scattassero le sei in punto.
    Ogni parte di sé sperava di non vederla entrare, qualsiasi nervo, muscolo o vaso sanguigno sperava che una volta scattato il minuto non avrebbe sentito la porta della palestra aprirsi, facendogli intravedere la maledetta figura della rossa a quell’ora del mattino, pronta ad intraprendere un viaggio che Logan non aveva alcuna voglia di iniziare.
    Aveva altro per la testa, aveva sempre qualcosa nella testa e non aveva tempo per quelle stronzate, non era il suo compito e non aveva intenzione di farlo rientrare tra le mansioni che già svolgeva, in quel momento avrebbe potuto tranquillamente continuato il proprio allenamento e invece se ne stava lì, in piedi ad aspettare.

    Alle sei in punto, la porta si aprì e Rhysand nemmeno ebbe il bisogno di sollevare lo sguardo per capire di chi cavolo si trattasse. Deluso, amareggiato e già irritato nel doverla sopportare per un’ora, le volse le spalle -Un giro di camminata e uno di corsa, lo alterni per tre minuti. Poi prendi la corda e salti per due minuti- parlava senza ancora aver incrociato lo sguardo con lei, sollevando la mano libera indicando con l’indice il perimetro del tappeto imbottito che ricopriva la maggior parte del pavimento della palestra mentre rinchiudeva l’orologio nell’altra mano, avvicinandosi nel punto della stanza dove aveva lasciato la sua bottiglietta d’acqua.
    -Se hai domande, tienitele per te- mormorò nuovamente senza mai voltarsi –I tre minuti cominciano da ora-. Per quanto detestasse trovarsi lì, Rhysand aveva preparato la palestra appositamente per quell’allenamento mattutino, lasciando la corda nel centro della stanza accanto ad un tappetino imbottito, insieme a pesi e altri strumenti che le avrebbe detto di utilizzare.
    Si voltò solamente quando l’avrebbe sentita camminare, soprattutto dopo aver recuperato dal proprio borsone alcune palline da tennis che stringeva in una mano mentre ne riponeva altroe nella tasca dei pantaloni della tuta; il giovane sarebbe rimasto nel centro del tappeto, seguendola con lo sguardo osservandola camminare e poi correre.
    Gli aveva detto di massacrarla, niente sconti o altre cazzate che l’altra mattina aveva proferito facendolo solamente incazzare ancora di più e così avrebbe fatto.
    E cazzo, se l’avrebbe massacrata.
    L’osservava attentamente, perché era così facile farsi male anche per delle cazzate che non poteva permettersi nemmeno di controllare l’orologio per il tempo a disposizione, specialmente non dopo l’assurdo tentativo che lei aveva fatto nel tirargli un pugno in faccia.

    Si passò una pallina nella mano libera e senza esitazione o troppi pensieri, fu la prima che lanciò contro di lei, mirando la parte dietro di una spalla –No la schiena dritta- disse un po’ a voce alta, perché aveva bisogno che lei lo sentisse, che lo odiasse, che rimpiangesse quell’assurda idea di aver scelto lui per quel compito.
    -Così devi stare, cazzo- l’avrebbe raggiunta nel giro di camminata, usando la mano che teneva ancora tre palline da tennis, spingendole sulla schiena soltanto per aggiustarle la postura, ma non riuscì nemmeno a tornare al centro della stanza per seguirla con lo sguardo nuovamente che -Le braccia morbide, le vedo da qui che sono fottutamente tese- disse nuovamente lanciando la seconda pallina colpendola sull’avambraccio. Non gliene fregava un cazzo se le avrebbe lasciato dei segni, poteva pure scoppiare a piangere mentre correva se voleva, magari anche interrompere all’instante quella pagliacciata e andarsene, però almeno avrebbe imparato a correre decentemente.
    Due minuti e voleva già sbattere la testa contro il muro fino a spaccarsi il cranio.
    -Respira- questa volta la pallina l’avrebbe colpita sul fianco destro e, tutte le volte che la correggeva, i suoi occhi incrociavano i suoi, mentre lei gli correva attorno e lui si muoveva nel centro della sala quasi urlandole contro.

    Tre minuti e Rhysand capì che sarebbe morto in quella palestra a furia di addestrarla.

    -Non me ne frega un cazzo, bevi dopo- furono le sue parole a fine riscaldamento, vedendola mentre gettava la corda a terra, parlandole mentre si avvicinava, fermandosi per la prima volta da quando era entrata dentro la stanza, di fronte a lei –Sei debole, il tuo equilibrio fa schifo e sei gracile come un cazzo di legnetto bagnato. Puoi essere brava quanto vuoi, ma anche la magia ha i suoi limiti, Ariel - incrociò le braccia al petto, parlando forse per la prima volta in modo tranquillo anche se non gliene fregava nulla se Layla si sentisse offesa o meno dalle sue parole. Dopotutto stata esponendo fatti e non aveva bisogno di conoscerla, riderci insieme o bere insieme per sapere tutte quelle cose, bastava guardarla in faccia.
    -Devi mettere su massa, rafforzare i tuoi muscoli e avere…- sospirò guardando oltre alla sua spalla –Più sicurezza, ma questo non sta a me insegnartelo.
    L’allenamento è di cinque esercizi, tre serie per ognuno, per ora ti basta sapere questo-
    ed esattamente come all’inizio, si volse dandole nuovamente le spalle –Se hai domande, tienitele per te. – continuò mentre si allontanava di qualche passo da lei –Divarica le gambe, inclina un po’ la schiena e guarda davanti a te, i piedi devono stare allineati con le ginocchia, non a dieci gradi non a cazzo di cane, dritti. Ti pieghi finché puoi e poi torni su, puoi stendere le braccia davanti a te se ti aiuta.- raggiunse il ring, appoggiandosi contro le corde –Ogni volta che sbagli...- disse, mostrandole le palline che ancora stringeva nella mancina, come se non fosse già palese dal precedente riscaldamento –dieci squat per tre volte.- le spiegò –Prepara il tappetino, ti alternerai con i push up, cinque flessioni per tre volte, riposo di trenta secondi- continuò –Dopo questo, potrai bere.-
     
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    Mentre camminava per i corridoi deserti del ministero, Layla quasi non sentiva il suono delle scarpe che strusciavano sul pavimento ammattonato.
    Non erano neanche le sei del mattino, il sole era ben lontano dal sorgere e l’unica cosa che riusciva a percepire la giovane recluta era il battito del suo cuore nelle orecchie.
    Che cazzo le era venuto in mente?
    Aveva ricattato Rhysand Logan. Lo aveva fatto davvero.
    O meglio, aveva bluffato… ma lui le aveva creduto. Subito.
    Era… altamente improbabile che sarebbe andata a piangere da Benjamin o da Malcolm, nonostante le avesse davvero lasciato l’impronta della scarpa sul braccio.
    Era troppo orgogliosa e cocciuta per fare davvero una cosa del genere, tuttavia il giorno prima era anche stata talmente fuori di sé che per un attimo l’idea di farlo sospendere l’aveva tentata da morire, tanto che avrebbe potuto iniziare a fare le fusa solo a immaginarsi la scena della sua sospensione.

    Aveva avuto l’intero pomeriggio precedente per ponderare su quello che era successo, su quello che aveva fatto e sulle motivazioni che l’avevano spinta ad agire in un certo modo.
    O a chiedere -anzi, pretendere- che lui la allenasse.
    È che… scoprire di essere così tanto debole l’aveva messa di fronte a un lato di sé stessa che non aveva mai preso in considerazione.
    Pensava di essere abbastanza in forma, forse inconsciamente aveva sempre pensato che con la magia se la sarebbe comunque cavata, e invece Rhysand l’aveva messa davanti alla crudele realtà: se mai qualcuno fosse riuscito a disarmarla e a sopraffarla con la sola forza fisica, ci sarebbe riuscito in meno di un battito di ciglia. Forse lo aveva fatto nella maniera peggiore possibile, tuttavia ciò non cambiava che quella rimaneva la cruda verità e per quanto Layla lo avesse odiato con ogni fibra del suo essere per quello, non poteva andare avanti come se nulla fosse, non con quella consapevolezza.
    Non le piaceva mostrarsi vulnerabile e tantomeno esserlo, perciò non importava quanto sarebbero state dure le settimane a seguire… avrebbe fatto qualunque cosa per eliminare ogni sua debolezza.
    Dopo aver passato una nottata quasi insonne, trascorsa tutta a girarsi e rigirarsi nel letto in preda all’agitazione all’idea di dover affrontare una sessione di allenamento con quel disgraziato (che aveva per di più fatto infuriare) quella mattina si era comunque alzata e preparata in tempo per dirigersi al Ministero.

    Alle 5:48 stava fissando il foglio delle prenotazioni della palestra, sorridendo appena nel vedere le sue iniziali scarabocchiate sotto al nome di Rhysand.
    Alle 5:54 si stava allacciando i nastri delle scarpa sinistra nello spogliatoio, imprecando a bassa voce contro le dita che tradivano il suo nervosismo.
    Alle 5:58 stava fissando il suo riflesso nello specchio: era pallidissima, le lentiggini che sembravano ancora più evidenti sulla pelle chiarissima ed era vestita esattamente come il giorno prima, ma si era lasciata la felpa sopra al top sportivo e ai leggins. Non aveva intenzione di mettere di nuovo in mostra i lividi sul braccio, anche se prima o poi sarebbe stato il caso di far presente che a causa di una sfortunata combinazione di capillari fragili e pelle sensibile Layla si ritrovava sempre piena di lividi, il più delle volte senza neanche sapere come se li fosse procurati.
    Alle 5:59 aveva entrambe le mani posate sulla porta che dava sulla palestra: poteva sentire i rumori dall’altra parte di qualcuno che camminava nella stanza, ma lei era concentrata solo sui suoi respiri.
    Alle 6:00 aprì la porta: gli occhi verdi percorsero interamente la stanza prima di posarsi sulla figura di Rhysand. Per quanto fosse evidentemente scocciato -probabilmente aveva sperato fino all’ultimo che non si sarebbe nemmeno presentata- tanto da non incrociare nemmeno il suo sguardo o salutarla, aveva comunque preparato davvero la palestra per lei.
    Quello a dire il vero la sorprese parecchio.

    Appoggiò la borsa con l’acqua e l’asciugamano su una panca e poi si diresse a testa alta verso il punto che le stava indicando, intenzionata a mantenere un’espressione stoica che non tradisse la sua agitazione. Non riuscì a trattenersi e ruotò gli occhi verso l’alto mentre le spiegava con quel tono scocciato e perentorio che cosa avrebbe dovuto fare.
    No, non aveva nessuna domanda, non era una stupida, cose come correre o camminare sapeva ancora farle.
    -Buongiorno anche a te, Logan.- si limitò a dirgli, mentre camminava lungo il circuito, rivolgendogli un sorriso tanto ampio quanto falso.
    Non notò le palline che teneva strette nella mano fino a quando non gliene arrivò una addosso.
    -AHIO!-
    Non capì subito di che cosa si fosse trattato: sentì l’impatto sulla spalla e solo quando si voltò per controllare cosa fosse stato si rese conto che Rhys le aveva urlato contro qualcosa e che le si stava avvicinando. Un secondo dopo percepì la sua mano ampia sulla schiena e capì le stava sistemando la postura: seguì la pressione che stava esercitando su di lei e si raddrizzò, sentendo immediatamente i polmoni aprirsi.
    Non si era nemmeno resa conto di quanto fosse ingobbita, o di come stesse tenendo lo sguardo basso. Continuò a camminare lungo il percorso, approfittando del momento in cui Rhys le diede le spalle per lasciar scivolare lo sguardo dalla sua schiena alla mano in cui teneva le palline, sorprendendosi del fatto che riuscisse a tenerle tutte in una sola mano senza sforzo.
    Ma era chiaro che non sarebbero rimaste lì a lungo, perché non ci volle molto prima che la colpisse di nuovo sulle braccia.
    Si lasciò sfuggire una smorfia sorpresa, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di lamentarsi. In fondo era stata lei a chiedergli di essere spietato e per quanto quel metodo fosse più che discutibile, purtroppo ogni correzione che gli faceva era giusta.
    Il problema era che a forza di cercare di trattenere gli insulti che aveva voglia di sputargli addosso non si era neanche resa conto di aver trattenuto anche il fiato.
    Per cui, quando l’ennesima pallina la colpì sul fianco, sfiatò di colpo, producendo un suono dalle labbra che non avrebbe saputo definire in altro modo se non usando la parola “ridicolo”.
    Stavolta non riuscì a trattenersi e lo fulminò con gli occhi, ma cercò comunque di respirare nella maniera corretta, crogiolandosi in una fantasia in cui gli ficcava tutte quelle dannate palline da tennis giù per la gola.

