It's a no, for me

libera

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    Corvonero
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    Era in quei casi in cui si chiedeva del perché non avesse un animale tutto per sé, ogni volta che terminava di salire le scale si diceva che avrebbe aggiunto una riga alla lettera, che aveva bisogno di più soldi per potersi comprare un gufo ma Grace faceva schifo con gli animali, faceva schifo persino a tenere in vita una pianta grassa quindi perché assumersi più responsabilità quando poteva risparmiare una miserabile esistenza ad un povero ed innocente animale?
    Non era nemmeno in forma, quindi quelle scale la distrussero fisicamente, costringendola a fermarsi all’ultimo gradino per riprendere fiato, asciugandosi con la manica della camicia la piccola goccia di sudore che sentiva bagnarle la tempia.
    Fece un grosso respiro e si sollevò, perché la mancanza di esercizio fisico e fiato la portarono a doversi piegare sulle ginocchia, stritolando la missiva che aveva nella mano destra. Fu impossibile per Grace non dipingersi sul volto il disgusto che riserbava per quel luogo e anche se la tentazione fosse quella di lanciare la missiva con i soldi, voltarsi senza mai guardarsi alle spalle e pensare che se essa fosse o meno arrivata ai suoi genitori poco le importava, la giovane Corvonero si fece finalmente coraggio facendo un passo in avanti, attenta a non scivolare sugli escrementi dei volatili che circondava quel luogo. Non era germofobica, ma cavolo se le faceva schifo quel posto, ogni volta tornava dritta in dormitorio, levandosi i vestiti di dosso stando per venti minuti buoni sotto la doccia, strofinando il proprio corpo fino a quando non l’avrebbe vista diventare rossa e poi, lavava due volte i vestiti, assicurandosi che tutto fosse alla perfezione.
    Erano cose normali, si diceva, soltanto perché tratteneva il fiato e spostava gli occhi castani in ogni angolo della stanza e guardava continuamente dove mettesse i piedi non significava che fosse germofobica, la guferia faceva semplicemente schifo. Tutto qua.

    Comunque osservò nuovamente la busta, l’indirizzo di casa inciso con una calligrafia perfetta ed elegante, la quale al suo interno nascondeva un piccolo foglio di carta:

    Cari genitori,
    qui va tutto bene. Avrei bisogno del libro di russo e di qualche soldo in più.

    Con affetto,
    Grace.



    La verità era che a Grace poco importava del libro di testo di russo, come non le interessava di tutti i libri ch’era costretta portarsi dietro, dato il compromesso che lei e i suoi genitori avevano fatto anni prima, ma li conosceva e sapeva che senza la richiesta di un interesse comunque i suoi genitori non avrebbero nemmeno letto il continuo della missiva.
    La Hastings definiva i suoi genitori come i classici inglesi perfezionisti: ambiziosi, seri, affettuosi ma non troppo o per lo meno non rendendolo palese, perennemente composti e ossessionati dalla puntualità e dall’aspetto. In pratica gli Hastings erano i classici inglesi borghesi.
    Si osservò intorno, guardando i diversi gufi che la circondavano –Ciao- borbottò guardando un pennuto, accennando un piccolo sorrisetto ch’era più simile ad una smorfia, possibile che le facessero senso persino i volatili? Si era possibile.
    Infilò la mancina nella tasca della divisa, nel quale aveva nascosto un biscotto che si era portata via dalla Sala Grande dopo la colazione, avvolto perfettamente dentro ad un tovagliolo di carta; era un ottimo compenso dopotutto: il cibo in cambio della missiva che andava spedita e sarebbe andato tutto perfettamente se solo il tovagliolo non le fosse caduto dalle mani.
    Fu in quel preciso instante in cui la Corvonero osservò la piccola pallina di carta a terra, sul pavimento sporco, il biscotto ancora al sicuro al suo interno, il quale continuò a fissare senza avere il coraggio di abbassarsi e riprenderlo da terra.
    No, il solo pensiero la fece rabbrividire.
    Era meglio starsene lì in piedi in silenzio ad osservare lo scambio anziché abbassarsi per riprenderlo.
     
