Teenage Angst

J. Rosenbaum

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    Olivia Moriarty amava studiare con la stessa intensità con cui odiava farlo in compagnia di un drappello ben nutrito di persone. Dunque, l'idea del "gruppo di studio" proposta dai figli di Salazar per recuperare un po' di punti, in vista dell'assegnazione della Coppa delle Case, ovviamente, non rientrava nei gusti introversi della violoncellista. Aveva cercato di eludere gli sguardi dei concasati per potersi rintanare nel dormitorio femminile e dedicarsi a Storia della Magia in tutta tranquillità, ma aveva miseramente fallito perché i piani alti verde-argento avevano avuto la brillante idea di organizzare un incontro di cervelli in biblioteca, con la gentile partecipazione di una piccola comitiva del sesto anno di Tassorosso. Le altre due casate, a quanto pareva, si erano ritrovate il giorno prima ed avevano ottenuto "non poche soddisfazioni". Tra le fila dei figli di Tosca, come da copione, era presente all'appello anche una delle sue tre personali spine nel fianco giallo-nere: nello specifico, l'unica di cui Evvivia conosceva il sapore. Dov'erano finiti Darlene e suo fratello Iago? Perché non erano insieme a Rosenbaum e perché lei doveva sopportare quel supplizio chiamato Violet Towers che, affiancata dalla sgradevole quanto ovvia presenza di Rosaline Beckett, continuava a distrarre il povero Zip con le sue moine da gatta stecchita?

    -Towers, è già frustrante dover condividere l'ossigeno con voi. Puoi cortesemente concentrarti su Dugal McPhail che, nel frattempo, si sta rivoltando nella tomba perché il mondo che ci ha lasciato sta andando a rotoli?- articolò Lupita, staccando lo sguardo dal capitolo sul Ragionevole decreto per la restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni per poterlo indirizzare come un dardo avvelenato tra le sopracciglia della compagna di casata. In tutta risposta, la rossa ridacchiò malignamente e le fece il verso, per poi spostare le sue attenzioni sullo stramboide. Lo stesso stramboide che Messico e Nuvole si trovava di fronte e che, per diverse settimane, non aveva avuto occasione di studiare da vicino: dopo i giorni movimentati passati con la famiglia Rosenbaum, Ollie aveva dovuto allontanarsi dalla Casa dalla Porta Gialla per questioni lupine, anticipando il suo ritorno ad Hogwarts e concludendo le sue vacanze primaverili nel sotterraneo. Inoltre, una volta riprese le lezioni, aveva appreso la notizia che Jericho non si sarebbe fatto vedere per un'altra settimana ancora, ragioni familiari.

    Tra amicizie ritrovate e compiti da svolgere, dunque, il seme del dubbio e della paranoia aveva cominciato a germogliare in lei con l'arroganza che solo un adolescente problematico riesce a sfoggiare: si era ripromessa di non rimuginarci sopra, ma la verità era che non aveva smesso di pensare a quanto accaduto neanche un secondo. L'idillio e l'adrenalina avevano decantato a sufficienza e, a distanza di settimane, si erano trasformati in frustrazione e terrore: Olivia, a quel punto, non sapeva se quei baci strappati all'ombra della stanza di Lazarus (o quelli al V.M., o tutti gli altri susseguitisi) erano da considerarsi un caso isolato. Un episodio da annoverare tra i ricordi, della serie che "ciò che avviene in vacanza, resta in vacanza". Era confusa e infastidita, tanto più perché non riusciva a ritagliarsi un attimo di privacy con Argento Vivo per poter... capire? Sapere che diamine stesse succedendo tra loro? Odiava essere una ragazzina di diciassette anni con gli ormoni a palla! Non vedeva l'ora di diventare una vecchia megera e lanciare il malocchio a chiunque avesse osato annoiarla.