    Se solo il Ministero non fosse stato tutto sottoterra, Layla avrebbe preso in seria considerazione l’idea di prendere la bacchetta e appenderlo a testa in giù fuori dalla finestra.
    Aveva appena finito il riscaldamento e aveva la sua voce che gli martellava in testa come un trapano. Lanciò la corda sul pavimento senza riuscire a trattenere un sospiro frustrato e aveva a malapena fatto in tempo a lanciare un’occhiata di desiderio alla borraccia con l’acqua prima di sentirsi riprendere anche per quello.
    Sperava più che altro che l’acqua fresca le avrebbe dato la forza di non saltargli alla gola e strozzarlo seduta stante, ma sua maestà il dittatore della palestra aveva deciso che non le sarebbe ancora stato concesso di bere, perciò ancora una volta Layla si limitò a guardarlo come se avesse potuto fulminarlo seduta stante e si sfilò la felpa, ormai decisamente troppo accaldata per continuare a tenerla su.
    Se lo ritrovò improvvisamente di fronte e subito scattò sulla difensiva, guardandolo con gli occhi verdi fiammeggianti di rabbia, il viso arrossato per via degli esercizi, il respiro leggermente accelerato e le mani strette sul tessuto della felpa in maniera convulsa mentre lui elencava tutto quello che non andava in lei.
    Almeno aveva smesso di urlare.
    Questo non le impedì comunque di sbattergli malamente la felpa sul petto ampio o di arrossire colpevole quando sottolineò quanto fosse insicura.
    -Non sai un cazzo.- si limitò a borbottare mentre si avvicinava al tappetino, sistemandosi nuovamente i capelli nella coda di cavallo in cui li aveva acconciati quella mattina.

    Lo ascoltò mentre parlava degli esercizi con gli occhi spalancati, cercando di tenere a mente tutto quello che le stava spiegando ma capendone forse la metà, per non parlare del fatto che aveva già dimenticato la prima parte di ciò che le aveva detto.
    Aprì la bocca per chiedergli di ripetere o forse di spiegarsi meglio ma, di nuovo, non era autorizzata a fare domande.
    -Ma se non ti faccio domande come cazzo faccio a fare le cose per bene? È normale che poi sbaglio!- esclamò mentre cercava di piegarsi nella maniera giusta, scansando per un pelo una di quelle maledette palline da tennis.
    Gli lanciò di nuovo un’occhiataccia, decisamente arrivata al suo limite di sopportazione.
    -Giuro che prima o poi ti faccio finire quelle palline di merda in un posto che non ti piacerà per niente- ringhiò mentre si sollevava di nuovo, i muscoli appena tremolanti per lo sforzo, ma li obbligò a piegarsi di nuovo, senza distogliere lo sguardo da quella sua espressione da arrogante bastardo.
    -Stronzo-

    Quanto meno aveva scoperto che cosa le dava le energie per continuare.
    Insultare Rhys sembrava darle la carica giusta per non mollare e così, nonostante tutti i colpi di palline ricevuti e i rimproveri e le correzioni era più o meno riuscita ad arrivare alla fine di tutte le serie di esercizi.
    Si prese qualche secondo per riprendere fiato sul tappetino e poi si lanciò verso il borsone, prima che Rhysand potesse cambiare idee e le impedisse di nuovo di bere.
    Mandò giù mezza borraccia a grandi sorsate e poi si avvicinò di nuovo al tappetino, raccogliendo una delle palline dal pavimento e rigirandosela tra le mani.
    -Voglio solo chiarire una cosa: non importa quanto sarai tremendo con me, quanto ti impegnerai per indurmi a lasciar perdere… io non mollo. Ficcatelo bene in testa.-
    E messo in chiaro quel punto, gli lanciò tra le mani la pallina, rivolgendogli un sorriso nonostante avesse voluto con tutta se stessa mirare dritto dritto a un occhio.
    -Dai, fai del tuo peggio.-
     
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    Rimasto immobile appoggiato contro il ring, l’aveva osservata attentamente mentre eseguiva gli esercizi che le aveva elencato, rigirandosi le palline tra le mani.
    Detestava ammetterlo, perché non la sopportava, ma vederla incazzarsi, irritarsi, sbuffare o guardarlo male ogni volta che lanciava una pallina contro di lei, lo faceva impazzire a tal punto che per qualche istante, dopo l’ennesima lista di insulti che lei gli aveva lanciato, un minuscolo sogghigno era apparso sul suo volto. Apparso e dissolto in brevissimo tempo, ma era comunque successo come in quel momento per esempio, l’angolo della sua bocca si inarcò appena verso l’alto continuando a rigirarsi le palline da tennis tra le mani prima di decidere di lanciargliela un’altra. Aveva puntato la sua mano, esattamente nel momento in cui stava facendo i piegamenti, irritandosi per il mignolo della mano destra appena distaccato dalle altre dita; avrebbe potuto prenderla in pieno, farla urlare e incazzare più di prima, probabilmente avrebbe persino preferito quello spettacolo anziché sentirla lamentarsi tutto il cazzo di tempo, ma si risparmiò perciò il suo tiro l’avrebbe sfiorata appena –Carino da parte tua pensare che hai un minimo di potere qui dentro- rispose staccandosi dalla propria postazione, avvicinandosi lentamente a lei mentre finiva le flessioni –Guarda giù- disse fermandosi a pochi metri da lei allungando e appoggiando la mancina sopra alla sua testa, abbassandogliela così che i suoi occhi guardassero a terra e non più lui, privo di garbo come sempre, incrociando poi le braccia al petto –Se usassi la stessa forza di volontà che hai nell’insultarmi, ti risparmieresti questi errori del cazzo- disse poco dopo, inclinando appena il capo di lato senza smetterla di osservarla.

    Perché Rhysand l’aveva notato come il suo sguardo cambiava ogni volta che dalla sua bocca uscivano insulti solamente per lui, della rabbia con cui lo guardava tutte le volte che le diceva qualcosa che non voleva sentirsi dire, dei sospiri e delle imprecazioni che borbottava prima di eseguire il maledetto esercizio in modo decente. E se Layla, quella stupida ragazza fastidiosa che l’aveva obbligato a stare lì quella maledetta mattina, non passasse il suo tempo a ribattere, a lamentarsi, a comportarsi come una fottuta bambina viziata a cui era stato tolto il giocattolo, quel supplizio sarebbe stato decisamente più tollerabile. Ma ovviamente doveva ribattere, doveva farlo incazzare e lui doveva farla sentire una merda per farle uscire quella rabbia repressa che persisteva a trattenere.
    Orgogliosa del cazzo.

    Rimase immobile quando la vide allontanarsi velocemente, scappando sotto il suo sguardo soltanto per bere e quando i loro occhi si incrociarono, per un momento a Rhysand parve di vedere la stessa luce che il giorno prima l’aveva portata a minacciarlo pur di ottenere quello che voleva.
    Afferrò al volo la pallina, inarcando nuovamente le labbra verso l’alto in quel sorrisetto bastardo che significava tutte le volte guai in vista –Non desiderare cose di cui potresti pentirti- disse semplicemente prima di darle un nuovo comando –A terra, addominali ora- continuò, aspettando che eseguisse i suoi comandi –Ti alterni con quelli centrali a quelli laterali, sempre tre serie per dieci volte- spiegò, questa volta sedendosi davanti a lei, appoggiando le palline a terra –puoi tenere le mani o così o così- prima le mostrò incrociando le braccia a x sul petto e poi appoggiandole dietro la testa –Non spingere con la testa per sollevarti né con il collo, rischi di farti venire mal di testa e di farti solamente male, quando sei giù guarda il soffitto e quando sali, mi guardi in faccia. Butta fuori il fiato tutte le volte che vieni su- gli diede tutte le indicazioni che le servivano, muovendosi verso di lei appropriandosi delle sue mani senza chiederle per farle vedere i movimenti giusti, gliele aveva posizionate dietro la testa prima, mostrandole la corretta posizione, facendole evitare in quel modo i movimenti scorretti, allontanandosi nuovamente da lei una volta terminata la spiegazione.
    Rimase fermo immobile davanti a lei, avvolgendo le sue grosse mani attorno alle sue caviglie per saldarle i piedi al pavimento –Riposo di venti secondi tra una serie e l’altra, dopo di questo c’è l’ultimo esercizio e per oggi abbiamo finito, ora muoviti- disse, aspettando che miss Grifondoro iniziasse il penultimo esercizio.

    L’avrebbe guardata in silenzio, riprendendola ogni volta che non la vedeva respirare o che vedeva che si spingeva con la testa e non con il busto, in quei casi stringeva la presa alle caviglie, altre volte mollava la presa che aveva su una gamba, lasciando una cinquina sul polpaccio senza alcuna esitazione –Layla, porca puttana- sbottava in continuazione durante la prima serie, attendendo soltanto la seconda e la terza per vederle fatte bene. Aveva il viso arrossato, il respiro affannato, piccole gocce di sudore che scorrevano sul suo vis, nonostante lo facesse incazzare, se stava faticando significava che si stava lavorando nel modo giusto.
    -ora plank, stessa posizione per i piegamenti solo che devi restare immobile per trenta secondi. Ti appoggi a terra con gli avambracci, schiena dritta, culo contratto, ginocchia rigide e sguardo basso, se senti ogni punto del tuo corpo bruciare lo stai facendo bene- avrebbe aspettato che si mettesse nuovamente in posizione prima di darle il via, tenendo gli occhi vitrei inchiodati sull’orologio che aveva ripreso dal borsone per tenere il tempo correttamente.

    -E stop- disse sollevando lo sguardo, fissandola più distante rispetto a prima –Domani stessa ora- e senza aggiungere altro, le diede le spalle togliendosi la felpa che indossava, rivelando la canottiera bianca che aveva sotto.
    Aveva allenato lei, aveva fatto il suo dovere nonostante contro voglia, ora toccava a lui.
    Di nuovo.
     
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    Se c’era una cosa di cui Layla non si era resa conto, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, era di quanto si fosse auto privata del contatto fisico.
    Non era stata una scelta fatta consapevolmente, ma praticamente l’unica persona con cui si concedeva manifestazioni fisiche d’affetto, da quando non era più uscita con Gael, era Harriet.
    E anche con lei non era poi così semplice, un po’ perché pur convivendo e avendo entrambe due lavori era difficile passare del tempo insieme e dall’altra perché a volte quel poco tempo che passavano in casa, diventava quello in cui i demoni della sorella bussavano alla porta della sua mente e la chiudevano in sé stessa, un luogo in cui diventava praticamente impossibile raggiungerla.
    Perciò, quando sentì la presa salda della mano del ragazzo tra i capelli, per spingerle in basso il capo, Layla non riuscì a identificare immediatamente la sensazione che provò.
    Poiché si trattava di Rhysand, la associò immediatamente a qualcosa di sgradito.
    -Togli quella mano da gorilla dalla mia testa, Logan.- lo insultò per l’ennesima volta, cercando di ribellarsi alla sua presa, ma per quanto si sforzasse non riusciva nemmeno a piegare il collo.
    Era strano sentire quella presa tra i capelli, era davvero passato troppo tempo da quando qualcuno si era preso una tale confidenza nei suoi confronti.
    Non ascoltò nemmeno il resto delle sue provocazioni e, nonostante il fastidio, si concentrò per mantenere la posizione mentre ultimava il resto dei piegamenti, stringendo i denti e contraendo la mandibola per scacciare via quella strana sensazione di disagio che aveva preso a stringerle la bocca dello stomaco.
    Poiché il suo inconscio non sembrava disposto a collaborare e a spiegarle per bene che diamine le stesse prendendo, decise di ignorarla, concentrandosi sugli esercizi e non sulla pelle d’oca che si era sollevata all’altezza del collo, proprio dietro la nuca.