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    Serpeverde
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    Non gli piaceva salire sulla torre della Guferia, tanto meno se tutta quella fatica era finalizzata a mandare una lettera a suo padre, ma… a ben pensarci era il male minore: rassicurare Léon Vance con sporadici ma cadenzati segni di vita era utile e necessario a tenerlo a bada. Nel caso contrario - e Jesse l’aveva provato sulla propria pelle - sarebbe stato sommerso di missive (da prima strillettere dal tono preoccupato, poi minaccioso, poi implorante) per giorni e giorni e settimane e settimane, fin quando il ragazzo non avesse mollato l’osso. Le prime volte lo aveva trovato divertente, far impazzire suo padre, ma non ci era voluto molto perché quello scherzo si tramutasse in una sorta di mal calcolato auto sabotaggio. Jesse Vance aveva imparato che se voleva vivere tranquillo, allora era il caso di aggiornare i suoi genitori circa una volta ogni due settimane. Quello che volevano sapere era semplice, il minimo indispensabile che gli consentiva di non grattare troppo sotto la superficie: rendimento scolastico e amicizie. Entrambe le cose andavano bene. Non benissimo, ma bene. Viaggiava sulla sufficienza. Signor Vance, suo figlio è intelligente ma non si applica.
    Con le persone faceva la stessa cosa: parlava, se c’era bisogno di parlare, e non faceva distinzioni di sorta, ma non succedeva quasi mai che si spingesse ad interessarsi a qualcuno ad un livello più profondo.

    Dovette schermarsi il volto con il dorso della mano quando giunse in cima alla torre della guferia: i raggi di sole del tardo pomeriggio l’illuminavano ancora parzialmente. Non che a contatto con il sole subisse gravi ustioni cutanee, né gli succedeva di mettersi a sibilare mentre si ritraeva in modo furtivo, ma senza alcun dubbio la sua pelle era più sensibile di quella dei suoi compagni di classe, ed il sole, in ogni caso, non gli piaceva. Aveva pur sempre sangue di vampiro, e questo comportava delle conseguenze e delle accortezze di cui i suoi coetanei non dovevano preoccuparsi.
    Lettera alla mano, Jesse Vance fece per dirigersi verso uno dei gufi della scuola, quando i suoi occhi si arrampicarono sulla figura di una sua compagna di classe.
    - Che fai, Hastings? - Domandò. Grace Hastings era in Corvonero, ed era amica di Amara Grey. O, meglio, lui presupponeva che fossero amiche. Le aveva viste parlare a lezione e qualche volta anche lungo i corridoi, per cui l’aveva dato per scontato. Ciò che sapeva di Amara Grey non era molto, ma pensava che lei avesse il potenziale per essere una delle poche persone verso cui lui non sarebbe stato indifferente. L’incuriosiva, ed a volte Jesse rifletteva sul fatto che gli sarebbe piaciuto aver l’occasione di conoscerla meglio.
    Grace Hastings era carina. Intelligente, probabilmente, ma l’aggettivo con cui Jesse l’avrebbe definita era un altro: inusuale. Non era mai riuscito a comprenderla - non che ci avesse provato chissà quanto - e c’era qualcosa della sua personalità che trovava sfuggente.
    Il suo sguardo seguì la breve parabola che andava dalla mano ancora tesa della ragazza al pavimento della guferia. Lì, un fazzoletto da cui spuntava quello che sembrava essere un biscotto giaceva inerte. Jesse inarcò un sopracciglio.
    - Pensi che qualche gufo lo prenderà? - Fece, scettico. - Io non ci giurerei. Questi sono viziati come i damerini. -
    Lui, dal canto suo, non si sognava nemmeno di portare le sue dita a contatto con il sudiciume di cui era ricoperto il pavimento della guferia.
     