    - Ehi, Rosenbaum... mi aiuti con questo paragrafo? Non ci ho capito niente... - sibilò l'altra Serpe, mentre la Beckett osservava la scena sottilmente divertita. Le palpebre di Olivia calarono per un quarto, prima di saettare sui lineamenti affilati del freak. Le iridi abissali lo inchiodarono per una manciata di secondi dilatati da un principio di immaturo senso di gelosia, prima di tornare alle righe sottolineate del libro di testo. Era un sentimento immotivato, ma scioccamente alimentato da una delle lettere che il Tasso le aveva spedito durante la settimana di assenza scolastica: ecco un'altra emozione mai sperimentata prima e che la metteva allegoricamente con le spalle al muro.

    "Chissà se la signorina Le Miel chiuderebbe un occhio se facessi saltare la testa di Violet come un popcorn. Forse le scoccerebbe per le cervella da rimuovere dalle copertine e dal pavimento. Il sangue è difficile da scrostare, anche con la magia."

    Allo scoccare delle ore stabilite, molti dei presenti si alzarono e, gradualmente, levarono le tende. Il tavolo sopra cui erano stati aperti diversi e pesanti tomi, ora che era libero dalle braccia incrociate degli studenti, sembrava ancora più grande e, la distanza tra i pochi rimasti, pareva ancora più incolmabile. Il carnoso labbro inferiore venne meno sotto gli incisivi bianchi della Moriarty, mentre le sue orbite si sollevavano dagli appunti e la penna veniva abbandonata tra le pagine scribacchiate: tornò a guardare il giovane weirdo, uno dei pochi rimasti seduti, e sentì l'esigenza di allentare il nodo della cravatta di Serpeverde. Non lo fece, preferendo il presunto senso di soffocamento.

    - Olivia, hai ancora molto? - fece Louise Mendoza, una delle poche figlie di Salazar del suo anno che non le facevano salire la voglia di sterminio di massa, poggiandole una mano sulla spalla foderata dalla camicia immacolata. Lupe sbatté le ciglia e ruotò con riluttanza il volto in direzione della ragazza: -Sì, scusa Louise. Voglio essere sicura di aver capito bene. Non aspettarmi.- replicò senza nessuna particolare inflessione vocale, congedando la concasata che, sventolando la mano, salutò anche Lazzaro, prima di sparire anch'ella oltre uno degli alti scaffali traboccanti conoscenza.

    Edited by Olivia Moriarty - 9/5/2023, 16:13
     
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    La Biblioteca era silenziosa.
    No, non per la diligenza di chi la occupava ma perché ancora pressoché desolata. Sembrava un'anziana strega che non avrebbe mai ammesso di essersi assopita in poltrona e con un romanzo in grembo. Comunque, a parte alcune presenze rare come la danza dei Mooncalf, spiccavano soltanto le figure di Jericho Rosenbaum e Paprika Le Miel. Entrambi appoggiati contro la scrivania di lei, scambiavano qualche chiacchiera in attesa che il gruppo di studio si riunisse e risucchiasse un ben poco invogliato Lazo.

    - Ouf! - sospirò di sollievo Papsie, esalando a un'esclamazione idiomatica. - Ho temuto ti fossi assentato per ragioni di salute, sai? Beh, immagino ti sia convenuto saltare la scuola per un matrimonio. - il Metamorfo arricciò il naso e mostrò l'arcata dentale superiore nel tentativo di capire se quella fosse o meno una trappola, poi decise di cogliere della complicità neglio occhioni viola della bibliotecaria e sbuffò una specie di risatina. - Seh... comunque ho studiato! Un po'. Un pochino. - ed era vero, lo aveva fatto. Poco, molto poco ma ci aveva quantomeno provato. D'altronde non era colpa sua se l'amico fraterno dei suoi aveva deciso di sposarsi in Egitto! Quel soggettone di Glover Barebone era rimasto lo scapolo d'oro del giro storico finoltre i 45 e poi aveva trovato l'amore in una ragazza con la metà dei suoi anni - ovviamente. Nessuno lo prendeva sul serio ma lui era intenzionato a dimostrare la sua convinzione e così aveva deciso di convolare a nozze con tal Filemina. Furbastro arricchito, considerata la portata di un evento cui credeva non sarebbe mai giunto, aveva organizzato la cerimonia a Luxor, nella Valle dei Re e delle Regine. Esoso, senza mezze misure ma un tipo a posto. Simpatico, pure. - Ti sei abbronzato, eh? - notò la compagna di Malcolm che, ormai, vedeva Rosenbaum come un nipote acquisito. - Abbron-boh-scottato, direi. In Egitto il sole picchia come un peso massimo. - e infatti, il sarcasmo della donna lì a fianco non era poi così sottile da sorvolare sulla mascherina rossa sotto gli zigomi e il setto nasale del ragazzo. Una pioggia di lentiggini in più a tempestargli la pelle solitamente lattea. Vi fu un lungo istante di silenzio, durante il quale gli studenti coinvolti nell'iniziativa didattica cominciavano a radunarsi, poi Longue Langue prese fiato con l'intenzione di porre un'altra domanda. - Nnno! Non me lo chiedere: a quanto pare ho fatto un disastro e non so neanche di che si tratta. - entrambi seguirono la sfilata bellica di Olivia Moriarty, approfittando del fatto che non sembrasse intenzionata a guardarsi intorno. Procedette dritta alla meta come una freccetta avvelenata e sparì dietro uno scaffale. - Ti darà interi gomitoli da torcere, mon cher. -