    In realtà, visto che Rhys si stava comportando come una sorta di personal trainer, solo più scorbutico e maleducato, Layla capì ben presto che si sarebbe dovuta riabituare al contatto fisico.
    Per fortuna per lei non era mai stato davvero un problema, visto che sembrava inevitabile che dovessero toccarsi di continuo, quanto meno per fare cose come sistemare la postura e spiegare gli esercizi.
    La giovane non si oppose a nessuna di queste cose, nonostante Rhys riuscisse a essere brusco e impalpabile al tempo stesso: sembrava quasi che volesse prolungare quel contatto al minimo indispensabile, ma non lo faceva mai rischiando di farle del male.
    Non quel giorno almeno.
    Così Layla lo lasciava fare: di fatto non aveva problemi a lasciarsi dirigere quando riconosceva che la persona che le stava insegnando ne sapeva più di lei, erano un po’ il suo tono e quelle maledette palline a infastidirla. Doveva ammetterlo però: avere una scusa per dirgliene quattro le dava uno strano senso di soddisfazione, in un certo qual modo quella strana dinamica che stavano instaurando la divertiva.
    Come in quel momento, in cui erano entrambi vicini sul pavimento e lui l’aveva guidata per mostrarle come fare le flessioni senza rischiare di farsi male alle cervicali.
    Aveva seguito ogni sua mossa, lasciando che le prendesse le mani e le sistemasse le braccia di volta in volta. Cercò di rimanere concentrata sulle indicazioni che le stava dando e non, per esempio, su quanto fossero fastidiosamente biondi i suoi capelli o a quanto fosse nauseante il suo odore.

    -Dovrei dirlo io “porca puttana”, Rhysand! Rischi di spostarmi con quella manaccia!- protestò di rimando quando per l’ennesima volta sentì il palmo ampio colpirle il colpaccio.
    Tornò distesa sul materassino, riempendosi d’aria i polmoni e fissando il tetto della palestra, per poi tornare su.
    Riusciva a percepire i propri addominali urlare per lo sforzo, ma non importava, non si sarebbe lamentata per quello, nemmeno se Rhys l’avesse costretta a farne altri duecento, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla cedere. Infatti, quando i suoi occhi incontrarono di nuovo quelli glaciali di lui lo fecero bruciando di determinazione e di sfida.
    Riuscì a scorgere la soddisfazione dietro quel viso apparentemente impassibile, probabilmente aspettava solo di vederla esplodere, di ammirarla mentre cedeva e gli mollava un calcio in faccia, ma più lui la provocava e più lei si intestardiva.
    Layla sarebbe andata fino in fondo a quella storia, a costo di diventare il suo tormento: avrebbe dovuto ficcarsi in testa che il modo migliore per liberarsi di lei era allenarla per bene e non cercare di esasperarla.
    Sorrise, forse giusto per farlo arrabbiare, sentendo di nuovo la sua presa ferrea sulle caviglie sottili. Pensò che la sproporzione fosse eccessiva e che volendo avrebbe potuto tenergliele con una mano sola, poi si rese conto di quanto fosse totalmente stupido e fuori contesto quel pensiero e, giusto per tornare in equilibrio con le proprie emozioni, piegò le dita delle mani, che erano incrociate sul petto, tutte quante fatta eccezione per il medio.
    Il sorriso divenne ancora più ampio e solo a quel punto tornò giù, beccandosi l’ennesimo colpo di rimprovero.
    Fa niente, ne era valsa la pena.

    “Il plank” pensò Layla mentre stringeva i pugni con le poche forze che non stava impiegando per cercare di rimanere in posizione “dovrebbe essere classificato come forma di tortura al pari della deprivazione di sonno.”
    Erano passati circa 15 secondi da quando si era messa in quella maledetta posizione ed era certa che non ci fosse un solo briciolo del suo fisico che non stesse tremando.
    Non poteva vedere Rhys, perché doveva insistentemente fissare il pavimento, ma riusciva a scorgere la sua ombra e concentrò su di essa tutto l’odio bruciante che provava nel corpo in quel momento.
    Quando diede lo stop, si lasciò andare contro il materassino, lasciandosi sfuggire un gemito sollevato. Le sembrò che quella superficie fosse la cosa più morbida e comoda che l’essere umano avesse mai potuto creare e non ebbe la forza di sollevarsi da lì nemmeno quando Rhys la congedò e iniziò a spogliarsi.
    Rimase a fissarlo da quella posizione, limitandosi ad alzare gli occhi su di lui mentre si sfilava la felpa.
    A differenza del giorno prima sembrava si fosse deciso a coprirsi di più, cosa apprezzabile almeno dal suo punto di vista, ma forse era un po’ tardi per quello.
    Si mise a sedere con calma, tenendo gli occhi puntati su di lui, su quelle spalle ampie che ora la ignoravano, fino a soffermarsi di nuovo sulle cicatrici che si intravedevano dalla canottiera.
    Si chiese chi fosse stato in grado sopraffare uno grande e grosso come lo era lui, che razza di missione avesse dovuto affrontare per ridursi così e fu anche sul punto di chiederlo, ma quasi non aprì bocca che la richiuse.
    Probabilmente non le avrebbe risposto e comunque era chiaro che non aveva nessuna voglia di passare più tempo con lei del necessario, figurarsi intavolare una conversazione su un argomento del genere.
    In ogni caso neanche lei aveva intenzione di intrattenersi lì un minuto di più, ma comunque non riuscì a smettere di pensarci, neanche quando trovò le forze di trascinarsi verso gli spogliatoi e nemmeno sotto la doccia della palestra.

    -A domani- fu l’unica cosa che gli disse prima di uscire definitivamente da lì, chiudendosi la porta alle spalle ancor prima che lui potesse risponderle.
    Ammesso e non concesso che si fosse preoccupato di farlo.
     
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    DICEMBRE
    Settima settimana





    -Posso contare tutto il giorno se vuoi ginger- mormorò sogghignando, piegando verso il basso il capo per intravedere la figura di Layla.
    Aveva perso il conto di quanti minuti si trovassero in quella posizione ma più la vedeva in difficoltà, più la goduria di sentirla imprecare lo tratteneva dal non muoversi di un millimetro.
    Erano settimane ormai che il loro appuntamento mattutino persisteva a svolgersi e come sempre nemmeno quella volta si erano risparmiarti gli insulti per l’un l’altra, Rhysand ormai sapeva che insieme al buongiorno educato della rossa ci sarebbe stata una risposta silenziosa, composta da uno sguardo stanco e già infastidito da parte sua prima di cominciare il riscaldamento; poi come da copione l’ex Grifondoro avrebbe iniziato a rompergli le palle chiedendogli quando avrebbero iniziato a fare il vero allenamento e lui, come sempre, gli avrebbe risposto “Quando lo dico io, Ariel” peccato che quella mattina Layla Lungbarrow avesse scelto l’impertinenza e il magnifico dono di infastidirlo più del solito da indossare rispetto ai soliti completi attillati a cui ormai era abituato. Tuttavia, si poteva dire che Rhysand si fosse abituato a quella cocciutaggine più dura della propria, se non fosse che…
    Cielo, solo a pensarci l’immagine dalle sue labbra che sospiravano lentamente, il petto che si alzava e abbassava rilasciando quel fottuto respiro profondo che nemmeno a minacciarla rilasciava quando faceva gli esercizi e quei fottuti occhi, quei maledetti occhi verdi che si sollevarono verso l’alto osservando qualunque cosa che non fosse lui, gli procurava un’orticaria da manicomio.
    Perciò, se solitamente se ne sbatteva il cazzo, quella volta la sua unica risposta fu “A terra, venti flessioni”.
    Il fatto che lui si fosse seduto comodo a gambe distese e con gli scarponi poggiati sulla sua schiena, fu solo una piccolissima vendetta a cui proprio non riuscì a dire di no, esattamente come lei quando pensò che sollevare gli occhi al cielo davanti a lui fosse una scelta giusta.

    Perciò continuò ad osservarla, vedendo la poca stabilità sulle braccia che tremavano sotto il peso delle proprie gambe, il viso arrosato e probabilmente contorto in un’espressione di puro odio nei suoi confronti a cui proprio non riusciva a non godere, mentre il suo sorrisetto si allargava sempre di più sul proprio viso –Riparto da uno se non scendi e non ti rialzi per bene- continuò, tagliando un’altra fetta di mela con il coltellino che si era portato dietro.

    Sette settimane ed erano ancora all’inizio.
    Se solo fosse più veloce ad ascoltarlo e mettere su massa piuttosto che a insultato a quest’ora erano a tutt’altro livello invece Logan continuava a cambiarle esercizi, tra cardio ed allenamenti per le gambe, per il petto e per le braccia ma pareva tutto vano eppure, per quanto detestasse ammetterlo, la determinazione c’era. Quindi per quale cazzo di motivo Layla Lungbarrow non metteva su massa?!

    -Ci sono altri esercizi che ti aspettano, perciò ti consiglio di muoverti, ginger- mormorò infilando la fetta con la lama prima di addentarla.
     
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    -Posso contare tutto il giorno se vuoi ginger-

    Con i denti stretti e le guance arrossate, Layla piegò nuovamente le braccia per abbassarsi e rialzarsi ancora e quella sarà stata almeno la decima volta che invece di contare per bene le flessioni Rhysand si limitava a ripeterle “uno”.
    Maledetto, disgraziato, infame, bastardo di un Logan.
    Va bene, sì, si era lamentata per l’ennesima volta e sì, aveva alzato gli occhi al cielo e sbuffato, ma non era di certo una novità, perché proprio quel giorno aveva reagito in quel modo?
    -Sei… uno… stronzo… di merda…- sbuffò, le braccia che le tremavano per lo sforzo.
    -Se sei… arrabbiato… per i cazzi tuoi… metti… le palle… a mollo… nel ghiaccio!
    Ok, forse sarebbe stato meglio smetterla di parlare o non sarebbe riuscita a reggere lo sforzo e Rhysand l’avrebbe tenuta a fare flessioni per le prossime cinque ore.
    Era più che certa che, pur di torturarla, avrebbe fatto persino fallire la farmacia.

    Ma poi, maledizione, perché metteva gli scarponi in palestra?!
    Li aveva indossati di proposito, per forza, altrimenti un tale livello di imbecillità non si spiegava in alcun modo.
    Ah ma lei non gliel’avrebbe certo fatta passare liscia, nossignore.
    Era vero che tra lei e Rhysand c’era questa specie di tacito accordo che prevedeva che lei abbandonasse tutti i suoi diritti fuori dalla porta quando entrava in palestra, ma questa cosa era troppo grossa: gliel’avrebbe fatta pagare in un modo o nell’altro.
    Sollevò gli occhi, osservando dritto davanti a sé: da quella posizione poteva scorgerlo distintamente, riflesso in una porzione di specchio della parete di fronte.
    Lo vide chiaramente sorridere e nonostante questo dettaglio non fosse riuscito a fare altro che infiammare ancora di più la voglia di ficcargli quel coltello affilato su per la sua di mela, una parte di lei quasi non riusciva a credere a ciò che stava vedendo.
    Rhysand Logan stava sorridendo.
    Non pensava che avrebbe mai vissuto abbastanza perché una cosa del potesse accadere.
    Anzi, a dirla tutta, pensava che Rhysand fosse totalmente sprovvisto dei muscoli motori necessari a distendere le labbra in un sorriso.
    E invece eccolo lì, divertito, rilassato… era buffo da dire di un ragazzo di vent’anni, ma sembrava persino più giovane.
    E più carino.
    …Che era una cosa del tutto irrilevante, perciò Layla scosse lievemente il capo, facendo ricadere alcune ciocche di capelli rossi oltre le spalle e piegò nuovamente le braccia, pregando che quella fosse una delle flessioni buone e che finalmente facesse scorrere quel maledetto numero, o ci sarebbe morta su quel tappetino.

    ***

    Quando finalmente gli sentì pronunciare il numero venti, a Layla non parve vero.
    Normalmente si sarebbe rialzata come se nulla fosse, ignorando i muscoli e i tendini urlanti e tremanti per via del dolore e, dopo aver bevuto qualche sorso d’acqua, si sarebbe messa a disposizione per l’esercizio successivo.
    Tutto pur di non dargli neanche un briciolo di soddisfazione, per non mostrargli nemmeno la più piccola crepa nel suo muro di determinazione, l’unica cosa che la spingeva ad andare avanti da mesi in quella follia.
    Quella volta, però, era veramente sfinita e perciò si era abbandonata mollemente sul materassino, ansimando su di esso per la fatica.
    Sentiva il suo completo da yoga ancora più attaccato alla pelle per via del sudore, così come lo erano i capelli sulla nuca e sulla fronte.
    E tuttavia, nonostante la stanchezza, la rabbia per via di quell’umiliazione continuava a bruciarle in petto come fuoco vivo.
    Una volta tanto, Rhys avrebbe ricevuto un assaggio di quello che si portava dentro, quel qualcosa che, almeno stando alle lamentele del ragazzo, continuava a reprimere e non riusciva mai a tirare fuori sul serio.