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    Il suo volto scattò verso l’entrata della guferia, gli occhi che si posarono sulla figura di Jesse.
    Lasciò passare alcuni secondi prima di rispondere alla sua domanda -Volevo dare quel biscotto al gufo- mormorò delicata, inarcando appena verso l’alto gli angoli delle sue labbra. Ma non troppo, non poteva mostrarsi troppo entusiasta o troppo triste, perché non era consono all’etichetta e secondo la sua vecchia tutrice, troppe emozioni su un volto femminile era sciocco e inusuale. Probabilmente proveniva dal medioevo per avere ancora queste ideologie eppure, riuscì comunque ad imprigionarle nella sua mente.
    -Sfortunatamente mi è scivolato e ora sto lottando con la mia germofobia che non credevo di avere- continuò poco dopo, gli occhi castani che si spostavano dal biscotto al volto di Vance.
    Il Serpeverde aveva sempre un po’ stuzzicato la sua curiosità, era particolare e forse più sciolto di quanto lei riuscisse ad essere e i suoi tratti del viso erano interessanti, ma ciò che più preferiva di lui era il suo naso. Non aveva idea del perché ma credeva che quella forma del naso fosse un dettaglio fondamentale a tutto ciò che lo rappresentava come se senza di esso, Jesse prendesse una totale differente fisionomia e personalità.
    -Sono cattiva se ti dicessi che non mi piacciono questi pennuti?- mormorò a voce bassa, spostando la mano destra all’interno della tasca della divisa, dove teneva la propria bacchetta al sicuro. Doveva trovare inusuale che dopo sei anni ci impegnava sempre qualche secondo a ricordarsi che poteva usare la magia per risolvere i piccoli dilemmi della sua vita, eppure il primo pensiero che le venne in mente quando vide il biscotto cadere fu quello di sperare che un buon animo gentile la salvasse da tanta disperazione, dato che lei non osava nemmeno spostarsi da dove si era fermata per lo schifo che riserbava per quel luogo, ma quelli erano dettagli.
    Forse l’essere una nata babbana la saldava ancora al fatto che non poteva usare la magia per salvarsi il culo o forse semplicemente non ci aveva pensato e stava girando intorno a sciocche ipotetiche opzioni per non ferire il proprio orgoglio.
    Con un movimento della bacchetta fece in modo che il biscotto, e solamente il biscotto, tornasse nella propria mano, lasciando il fazzoletto incontaminato a terra, non era un gran giorno per il bene del pianeta ma la sola idea di piegarsi, prendere il fazzoletto e buttarlo le fece venire il voltastomaco.
    -Secondo te, qualcuno ha mai provato a rendere questo posto, meno schifoso?- lo guardo per qualche istante, muovendo finalmente dal posto per avvicinarsi al gufo che aveva salutato poco prima.
     
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    Se ne stava in Guferia perché non si fidava assolutamente di Renfield. Erano più le volte che sbagliava destinazione che quelle che arrivava a casa sano e salvo e con tutta la posta, e poi ultimamente era fiacco. Non sapeva se fosse una questione di vecchiaia o meno - non aveva mai chiesto a sua madre quale fosse l’aspettativa di vita di un pipistrello, né era sicuro circa l’età effettiva di Renfield - ma aveva preferito non stressare il suo povero famiglio. A maggior ragione perché, quel giorno, assieme alla lettera Jesse portava anche un paio di scatole di dolcetti di Mielandia, i preferiti di sua madre. Lecca lecca al gusto sangue, ovviamente.

    -Sfortunatamente mi è scivolato e ora sto lottando con la mia germofobia che non credevo di avere-

    Un sopracciglio inarcato, Jesse guardò Grace. I suoi occhi erano vaghi, gemme ambrate su un volto dai tratti delicati. L’espressione sul suo viso pareva contenuta, lasciava trapelare una certa eleganza, ma anche una buona dose di eccentricità. Non sapeva se lei sapesse di averla, ma sperava che l’avrebbe lasciata uscire allo scoperto di più. Sembrava interessante e Jesse pensò che gli sarebbe piaciuto conoscerla, una persona così.
    - Chiunque diventerebbe germofobico a stare qui su per qualche minuto. - Sentenziò, mentre si avvicinava ad uno dei gufi della scuola. Ne scelse uno dal piumaggio bruno, tendente al fulvo, e lo fece avvicinare tendendo la mano sinistra, l’indice a simulare un trespolo.