    ***


    SBAM!
    Sebbene, ormai, Mosquito fosse diventato di diritto la Zanzara Suprema del circondario(?), fu lui a schiaffeggiare repentinamente la mano di Zip. Proteso con l'intenzione di consumargli l'ennesima matita senza che gli servisse a qualcosa di utile, il compagno di dormitorio venne colto in flagrante e freddato come un insetto contro il tavolo. Il botto risuonò su più piani e i due si guardarono in cagnesco senza aggiungere alcunché. Insomma, Richo aveva già fin troppe preoccupazioni (una: bruna, piccola e cattiva) per lasciare che quell'idiota lo infastidisse. Era praticamente impossibile restare concentrati su Storia della Magia e l'unica, sterile soluzione consisteva nel fingersi talmente immersi nello studio da evitare contatti con chiunque rappresentasse un potenziale pericolo. Ecco, il Tasso aveva notevoli doti recitative e, spesso, queste gli si ritorcevano contro. Tipo: il fatto di sembrare assorbito dall'argomento, con tanto di occhiali da vista inforcati, indusse Violet Towers (Serpeverde) a sporgersi in cerca di supporto. Giunta la richiesta d'aiuto all'orecchio del giovane weirdo, questi scoccò un'occhiata automatica sul volto torvo e pungente di Olivia e, per un attimo, gli sembrò di annegare. Maccheccazzo. Tentò di imbastire un sorriso disponibile e sospirò, leggendo brevemente il paragrafo che la Towers trovava ostico. Inarcò un sopracciglio.

    - Cosa... non ti è chiaro? Il fatto che McPhail fosse scozzese? - e non la stava prendendo in giro ma, confuso, non comprendeva cosa ci fosse di poco immediato in quello stralcio biografico. Violet scivolò mollemente su sostegno di un gomito, arrotolando una ciocca fiammeggiante all'indice. Annuendo e ridacchiando, convinse il freak a deglutire e inventarsi la necessità di un nuovo tomo da reperire che lo allontanasse da quella situazione soffocante. Oltrepassò una delle cancellate che conducevano ad aree ridotte e vi rimase per qualche minuto. L'anno scolastico era agli sgoccioli e doveva impegnarsi però lo stramboide continuava ad avere altri grilli per la testa. Non riusciva a ritagliarsi un lasso di tempo sufficiente a parlare con Scrooge e ne sentiva il bisogno, ogni giorno di più. Incredibile o meno che suonasse, non erano stati in grado di confrontarsi e, a quanto pareva, una delle lettere che lui aveva spedito a lei doveva aver ristretto la rosa di opportunità spendibili. Urgeva l'occasione adatta a chiarire una serie di particolari di non poco conto e ad Argento Vivo sembrava di impazzire. Era proprio la Morte Portatile a farlo ammattire, sì.