    Si voltò sulla schiena, sempre prendendo respiri profondi a bocca aperta e spostò gli occhi verdi sulle gambe della sua sedia.
    Fu un attimo.
    Un lampo.
    Era da pazzi, perché lui aveva ancora il coltello tra le mani e si sarebbe potuto fare un gran male, ma non le importava.
    Allungò in fretta una delle gambe lunghe, incastrando la propria caviglia dietro a una delle aste disegno che sorreggevano la sedia e tirò.
    In pochi secondi il tonfo di qualcosa di grosso che sbatteva sul parquet della palestra rimbombò contro gli specchi e le pareti della sala, il tutto accompagnato dall’imprecazione di Rhysand e dalla risata soddisfatta di Layla.
    Si sollevò da terra a fatica, gattonando fino a troneggiare su di lui e guardandolo con aria trionfante dall'alto, seppur con ancora il respiro pesante e le guance arrossate, le mani sottili piazzate ai lati della sua testa.
    Non erano molte le occasioni in cui avrebbe potuto guardarlo da quella prospettiva e doveva ammettere che non le dispiaceva per niente.
    -Lo vedi che ci riesco a farti finire con il culo a terra?- ansimò sempre sorridendo, gli occhi luccicanti e soddisfatti di chi, quel giorno, aveva ottenuto qualcosa che non si aspettava nemmeno di desiderare.
     
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    -Se sei… arrabbiato… per i cazzi tuoi… metti… le palle… a mollo… nel ghiaccio!-
    -E siamo di nuovo ad uno¬- mormorò lasciandosi sfuggire una risata sarcastica, masticando la fetta di mela in totale tranquillità mettendosi ancora più comodo sulla sedia –Fossi in te mi concentrerei più sull’esercizio che agli insulti- borbottò nuovamente stiracchiandosi i muscoli nonostante avesse i piedi sulla sua schiena, sporgendosi solamente dopo con il viso soltanto per vedere come le sue braccia tremassero ad ogni flessione.
    -Uno¬¬- l’avrebbe torturata tutto il giorno se solo avesse potuto farlo eppure, per un minuscolo istante, una parte di lui pensò che forse stava esagerando, ma il pensiero durò così poco che fu come un battito di ciglia. E poi aveva passato una nottata del cazzo che in qualche modo doveva pur sfogarsi, il fatto che avesse Layla tra le mani era puramente casuale.

    Era uscito per un giro in moto quella sera, allontanandosi il più possibile dalla città e da qualsiasi tipo di civiltà che potesse fargli girare le scatole da un momento all’altro, rendendosi conto – forse anche troppo tardi- che ad un certo punto non aveva alcuna idea di dove cazzo fosse finito. Aveva spento il motore, si era guardato intorno, chiedendosi da che diavolo di parte fosse arrivato e del perché si trovasse in mezzo ad una terra deserta e fangosa e da quel momento in poi? una sfiga dietro l’altra.
    La ruota bloccata nel fango, i tentativi di spingerla sporcandosi sempre di più i vestiti, le continue imprecazioni che l’avevano portato a dare un calcio a quella maledetta moto facendola cadere di lato e sì… poi le aveva dato fuoco.
    Mai e poi mai avrebbe pensato di fare una cosa del genere ma dannazione, odiava quella moto. Più la guidava più pensava a lei, e più pensava a lei più diventava irascibile perciò forse fu un bene bruciarla piuttosto che venderla e ricavarci soldi extra.
    Quindi passò la maggior parte della notte seduto sul terreno bagnato a guardare la sua vecchia Harley bruciare mentre lui tentava di riscaldarsi ad una distanza di sicurezza, sprecando sigarette su sigarette fino a quando non vide l’alba.

    ***
    -Finalmente cazzo¬- mormorò dopo aver proferito il numero venti, tolse i piedi dalla schiena di Layla, causando un tonfo rumoroso quando mise gli scarponi nuovamente a terra, continuando a mangiare la propria mela osservando la ragazza distesa a terra. Il silenzio aveva impossessato le quattro mura di quella palestra, ad eccezione dei continui respiri profondi di Layla sdraiata senza forse sul materassino; di solito si sarebbe già alzata, l’avrebbe guardato con quei occhioni verdi piedi di sfida e di un fuoco del quale riusciva a percepire piccoli sciocchi ancora innocui, l’avrebbe seguita con lo sguardo mentre raggiungeva la sua borraccia e bere come se non lo facesse da mesi e poi come se nulla fosse, si sarebbe preparata per il prossimo esercizio.
    Da qualche giorno le aveva aggiunto la sbarra, vedendola continuamente cadere perché quelle fottute braccia erano più molli del suo culo, lo stesso che in quel momento fissava come se fosse il miglior spettacolo di tutta la sua vita, e le imprecazioni che uscivano dalle sue labbra? Erano pane per i suoi denti.
    ”Te l’ho spiegato quaranta volte, porca troia, quale parte non capisci dell’esercizio? le aveva quasi urlato in faccia qualche settimana fa, poche ore dopo Burke – il suo psicologo- gli disse quanto fosse necessario per lui fare degli esercizi per la gestione della rabbia e Rhysand, in tutta risposta, lo mandò a cagare.

    Comunque, tornando al culo di Layla, la visione di Rhysand venne interrotta quando lei decise di voltarsi, dandogli un’altra visione che non si aspettava di tenere d’occhio con così tanto interesse e forse fu proprio per quello che non si accorse del dopo.
    Se un momento prima si trovava seduto e tranquillo, quello dopo si ritrovò a terra, un tonfo assurdo e una serie di imprecazioni che seguirono la botta e il gemito che gli sfuggì dalle labbra –Ma che cazz..- si fermò, un po’ perché aveva battuto un po’ la testa e anche perché fortunatamente lanciò da tutt’altra parte il coltello prima di farsi male e dall’altra perché tentò di sollevare appena il capo, vedendo quella piccola e insolente ragazza dai capelli rossi gattonare verso di lui, sorridente e vittoriosa come non mai.
    Sbuffò una risata, appoggiando nuovamente la testa sul tappeto della palestra, guardandola dal basso una volta ogni tanto; quel maledetto profumo che aveva addosso era più forte che mai in quel momento, le mani poste ai lati della propria testa e il suo viso che gli copriva la luce del soffitto, costretto ad osservare la pelle rossa delle sue guance, la vastità disumana di lentiggini su tutto il suo viso, i capelli rossi scompigliati e appiccicati sulla sua fronte e ovunque sul suo corpo e infine quegli occhi verdi brillanti e vivaci ch’erano sempre falsi e nascosti.
    -Non ti ci abituare, ginger- mormorò con voce bassa prima di sollevare appena il capo così da rompere i pochi centimetri di distanza che li separavano.
    -Prossimo esercizio, forza-
     
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    20 DICEMBRE


    In diciotto anni di vita, bisognava dirlo, Layla ne aveva passate tante e di sicuro non erano mai mancate le occasioni di imbarazzo.
    Ma mai, mai, mai come quella mattina aveva provato un simile senso di disagio.
    Prima di tutto stava ancora smaltendo la sbronza apocalittica della sera prima e questo voleva dire che ogni volta che faceva qualche movimento brusco sentiva lo stomaco fare le capriole al contrario e seconda cosa, ancora più del rum o del vino, il suo corpo recava tracce di qualcosa decisamente più pericolosa.
    Ogni volta che Layla osservava il proprio nello specchio sembrava che le ombre scure che Rhysand le aveva lasciato la sera prima diventassero ancora più evidenti.
    Erano lì: violacei e inconfondibili, sembravano voler urlare al mondo che le labbra, la lingua e i denti di Rhys fossero passati di lì e non avrebbero potuto farlo in maniera più inequivocabile, neanche se fossero stati delle luci al neon.

    Aveva passato la notte precedente in bianco.
    Era scappata dalla festa come se fosse stata una ricercata: avvolta nella giacca di Rhysand e cercando di non perdere il vestito di Harriet per strada, aveva camminato radente al muro, sgambettando sui tacchi più veloce che poteva. Si era praticamente lanciata nel camino senza neanche salutare nessuno o provare a rintracciare sua sorella che doveva essere ancora a ubriacarsi chissà dove nei corridoi del Ministero.
    Una volta a casa, pur essendo sola, si era chiusa a chiave nella propria stanza e si era buttata sul letto, raggomitolandosi quanto più possibile nella giacca del ragazzo.
    Continuava a rivivere tutto quello che era successo come se fosse stato un loop senza fine.
    Battuta-bacio-bagno-bacio-sesso.
    E di nuovo. E capo.
    E ancora.
    Lo aveva fatto.
    Era successo davvero.
    E non solo era tutto reale ma era stato anche… era stato bello.
    Troppo bello.
    Perché era stato così bello?
    Insomma a lei Rhysand non piaceva… non in quel senso almeno.
    Eppure non aveva esitato un attimo, non si era neanche opposta al vischio, non aveva…
    Però lui era indubbiamente un idiota.
    Una specie di grosso cavernicolo incapace di sapersi esprimere in maniera civile.
    Il punto era… che proprio questo aspetto di lui forse le era piaciuto così tanto.

    Era così dunque che aveva passato per intero le quattro ore successive al suo rientro a casa: avvolta nella sua giacca, respirando il suo odore, rigirandosi ogni due secondi su se stessa mentre cercava disperatamente di far tornare tutto sotto il suo controllo, di estrapolare ogni ricordo e riporlo in un cassetto preciso della memoria, uno di quelli da sigillare.
    Voleva trovare una spiegazione, capire quale era stata la motivazione che l’aveva spinta a compiere un gesto così scellerato.
    Certo, ce ne sarebbe stata una molto semplice e assolutamente ovvia, una che stava proprio lì davanti al proprio naso, ma Layla non aveva voluto nemmeno provare a prenderla in considerazione. Ogni volta che si avvicinava anche solo a quel pensiero sentiva una stretta strana e dolorosamente familiare alla bocca dello stomaco e subito dopo tutto il suo corpo si muoveva di scatto, come a voler scacciare anche fisicamente non solo quella sensazione, ma anche quella possibilità.

    Quando ormai fu chiaro che non avrebbe chiuso occhio e che sarebbe stato meglio impiegare il tempo in maniera più utile, decise di alzarsi e trascinarsi sotto la doccia.
    Ci era rimasta venti minuti buoni, e fu solo quando ne uscì che si ricordò di guardarsi allo specchio.
    Non aveva idea di quanto tempo avesse trascorso a fissare il suo riflesso, ma doveva essere stato parecchio. Non si era mai vista conciata in quel modo, sembrava che Rhys avesse cercato di sbranarle il collo e la spalla.
    Si era esaminata da cima a fondo, trovando altri segni più scuri nei punti dove le dita del ragazzo l’avevano afferrata e stretta. Almeno quelli, visto che si concentravano per lo più sui fianchi, sarebbero stati facili da nascondere.
    Quelli che aveva tra il collo e la spalla invece… cazzo.
    La verità era che non poteva nemmeno lamentarsene perché era stata lei a implorarlo di non fermarsi.
    Ed era vero, non è che non le fosse piaciuto, il problema era che sul momento non aveva minimamente considerato che avrebbe dovuto convivere con quelle cose almeno per qualche giorno… anzi, non aveva pensato e basta, si era solo lasciata prendere da… beh, da tutto quanto.
    Aveva anche pensato che sarebbe stato meglio non presentarsi in palestra quella mattina, insomma aveva l’impressione che nessuno dei due sarebbe stato in forma, però…
    No.
    Non si sarebbe nascosta come un coniglio.
    Non aveva niente di cui vergognarsi, era stato lui a ridurla in quello stato… erano entrambi adulti e vaccinati e se solo avesse fatto la codarda sapeva bene che non se lo sarebbe mai perdonato e che lui gliel’avrebbe rinfacciato fino alla morte.
    Considerò anche di cancellarle con il trucco, ma abbandonò quell’idea poco dopo.
    Certo, di sicuro lo avrebbe fatto prima di andare a lavoro o in ronda, ma non andava mai ad allenarsi truccata, non aveva senso: le sarebbe colato via tutto e avrebbe impiastricciato tutti gli asciugamani.
    No, tanto non era nulla di cui Rhysand non fosse consapevole.
    Avrebbe solo indossato uno sciarpone pesante per uscire di casa e, beh, considerato che era Dicembre e che erano anche cinque del mattino, anche se avesse fatto qualche incontro strano, nessuno avrebbe potuto insospettirsi.