    -Sarei cattiva se ti dicessi che non mi piacciono questi pennuti?-

    Fece spallucce.
    - Ti importerebbe del mio giudizio? - Allacciò il pacco alla zampa sinistra del gufo e gli lasciò una carezza sulla testa morbida, prima di lasciarlo andare. Rimase a guardarlo per un po’, mentre spiccava il volo e si allontanava in direzione della Foresta Proibita.
    Inarcò un sopracciglio quando vide che Grace aveva raccolto da terra solamente il biscotto e, con un mezzo sospiro, estrasse a sua volta la bacchetta. Fece levitare anche la cartaccia, che finì per posarsi delicatamente sul suo palmo. Se la infilò in tasca, incurante di quanto fosse sporca. - Eddai, Hastings. Non essere pigra. - Mormorò, rivolgendole un’occhiata di sottecchi.

    - Secondo te, qualcuno ha mai provato a rendere questo posto, meno schifoso?-

    - Ti riferisci a questa torre o a Hogwarts in generale? - Domandò. - Comunque, penso che ci vorrebbe davvero poco per tener pulito questo posto. Ma penso anche che una guferia intonsa sembrerebbe quasi irreale. - Disse. - Forse a Fox piace tenerla così per farla pulire agli studenti che mette in punizione. - Fece spallucce, rivolgendo un mezzo sorriso alla Corvonero.
     
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    “Ti importerebbe del mio giudizio?”
    Arricciò il naso a quella domanda, non per il cattivo odore –anche quello in realtà- della guferia ma perché si trattava semplicemente di un tic che le usciva quando non sapeva cosa rispondere.
    O quando mentiva.

    Le importava il giudizio di una persona con cui ogni tanto parlava? Assolutamente sì, grazie alla sua famiglia viveva nel scoprire cosa gli altri pensassero di lei, cosa i giornali pensassero di lei, se le ragazzine della sua età la trovassero troppo adulta nel modo in cui vestita o meno, se era meno o più intelligente rispetto agli altri. Moriva dalla voglia di sapere cosa Jesse avesse pensato in quel preciso istante ma, da brava figlia di un politico, rimase con un’espressione ed un comportamento contenuto, sorridendo educatamente come faceva a tutte le cene di famiglia senza ascoltare una virgola di quello che le dicevano.
    Lo stesso sorriso che le si allargò sul volto non appena lo vide inarcare il sopracciglio, salvando il povero pianeta che lei stava bellamente ignorando; piegò la testolina appena di lato, la frangia che si separò a metà -Scusa- disse dolcemente. Si ricompose, lisciandosi la divisa con la mano libera prima di avvicinarsi ad un gufo che sembrava –e dico sembrava- il più innocuo di tutti; arrotolò la lettera, legandola alla zampina senza distogliere lo sguardo dal beccuccio tanto adorabile quanto pericoloso. Arricciò nuovamente il nasino mentre allungava all’animale il biscotto salvato, sentendo le ossa congelarsi non appena sentì il suono del becco mentre addentava il dolcetto.
    Non lo accarezzò, era già tanto per lei avergli dato il biscotto senza svenire, perciò lo guardò prendere il volo e allontanarsi.

    -Hogwarts è sporca?- rispose con un’altra domanda, voltandosi verso di lui palesando quanto non se ne fosse accorta se in mezzo al corridoio c’erano o meno palle di polvere che gironzolavano in tutto il castello, era un po’ buffa quella conversazione ma di certo era la più lunga che aveva mai avuto con Jesse fino ad allora.
    -Ricordami di non finire mai in punizione allora- disse nuovamente, accennando un altro sorriso al Serpeverde.
    Si guardò nuovamente intorno, sentendosi stupida a stare lì ferma immobile a parlare della sporcizia di una guferia o della loro scuola ma non era ancora pronta a terminare quella conversazione, soprattutto perché per una volta sarebbe stata lei a raccontare qualcosa ad Amara e non il contrario.
    Già riusciva ad immaginare l’espressione della ragazza nel sapere ch’era riuscita a tenere una conversazione più lunga di un secondo con un ragazzo.

    Essere adolescenti era così schifoso quanto meraviglioso.
     
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