    - Che mi sono perso? Anzi no, niente spoiler. - scherzò debolmente, prima di tornare faccia a faccia con quel pallosissimo decreto sulle restrizioni blablabla. Fu in grado di alienarsi fino all'esaurimento della sessione, tanto che ormai era addirittura riuscito a combinare qualcosa di buono. Uno a uno, come carte sfilate a un mazzo, i componenti del gruppo si tolsero di mezzo. In effetti, erano rimasti soltanto lui, Lupe e una Tassorosso di cui conosceva il nome e poco altro. Ecco, a proposito: perché Isotta Cyrus non schiodava? Che le mancava? Non si era vantata per aver finito dieci minuti prima? Neanche fosse seduto su una sedia elettrica, Lazzaro ricambiò il saluto di Mendoza mentre pensava a una strategia vincente. Allora si alzò di scatto e si diresse su per la scala lì vicino. Salita la metà dei gradini dovette richiamare l'attenzione di Evvivia senza urlare: - Moriarty? Non è tua, questa? - le mostrò una delle monete che, generalmente, la Serpe portava con sé. Sì, l'aveva rubata ma per una giusta causa e, se fosse stato raggiunto, avrebbe rapito la violoncellista per poi portarla dietro a una muraglia di tomi dedicati alla Divinazione. Incombendo sul Nerino del Buio, il diciassettenne palesava un cipiglio corrucciato e i bulbi oculari sgranati al di sotto. Le ciocche castane che si intersecavano tra loro, attratte dalla frangia liscia e nera della coetanea.

    - Allora: mi spieghi che ti ho fatto? Perché sarò stupido ma non l'ho capito e ci sto diventando matto! - sibilò a denti stretti, allentando la cravatta della divisa. Le lenti dei suoi occhiali si appannarono appena. Ormai era chiaro che, tra quei due, fosse necessaria la terapia d'urto.

    Edited by Jericho L. Rosenbaum - 9/5/2023, 20:53
     
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    L'atteggiamento velatamente - ma neanche tanto - malizioso di Violet scatenava, in Olivia, uno smodato e improvviso desiderio di plenilunio privo di Antilupo. Forse era un tantino esagerata, dal momento che la Towers non stava facendo niente di così scandaloso. Forse, poteva dare la colpa alla sua giovane età e al fatto che fosse la prima volta che, effettivamente, provava un determinato genere di emozione; in ogni caso, il suo cervello pareva non riuscire a staccare la spina e continuava ad elaborare una serie infinita di scenari grotteschi in cui lei, in versione Licantropo, saltava al collo della concasata per sbranarle la giugulare e nutrirsi delle sue morbide carni. In alcune di queste innocenti fantasie, tuttavia, non si presentava solo la compagna di Serpeverde dai riccioli fiammeggianti, no, ma si palesava anche la presenza ignota di una... damigella. Una damigella che, a quanto pareva, aveva avuto a che fare con Rosenbaum durante il suo soggiorno in Egitto: la cosa che più la disturbava, di tutta quella storia, era che non si aspettava di provare della gelosia. Ingiustificata, totalmente priva di fondamenta. Razionalmente sapeva che molto di ciò che provava era alimentato dal dubbio e dal fatto che, dopo le vacanze primaverili, tra lei e Jericho non ci fosse stato più quel genere di contatto. Quindi la paranoia si era facilmente insinuata tra le pieghe dell'intelletto e tra i ventricoli stridenti, riducendo la ragazzina ad un nugolo ronzante e ombroso. Certo, avrebbe potuto essere esplicita e prendere di petto Lazzaro per chiedergli un paio di cosette, ma... in parte, aveva paura. Paura di essere inopportuna, invadente. Di aver capito male, di essersi fatta degli inutili castelli mentali, fragili come quelli fatti di tarocchi rosicchiati. Aveva paura di scoprire di essersi lasciata andare per niente e non era pronta a ricevere tale batosta.