    …dannazione, Ginger.
    Fu in quel momento che Layla si riscosse.
    Era di nuovo caduta in quel turbinio infinito di pensieri che la avevano ossessionata nelle ultime ore, tanto che non aveva ascoltato una singola parola di quello che Rhysand le aveva detto.
    Evidentemente la sua postura era scorretta.
    Di nuovo.
    -Ah… no aspetta, non ho capito, puoi ripetermelo?- gli chiese, cercando di sistemarsi mentre osservava il proprio riflesso allo specchio e poi spostando lo sguardo sul ragazzo.
    Si rese conto, in quel momento, di aver inconsciamente evitato di guardarlo per tutto il tempo.
    Da quando aveva messo piede in palestra non aveva fatto niente di diverso dal solito, ma durante il riscaldamento non una sola volta aveva incrociato il suo sguardo.
    Il fatto era che… nonostante si fosse lavata da cima a fondo continuava a sentire il suo odore addosso e il suo sapore sulle labbra e ora che le si stava avvicinando quel profumo diventava ancora più persistente.

    Alzò lo sguardo su di lui, intercettando il succhiotto molto evidente che invece lei gli aveva lasciato ( e che evidentemente non si era preoccupato di coprire) e poi i suoi occhi gelidi e grandi che la stavano osservando frustrati perché per l’ennesima volta stava sbagliando e non riusciva a seguire le sue indicazioni.
    Quella mattina stava persino andando peggio della volta in cui le aveva fatto provare la sbarra e avevano finito per urlarsi addosso come i pazzi.
    Layla si sentì immediatamente arrossire fino alla punta dei capelli, nonostante stesse cercando in tutti i modi di mantenere uno sguardo impassibile.
    Sentì le sue mani addosso mentre cercava di sistemarle la postura ma di nuovo, invece di ascoltare quello che le stava dicendo, non riusciva a rimanere concentrata perché solo qualche ora prima quelle stesse mani erano state ovunque su di lei e quelle labbra che ora le stavano dicendo chissà che cosa erano le stesse che aveva baciato e quella voce scocciata era la stessa che le aveva sussurrato cose indicibili…
    Cercò di nuovo di distogliere lo sguardo, sperando che lui non facesse caso a quello che le stava succedendo, o al fatto che avesse la pelle d’oca perché il suo corpo ricordava bene quanto lei che cosa era successo solo poche ore prima.
    Il problema fu che intravide i graffi che gli aveva lasciato sulla schiena, riflessi nello specchio di fronte a lei ma a cui Rhys in quel momento stava dando le spalle.
    -Oh PORCA PU…- le sfuggì mentre sgranava gli occhi e, per l’ennesima volta, si spostava, rendendo inutile tutta la fatica che Logan aveva impiegato fino a quel momento per sistemarla.
     
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    Gli era bastato uscire da quel maledetto bagno per chiedersi che cazzo gli fosse passato per la mente, quell’espressione spavalda e convinta di ogni cosa? Sparita totalmente. Quel poco rimasuglio d’erba e alcool? Totalmente svaniti nel nulla.
    Non gli era rimasto nulla addosso se non quell’odore fastidioso di pesca e delle sue labbra.
    Non era servito a nulla scuotere la testa e passarsi la mano tra i capelli o cercare un pacchetto di sigarette inesistente, dato che si trovava dietro alla stessa porta che solamente qualche attimo prima aveva aperto con l’intento di romperla, no. Certo che no. Non era nemmeno servito andarsene ignorando i pochi sguardi della gente di cui gli interessava qualcosa, per non pensare a quello che era successo nei bagni del Ministero.
    Aveva creduto che una lunga doccia fredda e una dormita sarebbero stati un toccasana per il disastro che era Rhysand Logan, beh spoiler: non era servito ad un cazzo.
    Ma proprio ad un cazzo.
    Nemmeno il letto comodo che lo attendeva dopo innumerevoli minuti sotto il getto ghiacciato era riuscito a convincere il biondo a sdraiarsi e chiudere gli occhi, perché tutto ciò che riempiva la sua mente era una stupida ragazza dai capelli rossi con una lingua lunga e fastidiosa e un corpo così maledettamente…
    Per quanto i suoi sogni quella notte non furono attaccati da violenti ricordi e costanti spezzoni di immagini di scelte sbagliate che aveva preso fino a quel momento, l’aver pensato a lei a tutta quanta la notte un po’ gli fece rimpiangere di svegliarsi nel bel mezzo della notte grondante di sudore, a dire il vero si sentì quasi malinconico a non ricordare il volto di sua madre che rideva di fronte ad un piccolo bambino che piangeva, chiedendole di smetterla, piuttosto che al suono del proprio nome proferito da lei o da quegli occhi verdi così vivi e pieni di passione che lo imploravano di continuare.
    In un’altra vita probabilmente si sarebbe dato una bella pacca sulla spalla, dicendosi “Ben fatto Rhys, ti sei fatto la tua allieva” in quella attuale era più tentato a conficcarsi il coltello dritto nel petto e finire la sua esistenza in quel modo. Morto dissanguato nella propria cucina con i pancake che bruciavano nella padella. Avrebbe mentito se avesse detto a qualcuno che per qualche minuto i suoi occhi non si erano posati sul coltello che ancora stringeva nella mano o di aver mimato il gesto di conficcarsi la punta dritta nello stomaco, con Eve che assisteva alla scena con la stessa passione che tirava fuori quando desiderava cibo o altre coccole.

    Quando varcò l’ingresso della palestra nemmeno si rese conto dell’orario e, come tutte le mattine, accese le luci della sala vedendo gli stessi attrezzi di sempre. È un giorno come gli altri, pensò mentre avanzava silenziosamente nella palestra, sentendo nient’altro che i propri passi e il proprio respiro ed era buffo pensare che proprio lui si facesse delle seghe mentali come quelle, lui che era il primo a far finta di niente dopo aver creato chissà quale disagio a qualcuno ignorando totalmente le conseguenze o i sensi di colpa. Tornando alla normalità di tutti i giorni come se nulla fosse.
    Avrebbe dovuto far così, comportarsi come se solamente poche ore prima non si fosse intrufolato nei bagni del Ministero adagiando verso la rossa pronto a creare l’ennesima guerra che erano soliti a creare, che non avesse fatto a brandelli il vestito della ragazza mentre se ne stava tra le sue gambe a stringere ogni parte del suo corpo, marchiandola dal peggiore dei marchi. Eppure gli sembrò difficile ignorare quando sul proprio collo intravedeva quella chiazza violacea, viva più che mai.

    Fu come se quella giornata non fosse mai terminata, e se proprio si desiderava essere pignoli un po’ era così, e ancor prima di sentire voce di lei che preannunciava la propria presenza che il biondo si voltò verso di lei, dando i soliti ordini da cane rabbioso come tutti i giorni. Perché erano otto settimane e cinque giorni che vedeva quella figura entrane in quella stanza, con un piccolo e provocatorio sorriso sul volto. Otto settimane e cinque giorni che discutevano per gli esercizi che le dava da fare; otto settimane di litigate perché non se ne stava mai zitta e pretendeva di aver ragione quando aveva torto; otto settimane e cinque giorni in cui si trovava costretto a correggerle la postura, a insegnare come bastasse pochissimo nello svolgere un esercizio per creare danni fastidiosi.
    Otto settimane e cinque giorni, per due ore al giorno.
    Era il loro sessantaduesimo giorno.

    Sesso a parte era da qualche giorno che Logan studiava la ex Grifondoro, doveva ammettere che aveva sperato che dopo la prima settimana, Layla, abbandonasse quella stupida scelta ma quando la vide presentarsi tutti i giorni dovette farle una scheda vera e propria, focalizzandosi sui determinati punti del suo corpo da allenare prima di andare alla parte più divertente, ovvero le botte.
    Su sette giorni ne aveva presi due in cui si focalizzavano su tutto il corpo, poi un giorno lo dedicavano alle gambe, un altro alle braccia e al petto, un altro si concentravano sulla schiena e quindi tutti quegli esercizi noiosi di postura che però l’aiutavano anche sull’equilibrio e quelli restanti semplice cardio per prolungare la sua resistenza di fiato.
    In quasi due mesi la massa corporea di Layla sarebbe dovuta un po’ aumentare, il giusto per ristabilire l’equilibro tra il suo peso corporeo per la sua altezza ma, era fottutamente uguale. Forse i glutei erano rassodati più di prima, il che era un bene per lei perché significava che svolgeva bene gli esercizi e qualcosa effettivamente facevano ma male per lui che gli cadeva spesso lo sguardo.

    -Dannazione, Ginger! Che cazzo, fosse anche nuovo l’esercizio…- imprecò.
    Era una cazzata, l’esercizio più semplice al mondo e lei riusciva a sbagliarlo. Per cinque minuti le aveva spiegato cosa fare, anzi le aveva ricordato cosa doveva fare e tutto ciò che aveva visto fu quel viso arrossato dalla fatica, totalmente perso nel vuoto. Okay, inizialmente nemmeno se ne era accorto perché almeno borbottava delle risposte, e Layla borbottava tanto in sua presenza ma appena la sistemava che quella tornava gobba e con le braccia flaccide manco fosse fatta di gelatina e quelle gambe, quelle cazzo di gambe lunghe che si att- sospirò pesantemente, poggiando una mano sulla parte bassa della sua schiena e l’altra sul suo petto. Era dietro di lei, gli occhi vitrei fissi sul loro riflesso nello specchio, mentre pigiava con i grandi palmi da entrambe per parti mostrandole la corretta posizione –Così, Ginger- mormorò al suo orecchio –appena tolgo le mani, resta così- disse nuovamente, guardandola continuamente dal riflesso, accontentandosi persino di un battito di ciglia per prenderlo con un sì da parte sua.
    Lentamente, forse anche fin troppo, mollò la presa muoversi dietro di lei fino a posizionarsi davanti a lei e coprendole completamente la visuale dallo specchio e anche se fu per poco, quei millesimi di secondi in cui la guardò a così debita distanza che nella sua mente riaffiorarono momenti nel quale nessuno dei due riusciva a dire basta.

    Si abbassò sulle ginocchia, pronto a correggerle anche la posizione delle gambe. Ci sta mettendo più tempo lui a correggerla che lei a fare dei fottutissimi e stupidi squat e fu proprio nello stesso istante, chiamatelo tempismo perfetto o botta di culo, che la mano di Rhys colpì la coscia sinistra di Layla andando a rafforzare l’imprecazione della giovane con il ciaf che la sua mano emise toccandola.
    -Apri queste cazzo di gambe, Layla- borbottò da bifolco, maleducato, arrogante che era Rhysand Logan
     
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    -Così Ginger… appena tolgo le mani, resta così-

    Non toglierle.
    A labbra schiuse e occhi sgranati, Layla non era neanche riuscita a rispondere al sussurro di Rhysand. Era troppo distratta dal calore del suo corpo che incombeva sul proprio, dalla vicinanza delle sue labbra all’orecchio, dalla sua voce così bassa e ferma e dalla sensazione delle sue mani che premevano su di sé, raddrizzandola sul posto.
    Per un attimo si chiese se, con quella grande mano appoggiata sul petto, fosse in grado di sentire quanto veloce battesse il suo cuore. Provò anche a spostare lo sguardo sul volto di lui, ma i suoi occhi erano vitrei come sempre, persi in chissà quale pensiero.
    Rilasciò andare un sospiro a fior di labbra, flebile e leggero ma anche carico di frustrazione, così sottile che forse il ragazzo non se ne era neanche accorto.

    Probabilmente per lui non era stato niente.
    Quello che era successo la sera prima non era nulla di ché.
    Era già tanto che non lo stesse usando come scusa per prenderla di continuo per il culo e di questo gliene era quasi grata.
    Sapevano entrambi che quello che c’era stato tra loro non era importante dal punto di vista sentimentale, però per lei sotto altre prospettive un po’ di importanza l’aveva avuta.
    Era la prima volta, dopo tanto tempo, che permetteva a qualcuno di avvicinarsi a lei in quel modo.
    Forse sarebbe potuta sembrare una banalità solo perché si trattava di qualcosa di carnale, ma per lei invece non lo era.
    Non aveva più il cuore spezzato ormai da un pezzo, e aveva desiderato voltare pagina molte volte, ci aveva anche provato con tutta sé stessa.
    Era uscita con un ragazzo bello e gentile, che l’aveva trattata come una principessa e che era così palesemente preso da lei ma… ma che diamine, per quanto una parte di lei avesse voluto lasciarsi andare alla fine non ci era riuscita.
    E invece con Rhysand era stato così dannatamente facile… perché?
    Perché dannazione, quando aveva avuto a portata di mano qualcuno che sembrava sincero aveva finito per allontanarlo e invece quella sottospecie di gorilla rozzo e scorbutico era riuscito ad abbattere le sue difese? Saltandole addosso in un bagno, poi.

    Merlino, non c’era niente che aveva senso.
    Avrebbe voluto pensare che i graffi che continuava a fissare dal riflesso dello specchio non fossero altro che un’allucinazione, eppure erano lì: arrossati e irregolari disegnavano sulla pelle chiara del ragazzo i punti in cui le sue unghie avevano scavato nella sua carne, spiccando in mezzo alle cicatrici vecchie che tristemente gli decoravano la schiena.
    Gli aveva fatto male.
    Doveva avergli fatto male per forza, era impossibile che non se ne fosse accorto, eppure la sera prima non le aveva detto una parola in merito, aveva solo continuato a farla impazzire, strappandole versi che la facevano arrossire solo a ripensarci.
    Per non parlare del modo in cui doveva averlo guardato, avrebbe voluto prendersi a schiaffi da sola: la sola idea di essersi mostrata così disperata e vulnerabile era…

    In effetti, in quel momento, uno schiaffò le arrivò davvero e fu abbastanza per risvegliarla brutalmente dalla spirale di pensieri in cui era scivolata per l’ennesima volta.
    Immediatamente lo sguardo smeraldino dell’ex-Grifondoro si era spostato sul ragazzo, in ginocchio davanti a lei e con l’aria palesemente scocciata.
    -Apri queste cazzo di gambe, Layla-
    Non credeva sarebbe stato possibile metterla ancora più in imbarazzo di quanto già non fosse in quel momento e neanche farla arrabbiare, ma era ovvio che Rhysand Logan fosse fornito di uno specialissimo talento in quel senso e infatti in meno di due secondi era riuscito pienamente a centrare entrambi quegli obiettivi.
    Adesso si stavano guardando direttamente negli occhi, lei rossa in viso come probabilmente non lo era mai stata in tutta la sua vita (o almeno così doveva essere a giudicare dal calore diffuso che sentiva su tutto il viso) e l’espressione al contempo scandalizzata, imbarazzata e piena di rabbia.
    Che cosa… che cosa aveva detto???

    La parte razionale della sua testa sapeva che quell’ordine non aveva niente a che fare con quanto era successo la sera prima, tuttavia quella non era la mattinata giusta per la razionalità.
    Lo fulminò seduta stante con lo sguardo, pronto a ricoprirlo di insulti mentre ben altre parole che Rhysand aveva pronunciato la sera prima le risuonavano all’orecchio:
    -Chi l’avrebbe mai detto che per farti aprire le gambe durante gli allenamenti, dovevo semplicemente baciarti-

    Lo guardò carica di odio e di risentimento, perché non poteva farla sentire così, non era… non era giusto che lei avesse esattamente voluto rispondergli “Sai bene qual è il metodo giusto per riuscire a farmelo fare.”
    Perché la verità, pura e semplice, era quella.
    Era arrabbiata con lui, ma era soprattutto arrabbiata con sé stessa.
    Arrabbiata perché era sicura che quello della sera prima fosse stato solo uno scivolone e che non avrebbe nemmeno voluto neanche azzardarsi a pensare di ripetere un errore come quello, e invece in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per fottersene, mollargli uno spintone e baciarlo fino a svenire sul pavimento della palestra.
    Avrebbe pagato qualunque cifra per potersi sentire di nuovo in quel modo, per crogiolarsi ancora nel suo profumo e nel calore addosso e per anche per le sue braccia forti che la stringevano.
    Avrebbe dato via ognuno dei suoi beni più preziosi pur di poterlo di nuovo guardare negli occhi e vederli accesi di desiderio per lei, di vedere quanto la odiasse per quello che stavano facendo, di trovare triste ma consolante al tempo stesso che tra loro non ci fosse spazio per quei sentimenti che non avevano fatto altro che ferirla.
    Avrebbe voluto implorare che continuasse a odiarla, perché era evidente che era quello ciò che meritava.
    Quello e nient’altro.

    Guardò Rhysand negli occhi e per un istante le sembrò che lui potesse vedere tutta quella tempesta riflessa nei suoi.
    Fu una sensazione strana, qualcosa che per un istante le fece paura.
    E ovviamente, visto che ebbe paura fece qualunque cosa avrebbe fatto un animale impaurito messo all’angolo.
    Attaccò.
    -Cos’è Logan, ci stai prendendo gusto?- replicò con finta superbia mentre divaricava le gambe, alzando il mento e puntando lo sguardo sullo specchio di fronte a sé, come se lui non fosse neanche degno della sua attenzione.
    Si passò la lingua sulle labbra mentre cercava di dissimulare quella scarica di adrenalina improvvisa che le faceva tremare le mani.
    Sentì una sensazione strana nel corpo, non riusciva a capire cosa fosse di preciso… sembrava quasi che un’altra Layla stesse lottando per prendere il controllo perché…
    Cazzo.
    Aveva voglia di punzecchiarlo ancora.
    Di farlo in un modo che somigliava spaventosamente a flirtare ma lei non doveva assolutamente.
    Non doveva ma soprattutto non voleva… giusto?
    Certo.
    Non voleva.
    Affatto.
    Abbassò di nuovo lo sguardo su di lui, e fu come se vederlo di nuovo fosse troppo.
    Non poteva tenere a freno la lingua, era più forte di lei.
    -Comunque ci stai bene lì in ginocchio di fronte a me.-
     
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    Eccolo lì, lo sguardo che ormai aveva imparato a riconoscere.
    Persino da lì riusciva a vedere come gli occhi verdi di lei brillassero per tutte quelle parole che avrebbe voluto dire ma che mai avrebbe sentito e trovava assurdo che una minuscola parte di lui, desiderasse scoprire cosa diavolo frullasse in quella testolina bacata.
    Avevano scopato.
    Avevano scopato di brutto dentro al bagno del Ministero, nel bel mezzo di una festa fregandosene di tutto il resto ed ora ch’erano nuovamente insieme, stavano facendo finta di niente o per lo meno era quello che Rhys stava cercando di fare: fingere fino alla morte, come faceva con tutto. Dopotutto lo faceva da così tanto tempo che ormai era una prassi per lui, ragionamenti involontari che si realizzavano da soli anche senza il bisogno del suo intervento consapevole, quindi non avrebbe avuto problemi.
    Fingeva per le piccole cose a quelle più disastrose per mantenere quel breve muro che teneva salda la poca sanità mentale che gli era rimasta, perciò quello sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui.
    Una stronzata, giusto?

    “Cos’è Logan, ci stai prendendo gusto?”

    Sollevò lo sguardo incrociando quello della sciocca e impertinente ragazza dai capelli rossi, la stessa che solamente poche ore prima l’aveva marchiato con le unghie sulla propria schiena, aggiungendo nuovi segni a quelli vecchi. Ed era così facile far scorrere le grandi mani sulle sue gambe, ricordando la sensazione della sua pelle liscia contro i palmi rovinati di lui che per un’istante si scordò il motivo per cui si era messo in ginocchio davanti lei o che in realtà stesse accarezzando il materiale dei suoi leggins.
    -È per questo che non sei attenta oggi?- mormorò lieve, con quel sorrisetto sghembo impresso sul volto, le sue mani che scorrevano lente sempre più in alto percependo quella curvatura con le dita, fermandosi prima ancora di spalmarci i palmi come se nulla fosse.
    Per quale cazzo di motivo si stava comportando così? Non era da lui.
    Rhysand non faceva quelle cose.
    Non si inginocchiava per scherzo, non sprecava il proprio tempo con le cause perse e di certo non si spingeva così tanto in là, come se stesse rincorrendo quel bisogno fisico di toccare; voleva sentire come il suo corpo reagiva al suo tocco, dei muscoli che si contraevano quando la obbligava a fare un determinato esercizio. Trovare l’errore quando non ne esisteva uno.
    Lui, che detestava anche solamente l’idea di avere qualcuno così tanto vicino, se ne stava lì fermo immobile, lottando con se stesso di fermarsi e tornare coerente anche se le sue mani stavano benissimo dov’erano e l’intenzione di spostarsi nemmeno gli era passata di mente.
    E solo per lei.
    Perché?

    Fece scorrere nuovamente le mani verso il basso, sfiorando la piega del ginocchio e sbuffando quella che era la cosa più simile ad una risata mentre si sollevava da terra, torreggiando con quel corpo da scimmione buzzurro su di lei –Prendilo come regalo di Natale, Ginger- borbottò lentamente, disfacendosi di quel sorrisetto che per tutto il tempo era rimasto fisso sul suo volto, facendogli realizzare quanto male gli facessero i muscoli del viso. La guardò come se fino a quel momento non l’avesse mai fatto, contando per l’ennesima volta le lentiggini che aveva sulla guancia sinistra, per ora era arrivato a centocinquanta nonostante si fosse perso a causa di quelle più chiare o più piccole, ma non era quello il punto. Non doveva fare quello.
    -Ora riprovaci e concentrati- disse nuovamente, quasi come se soffiasse quelle parole sul suo volto dovuta alla poca distanza che li separava, prima di allontanarsi –E dopo questo, abbiamo finito- parlò ancora una volta, con l’unica eccezione che le parole che gli uscirono di bocca furono totalmente diverse rispetto a quelle precedenti.
    In quell’istante ogni muscolo del suo corpo si era nuovamente indurito o semplicemente teso, quasi come se stesse mantenendo con le proprie mani i muri che aveva appena rialzato per far sì che entrambi restassero a debita distanza. Non voleva ma quell’aria giocosa e provocatoria di poco prima svanì con quella semplice frase, come se entrambi non avessero violato quella regola d’odio che si erano dichiarati come clausola per stare ognuno al proprio posto o come se solamente pochi secondi prima, entrambi, avessero flirtato privi di dignità.
    Forse non era riuscito a farlo subito ma alla fine Rhys riuscì a raggiungere il proprio obiettivo, alla fine si stava comportando esattamente come se nulla fosse successo.
     
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    Gennaio


    Le pause natalizie erano terminate, per lo meno quelle che Logan aveva prestabilito alla rossa.
    Dicembre fu un mese pesante per cui trovò più che lecito prendersi una pausa dalla sua faccia e concentrarsi su altro oltre al doverla continuamente allenare.
    Prima di lasciarsi le aveva lasciato una scheda da seguire, qualcosa di facile e di pratico senza che lo seguisse nei corridoi del Ministero per particolari spiegazioni specifiche, trovò anche stupido il suo bisogno di restarle il più lontano possibile perché, quando mai gliene fregava qualcosa di qualcuno in particolare?
    Per fortuna di Layla, aveva stilato un nuovo tipo di addestramento, perché si era rotto il cazzo di restare costante sugli stessi e poi arrivati a quel livello la ex Grifondoro avrebbe già dovuto raggiungere gli obiettivi che Rhysand sperava raggiungesse, ma quando quella mattina la vide varcare l’ingresso della palestra, la speranza fu la prima a morire.
    Non riusciva a comprendere il come Layla Lungbarrow avesse lo stesso fisico tale quale a quando avevano iniziato ad allenarsi insieme eppure, nonostante le togliesse tutti i diritti ogni volta che metteva piede lì dentro, la seguiva. Osservava i suoi esercizi e ragionava su cosa fare prima di spostarsi su altri allenamenti, non le faceva fare cose tanto per, detestava vederla tutti i giorni ma aveva preso seriamente quell’impegno.
    -Ma ti sei allenata?- nessun buongiorno, nessun “buon anno”, attaccò come sempre e nemmeno le diede il tempo di rispondere che la rimise a correre.
    Nonostante le settimane trascorse insieme, la strada era così lunga che faticava a vedere la destinazione finale.

    La prima settimana fece un ripasso, rispolverando tutto quello che avevano fatto aumentando un po’ la difficoltà, inutile dire che le discussioni erano tante quanto il bisogno che provasse di schiacciarla a terra e lasciarla lì.
    La seconda settimana aggiunge nuovi esercizi, legò delle corde pesanti ad un’asta del ring accertandosi che la presa fosse ben salda e le mostrò come muoverle e, oltre a quello, ignorò anche le sue lamentele perché non esisteva che lei dicesse no ad un esercizio.
    La terza settimana non sentiva nient’altro che il nome di suo fratello uscirle dalla bocca che Rhysand per poco non l’appese insieme ai sacchi da boxe, in realtà oltre ad averci pensato l’aveva anche fatto e tutto ciò che ricordò fu quell’odore forte di pesca e delle sue mani che stringevano quella vita minuta riaffiorando ricordi che non si aspettava di ricordare.
    Aveva piegato appena la testa di lato, incrociando le braccia al petto mentre la osservava un po’ dal basso –Ora stai lì, zitta e buona¬- le aveva detto, dandole poi le spalle mentre si rimetteva a sistemare la palestra; quel pomeriggio disse a Buck di averla messa in punizione perché era stufo, rifilando al suo psicologo una sfilza di scuse che faticava persino lui a credere.
    E ancor prima di rendersene conto, gennaio finì.

    Febbraio


    Febbraio iniziò di merda. Quando varcò l’ingresso della palestra il volto del Logan era pieno di ematomi, il labbro spaccato, le nocche rovinate, lo sguardo colmo di rabbia che andavano ad inaugurare la rasatura dei suoi capelli biondi. Era consapevole che ancora una volta avrebbero pensato che avesse causato chissà quale motivo e di certo non sarebbe stato lui a smentire il contrario, non si preoccupò nemmeno di guardare in faccia Layla quella mattina perché aveva dolori in tutto il corpo.
    Ogni suo movimento pareva doloroso non solo per se stesso ma anche alla vista –Comincia- le disse quella mattina, la voce roca e gli occhi bassi, mentre raggiungeva la sedia quasi come se fosse il suo scopo di vita. Si lamentò quando si sedette, si lamentò così tanto che la sua faccia si contorse in una smorfia di dolore e il gemito di sofferenza sfuggì dalle sue labbra.
    La verità fu che la sera prima Rhysand cadde dalla moto, percorrendo qualche metro di strada con il proprio corpo, sentendo il nuovo acquisto cadere con un tonfo sull’asfalto per colpa di uno che non aveva rispettato lo stop. Aveva passato il resto della notte in ospedale ma quando gli dissero che nulla era rotto non aveva perso tempo a restare lì dentro.
    Non lo disse a nessuno, forse perché si vergognava o forse perché se fosse stato più attento probabilmente non si sarebbe fatto così tanto male ma a volte, non poteva controllare tutto quanto, anche se questo proprio non lo sopportava.
    Si era autoconvinto che avrebbe fatto passare il mese di febbraio facendo finta di nulla, ma ovviamente aveva scordato di quanto potesse essere testarda e fastidiosa la rossa, durò due giorni il suo silenzio di tomba, due fottuti giorni. E forse fu per questo che febbraio non fu un mese eccellente per i suoi allenamenti, passava i giorni seduto sulla sedia a guardarla, lanciandole le palline da tennis quando sbagliava perché ancora il suo corpo necessitava un ricovero vero e proprio; quando si alzava lo sguardo della rossa si trasformava da affaticato a rabbioso e quindi litigavano, litigavano così tanto che finivano sempre faccia a faccia, così vicini che gli sarebbe bastato pochissimo ricreare quel fantomatico momento del natale passato.
    Lo insultava perché gli diceva che non doveva alzarsi, che era stupido starsene lì quando doveva farsi vedere da un dottore e lui le rifilava sempre la stessa storia, che se eseguiva gli esercizi nel modo sbagliato lui non si sarebbe alzato.
    La sua storia non reggeva, lo sapeva lui, lo sapeva Layla e probabilmente lo sapevano anche tutti gli altri ma ormai era diventato un obiettivo preciso quello di farle perdere le staffe.


    Marzo


    A marzo la aspettò seduto sul ring, la guardava sfilare come ogni mattina studiando il nuovo completo aderente che la rossa decise di indossare. Batté la mano a terra facendole capire di raggiungerlo e sedersi perché quella mattina del primo di marzo Rhys non allenò Layla.
    L’aveva guardata e aveva parlato, le aveva chiesto se lo stesse prendendo per il culo, se stava sbagliando lui qualcosa o se era lenta di apprendimento perché non capiva, non capiva come anziché farle mettere massa la vedeva sempre più magra. Fu la prima volta in cui le chiese se mangiasse bene o se mangiasse abbastanza, se avesse bisogno di una dieta da seguire che l’avrebbe aiutata ad assumere più proteine o carboidrati perché allenare l’aria era la stessa cosa.
    Marzo fu il ritorno dei vecchi tempi. Marzo fu il mese in cui ricominciarono tutto da capo.

    Aprile


    Ci fu un piccolo miglioramento, così piccolo da essere quasi impercettibile ma abbasta perché Rhys lo notasse.
    Tornarono alla sbarra in quel mese e forse Rhys si stava auto illudendo a focalizzarsi su quel miglioramento ma volle tentare; il suo corpo era migliorato rispetto al mese precedente, i capelli gli erano già ricresciuti lasciando il ricordo della rasatura come un fenomeno ormai passato.
    -L’hai già fatto, cosa cazzo non ti riesce?- borbottò dal basso, osservando una ginger appesa all’asta con le mani che chiedevano pietà. Non si mosse quando la vide che stava per cadere, in realtà i suoi occhi seguirono la scena fino al pavimento, osservandola con il culo a terra per la quarta volta. Aveva sospirato quella mattina, passandosi la mano sui capelli appena ricresciuti iniziando a borbottare.
    L’aveva fatta rialzare, aveva ignorato il suo sguardo omicida e poi l’aveva riappesa senza lasciarle il tempo di realizzare, semplicemente aveva appoggiato le mani sui suoi fianchi e l’aveva sollevata senza difficoltà, facendole capire di doversi tenere con le mani.
    Pochi furono i secondi in cui restò da sola perché non appena lasciò la sua vita che Rhys si aggrappò alla stessa asta, restando così faccia a faccia.
    -Avvolgi le gambe attorno ai miei fianchi- le disse guardandola negli occhi, come se fosse la richiesta più normale del mondo –Ci alzeremo insieme, ma anziché darti la spinta da sola sarò io a farlo per te- spiegò nuovamente ignaro che da quel giorno in poi solo una cosa sarebbe rimasta impressa nella sua mente.
    Dopotutto restava pur sempre un bastardo e come tale era suo compito infastidirla o vederla arrossire a tal punto, da diventare un tutt’uno con i suoi capelli –Lo so che lo sai farei, non fare la modesta- la stuzzicò. Non appena sentì le sue gambe avvolgergli i fianchi iniziò a sollevarsi, facendo i piegamenti appesi all’asta, i loro corpi e volti perennemente attaccati.

    Maggio


    A maggio si sentì stranamente più buono, forse perché aveva aggiunto un nuovo tatuaggio alla propria collezione andando a riempire un buco sul braccio che proprio gli dava noia o forse era l’estate che lo metteva di buon umore, di certo non fu quel maledetto completo nero che Layla decise di indossare qualche giorno prima.
    Fatto stava che per una volta decise di andare incontro alla rossa accontentandola una volta ogni tanto, la recluta si lamentava che per tutti quei mesi non avevano fatto altro che “palestra” che non stava imparando un bel niente, nonostante il suo corpo restasse uguale identico, senza un minimo di massa aggiunta ma se Layla voleva fare a pugni chi era lui per dirle di no?
    Probabilmente in quel imbarazzare mezz’ora l’unica cosa che mancava fu una musica da circo e un piccolo pubblico: i primi dieci secondi guardò la pessima guardia i Layla nonostante glielo avesse ripetuto più volta e quando attaccò gli bastò afferrarle il braccio, scansarla e aggiungerci una sonora pacca sul culo per farle capire che no, non era pronta. Non seppe nemmeno il perché le schiaffeggiò il culo ma l’azione fu così tanto spontanea che se ne rese conto solo dopo lo sguardo infuriato della rossa.
    -Si, Ginger?- chiese falsamente innocente, il sorrisetto sghembo impresso sul volto. L’incontro andò per le lunghe soltanto perché si sentiva di buon umore, ma dopo la quarta volta che la mise con il culo per terra, Logan, si piegò sulle ginocchia come la prima volta, guardandola dall’alto mentre le diceva –Che ne dici di rimetterti a correre?-



    Giugno


    Ancora una volta si ritrovò a dover riaffrontare lo stesso discorso di marzo e la sua faccia era così seria che non si beveva nessuna stronzata della ragazza a quel giro, le rinfacciò tutti i mesi trascorsi, gli esercizi che avevano fatto, il perché glieli faceva fare e i risultati che avrebbe dovuto sentirsi addosso grazie ad essi –Sei allenata, ma non hai massa corporea Layla, stai tonificando senza avere nulla da tonificare- la sua voce era così seria e così bassa che non sembrava nemmeno lui, perciò qualsiasi fosse la scusa del momento la ignorò e prima di cominciare l’allenamento le allungò una borraccia diversa da quella di lei solita –Bevi¬- gli aveva detto, allungandole una barretta proteica poco dopo. Fu così che giugno cominciò, con lui che le portava l’acqua piena di integratori e piccole cose da mangiare prima e dopo l’allenamento; ancora una volta ripresero tutto dall’inizio insieme a tutti gli altri esercizi che avevano aggiunto nei mesi successivi.
    Senza accorgersene arrivarono al diciotto giugno, la guardò mentre riprendeva fiato, stremata a tal punto da vedere le sue gambe tremare –A domani, ginger- le disse mentre risistemava tutto quanto, inconsapevole del fatto che nel pomeriggio le avrebbe detto che il giorno dopo, non ci sarebbe stata.
     
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    Gennaio



    Quelle vacanze di fine anno erano trascorse piuttosto in fretta.
    Per Layla era stato il primo Natale passato in famiglia, con la sua vera famiglia e fu una fortuna che Rhys le avesse proposto quel periodo di tregua perché, dopo il disastroso allenamento successivo alla festa, aveva proprio bisogno di mettere un po’ di distanza tra loro.
    Era stato un momento tutto sommato piacevole, giornate durante le quali aveva avuto modo di osservare meglio le dinamiche della famiglia Campbell-Fox-McClan e provare a capire come integrarsi in quel piccolo nucleo i cui membri sembravano così facilmente affiatati.
    Festeggiare però voleva dire mangiare più del solito e, sebbene avesse continuato a seguire gli esercizi che Rhysand le aveva assegnato, sentiva che avrebbe dovuto in qualche modo compensare quelle giornate piene di cibo e dolci per non rischiare di prendere un grammo in più rispetto al peso che voleva mantenere.
    Ciò che Layla però non aveva capito era che, se forse era stata abbastanza “in gamba” da nascondere a Harriet quello che stava facendo, non ci sarebbe stato verso di sfuggire allo sguardo inquisitore di Rhys.
    Per un solo, minuscolo, istante, prima di varcare la porta della palestra, Layla si era chiesta che cosa avrebbe provato rivedendo il ragazzo dopo tutto quel tempo, se avesse davvero archiviato la questione della festa così bene come continuava a ripetere a sé stessa per convincersene.
    Poi le bastò sentire la sua voce e capì che, sì, tra loro non era cambiato niente.
    …Meglio così.
    -Certo che…- attaccò, pronta a rispondergli con lo stesso tono acido con cui lui le aveva abbagliato addosso, ma non ebbe nemmeno il tempo di finire la sua replica colorita che si ritrovò a correre lungo quell’ormai familiare circuito.

    Le settimane successive trascorsero senza avvenimenti di nota, si limitava a seguire le sue direttive e rispondergli per le rime come sempre, sebbene una parte di lei trovava sempre una scusa o un’altra (di solito tirargli un’acidata o lamentarsi di qualcosa) per avvicinarsi a lui e cercava di far finta di non fissargli spudoratamente le mani quando armeggiava con le corde del ring.
    Aveva cambiato nenia solo nel periodo del compleanno di Garrett e soltanto perché voleva genuinamente un consiglio su cosa regalargli, domande che forse poi per i gusti di Rhys erano dirottate su un terreno un po’ troppo personale perché a un certo punto era finita appesa a un gancio lungo la fila dei sacchi da box.
    Quando le si era avvicinato per tirarla su Layla aveva trattenuto il fiato. Non erano stati così vicini dalla festa al Ministero e per un secondo si odiò per averci ripensato.
    Poi si ritrovò appesa come un prosciutto e la rabbia per quella situazione imbarazzante prese il sopravvento su ogni altro ricordo compromettente.
    -SEI UN CRETINO! TIRAMI SUBITO GIU’ SE HAI CORAGGIO, VOLEVO SOLO CHE GARRETT PASSASSE UN BEL COMPLEANNO, MA FORSE È MEGLIO TRASCORRERLO SENZA UN ANIMALE SELVAGGIO COME TE!! E NON DIRMI DI STARE ZITTA!!- gli aveva sbraitato contro mentre sgambettava come un’indemoniata nel tentativo di sganciarsi da quel coso.
    Gli aveva persino tirato dietro una scarpa, ma questo rese solo il suo atterraggio sul pavimento della palestra più doloroso quando decise di scendere da sola.
    Che diamine, voleva solo aiutare un amico.
    Insomma, se lei non poteva avere idilliaco con sua sorella, sarebbe stato bello che gli unici due circa amici che aveva potessero almeno provarci… no?

    Febbraio



    Quando Layla aveva visto Rhysand varcare la porta della palestra ridotto in quello stato, ci era mancato poco che le venisse un infarto.
    Era già sospetto che quella mattina fosse arrivato dopo di lei ma mai avrebbe pensato di vederselo comparire con il volto e il fisico ridotti in quello stato.
    Ricordava ancora di come avesse corso verso di lui, di come avesse guardato con orrore le ferite che aveva sul corpo, ma le era bastata una sua occhiata con l’occhio sgonfio per battere in ritirata.
    Poteva accettare che non volesse parlarne, poteva trattarsi di qualunque cosa, da una brutta rissa che lo avrebbe messo nei guai con Benjamin a una missione top secret andata male, si sentì persino in colpa perché pur di non farle perdere un giorno di allenamenti si era comunque presentato in quello stato, ma sapeva che non avrebbe retto quella situazione a lungo.
    Due giorni dopo, infatti, gli stava urlando addosso che era ridicolo che continuasse a soffrire e starsene in quelle condizioni, era il proprietario della fottuta farmacia, era un cazzo di mago e al San Mungo avrebbero potuto rimetterlo in sesto in pochi minuti se solo lui non fosse stato così duro di comprendonio e si fosse deciso a farsi curare.
    Quella, forse, era stata una delle poche volte che Rhysand aveva potuto vederla davvero arrabbiata, che aveva infranto quella regola silenziosa per cui lei gli rimaneva almeno a tre passi di distanza e gli aveva urlato dritto in faccia.
    Avrebbe voluto prenderlo a pugni ma, considerato le condizioni in cui era, aveva l’impressione che non sarebbe servito a nulla e poi dubitava che ne avrebbe colto la differenza.
    -E comunque, se volevi renderti inchiavabile, complimenti, ci sei riuscito.-
    Gli aveva detto un giorno, parlando dei capelli rasati.
    Era una bugia, lo sapeva lui e lo sapeva anche lei (anche se davvero lo preferiva di gran lunga con i capelli lunghi) ma almeno quella specie di complimento camuffato da insulto aveva sancito una piccola tregua e Rhys, verso la fine del mese, sembrava persino essersi ripreso.

    Marzo



    Quando varcò la soglia della palestra, quel primo Marzo, Layla si chiese se per caso Rhys non avesse di nuovo assunto qualche sostanza non proprio legale.
    Insomma, quando mai Rhysand Logan si sedeva con calma per parlare?.
    Si chiese se per caso non avesse cominciato a vedere uno psicologo (inconsapevole che ne frequentasse uno regolarmente da tempo) e quando lo vide battere quella mano grande e forte sul pavimento del ring non riuscì a fare altro che correre da lui come un soldatino chiamato all’ordine.
    Le era bastato guardarlo negli occhi per capire di trovarsi nei guai e, una volta tanto, fu come se i ruoli si fossero invertiti.
    Era Rhysand che aveva cercato un contatto: certo, sempre a modo suo ma lo aveva fatto, ed era stata Layla quella cui lo sguardo si era fatto appannato ed evitante, quella che aveva di colpo alzato una barriera tra loro.
    Sapeva che in qualche modo quello che mangiava avrebbe influito sulla costruzione del suo fisico da allenamento, ma era convinta di avere tutto sotto controllo si assicurava di mangiare quel tanto che bastava per avere le energie per affrontare la giornata (o almeno era quello che pareva a lei) e non un grammo di più.
    A ripensarci a posteriori non avrebbe neanche saputo dire che cosa gli aveva risposto sul momento, forse che con due lavori e le cose che aveva da fare non sempre riusciva a organizzare bene i pasti e che sicuramente non li aveva preparati pensando alla quantità di proteine che le sarebbero servite… che ci sarebbe stata più attenta da quel momento in poi.
    Aveva costruito una serie di bugie perfettamente plausibili, proprio come le rare volte in cui mangiava insieme a Harriet e perdeva tempo tagliando a piccoli pezzi il cibo che aveva davanti o che faceva finta di mangiare dallo stesso sacchetto di patatine da cui si serviva la sorella.
    Ma andava tutto bene.
    Era tutto sotto controllo.

    Aprile



    Si era impegnata.
    Consapevole che avrebbe dovuto mettere su massa e per quanto il pensiero di diventare un armadio di un metro e ottanta la spaventasse, aveva integrato nella sua alimentazione po’ di proteine e si era sforzata. Non voleva che tutto il suo lavoro venisse sprecato e soprattutto non voleva rischiare che Rhys finisse per farle un’altra ramanzina come quella del mese precedente, per cui ogni giorno aveva compiuto qualche piccolo miglioramento.
    Anche il ragazzo sembrava essersene accorto e forse proprio per quello si era sentita abbastanza sicura da allentare di nuovo la presa sul suo autocontrollo, perché da un giorno all’altro sembrava di nuovo impossibile eseguire gli esercizi alla sbarra.
    Layla le aveva provate tutte ma non riusciva proprio a rimanere attaccata: ogni volta resisteva forse il tempo di sollevarsi di qualche centimetro prima di perdere la presa e finire con il culo a terra. Neanche la polvere di gesso era riuscita a farla resistere più di qualche secondo e, con Rhys che la guardava con quel cipiglio carico di disapprovazione si sentiva più frustrata e imbarazzata che mai.
    -Non lo so, va bene?!- sbottò, mentre si rimetteva in piedi a fatica.
    Aveva voglia di sparire e basta.
    Quando sentì le sue mani calde stringersi intorno alla vita per un istante dovette soffocare l’impulso di mollargli un calcio: temeva che l’avrebbe appesa al sacco da boxe come era successo a gennaio, ma poi si era ritrovata di nuovo attaccata alla sbarra.
    -Rhys…- aveva iniziato a protestare debolmente, proprio mentre sentiva i muscoli delle braccia tremare per l’ennesima volta.
    Quello almeno finché non se lo era ritrovato a mezzo centimetro dalla faccia e come se già quello non fosse bastato a innescarle una scarica di adrenalina tale da farla resistere di più, la frase successiva l’aveva quasi portata a mollare la presa dalla sbarra per lo shock.
    Non riuscì neanche a nascondere l’espressione imbarazzata sul suo viso, e come avrebbe potuto mentre erano così vicini?
    Sollevò le gambe, titubante, e quando parlò di nuovo gli lanciò un’occhiata di fuoco nonostante il rossore diffuso su tutto il corpo.
    -Attento a come parli, che potrei mollarti tranquillamente una ginocchiata sulle palle da questa posizione- aveva risposto, borbottando come una caffettiera.
    Aveva comunque obbedito senza protestare oltre, avvolgendo le gambe lunghe intorno alla sua vita e lasciando che la accompagnasse in quei sollevamenti, cercando di soffocare con tutta sé stessa ogni pensiero che non fosse quello di muovere bene braccia e addominali e non soffermarsi a pensare, per esempio, a quanto fossero vicini, o ai loro corpi intrecciati o a quanto una parte di lei avrebbe voluto strappargli quei vestiti di dosso e gettare alle ortiche la sua dignità.
    Mai come in quel momento quella specie di gara di resistenza che stavano facendo per far cedere l’altro e prendersi quella vittoria le era sembrata insensata.
    Era persino intenzionata a raccontare tutto a Harriet una volta tornata a casa, ma anche quella sera la porta della camera di sorella era chiusa e il buco nel petto che per un periodo sembrava essersi fatto mentre doloroso, l’aveva inghiottita di nuovo.

    Maggio



    Se a Maggio Rhysand si sentiva sospettosamente di buon umore, Layla invece era nera.
    Le sembrava di essere ferma su ogni aspetto della sua vita: giorno dopo giorno le sembrava di non fare passi avanti sotto nessun punto di vista.
    Con Harriet le cose erano sempre uguali, anzi aveva trovato delle vecchie foto di Marcus nella spazzatura ed era rimasta a fissarle per delle ore, ritrovando incastonati sul viso di suo padre due occhi non castani come li ricordava lei, ma verdi.
    Forse un po’ più scuri dei suoi, ma non riusciva a credere di avere lo stesso colore di occhi di suo padre e di non ricordarlo affatto.
    Ovviamente la sua valvola di sfogo, come sempre, era la palestra e, stanca di quella immobilità e frustrata da tutti i suoi problemi personali, aveva finito per prendersela con Rhys facendogli presente per l’ennesima volta che era stanca di fare solo esercizi e che dopo tutto quel tempo era ora di imparare qualcosa che avrebbe potuto veramente usare sul campo.

    Era stato un disastro.
    Rhysand l’aveva messa a terra con una mossa sola tutte le volte che aveva provato ad attaccarla, per non parlare della sua guardia che sembrava essere inesistente: persino un alito di vento avrebbe potuto spezzarla, non ci voleva certo il braccio muscoloso del ragazzo.
    C’era una parte di lei che sembrava trovare quasi catartico il fatto che lui continuasse a sbatterla in quel modo in giro per il ring o forse era solo una nuova scusa per mettergli le mani addosso.
    Di sicuro per Rhys lo era stata, perché a un certo punto le mollò una pacca sul sedere abbastanza forte da rimbombare per tutta la palestra.
    -Ma come ti permetti, buzzurro disgraziato animale delle caverne che non sei altro…!!!- aveva esclamato, cercando di mollargli diverse pacche sulla schiena cariche di rabbia, rossa in faccia e con la voglia di prenderlo per il collo e strozzarlo.
    Aveva però l’impressione che lui si stesse solamente divertendo di più e l’impressione si rafforzò quando si ritrovò a terra per l’ultima volta.
    Lo odiava e non lo odiava davvero, perché quando lo vedeva sorridere in quel modo, quando le sue labbra formavano quell’adorabile curva all’insù non riusciva a resistere.
    Lo avrebbe preso a schiaffi, o forse si sarebbe presa a schiaffi da sola perché una parte di lei avrebbe voluto sorridergli di rimando.

    Giugno



    L’intensità con cui Layla si fissava la punta delle scarpe era a dir poco imbarazzante.
    Una parte di lei era convinta che una situazione come quella di Marzo non si sarebbe ripetuta, ma tre mesi dopo invece era lì a subirsi un’altra ramanzina da Rhysand perché il suo fisico sembrava congelato. Non era cambiato quasi niente in lei eppure era così convinta di avere tutto sotto controllo.
    Lei, di fatto, non voleva che il suo fisico cambiasse e nella sua mente voleva conciliare quel desiderio con quello di diventare più forte e di poter imparare a tenere testa anche a qualcuno ben piazzato quanto lo era il maggiore dei Logan.
    Si torturava l’angolo interno delle labbra con i denti, trattenendo a stento la voglia di rispondergli che invece andava tutto bene e di sicuro la colpa era la sua che continuava a darle quegli stupidi allenamenti e di certo non del modo in cui mangiava o non mangiava.
    Non aveva più ceduto al desiderio di abbuffarsi davanti alla dispensa quando Harriet non c’era, non succedeva più da quando aveva iniziato ad allenarsi con lui in palestra, quindi perché diamine avrebbe dovuto cambiare quello che stava facendo?
    Era tutto sotto controllo.
    Tutto quello che ingeriva era ispezionato al grammo, conosceva alla perfezione la quantità di calorie di qualunque cosa entrasse nel suo corpo, per cui non poteva essere sbagliato.
    Ciononostante, Rhysand era veramente arrabbiato ed era facile intuirlo: non solo per quel tono di voce basso e deciso che di rado aveva sfoggiato, ma soprattutto per il fatto che non stava usando nessun soprannome.
    Se Rhysand iniziava a chiamarla Layla, voleva dire che era veramente nella merda o che aveva tirato troppo la corda.
    “Tieni.”
    Aveva soffocato quasi a fatica l’impulso di chiudere gli occhi e fare un passo indietro, convinta che l’ex-serpeverde fosse sul punto di darle il ben servito, ma con sua sorpresa e un pizzico di orrore le stava solamente porgendo una bevanda energetica.
    Ne aveva mandato giù più o meno un sorso e mezzo, cercando di non pensare a quante calorie potesse avere quella roba, ma da quel momento sembrava che per Rhys ormai fosse diventata una specie di missione perché non c’era stato giorno in cui non le portasse questa o quella barretta e lei non poteva fare altro che mangiarla sotto quello sguardo vigile, immaginando giorno dopo giorno di ficcargliele in gola a forza, oppure su per qualche altro orifizio.
    Lo odiava, ma odiava più se stessa di giorno in giorno perché non riusciva a odiarlo veramente.
     
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