    Ad ogni modo, il figlio di Tosca non sembrava particolarmente entusiasta delle attenzioni che Violet gli stava riserbando e, anzi, se ne disfò quasi subito alzandosi e nascondendosi chissà dove per una manciata di minuti. Nel frattempo, tre quarti dell'allegra combriccola di secchioni (e non) avevano fatto "sire, dileguossi" e, dopo la dipartita di Mendoza, l'unica ancora presente al tavolo a parte Olivia e Lazo - tornato al suo posto proprio nel momento in cui la rossa Serpe molesta se n'era andata - era un'altra Tassorosso di cui Lupita ignorava il nome. La squadrò con il suo classico e inquietante cipiglio da Nosferatu in astinenza, nel tentativo di infonderle la voglia immantinente di levarsi dalle scatole: malgrado i suoi sforzi, però, la giallo-nera non si mosse e, anzi, con una lentezza degna di un bradipo girò l'ennesima, noiosa pagina del libro di Storia della Magia. La violoncellista espirò dalle narici, scalpitando interiormente.

    -Scommetto che se giri la pagina e torni indietro per l'ennesima volta, i fatti non cambiano: Edward Bloom ha davvero trasfigurato il suo amico babbano in una sorta di chimera. Te lo giuro.- sibilò all'indirizzo della compagna di casata di Jericho, con una vena di sarcasmo ben presente nel timbro vocale. In tutta risposta, la studentessa alzò mollemente la testa dal capitolo e puntò le iridi acquose in quelle abissali della Moriarty: - ...Eh? - quello fu l'unico verso che fuoriuscì dalle sue labbra piene, mentre quelle acuminate della verde-argento si storcevano in uno scocciato "lascia perdere".

    - Moriarty? Non è tua, questa? -



    In un letterale battito di ciglia scure, le orbite peste si arrampicarono sui gradini percorsi da Mosquito e, saettando, raggiunsero l'oggetto di quella chiamata: il ragazzo teneva tra le dita una delle sue monete. In che occasione gliel'aveva sottratta e per quale motivo lo aveva fatto? Ma, soprattutto, come aveva fatto lei, il Mastino Messicano, a non accorgersene? Decise di non soffermarsi sul dettaglio relativo all'utilizzo del cognome, da parte del coetaneo, ed assottigliò le palpebre: se ci si fosse concentrata troppo, sarebbe stata la fine. Un secondo dopo, il libro di testo venne chiuso con uno scatto e, pugni stretti lungo i fianchi fasciati dalla gonna a pieghe, Evvivia si alzò in piedi e lo raggiunse, sollevando il mento provvisto di fossetta e riserbandogli un'occhiata incarognita. Non fece in tempo a proferire parola alcuna perché venne trascinata dal freak lontano da occhi indiscreti: nello specifico, le prese la mano e se la portò dietro il reparto di Divinazione. Quasi quasi sperò in una profezia che le facesse cadere in testa il tomo più pesante dell'intera biblioteca: in quel modo avrebbe evitato di trovarsi in quella posizione scomoda e di percepire il contatto con il diciassettenne, dopo settimane, come qualcosa di assolutamente travolgente e straordinario.

    Jericho non usò mezzi termini e, mentre le chiedeva apertamente se ci fosse e quale fosse il problema, le pupille di lei arrestarono la propria, frenetica corsa sulla montatura degli occhiali di lui e sul rossore, provocato dal sole, che gli impreziosiva naso e zigomi. Deglutì, in difficoltà: si ricordò della presenza incombente di lui alle sue spalle, contro il suo corpicino coperto esclusivamente dalla maglietta di Zio Paperone, e gli organi si attorcigliarono. Sentiva il muscolo cardiaco sprecare battiti forsennati contro il petto, ma si impegnò per mantenere la schiena dritta e l'espressione inamovibile. La manina stretta intorno a quella di lui slacciò la presa e frugò nel palmo dell'altro per impadronirsi nuovamente della moneta. La ficcò in tasca, trovando conforto nelle sorelle di metallo che le solleticavano i polpastrelli mentre quella libera attorcigliava la fine di una delle due trecce intorno alle falangi. Prendeva tempo, rimuginava e non ne veniva a capo.

    -Hai detto che ti piaccio un sacco.- asserì, la nuca corvina trovò appoggio sul dorso dei volumi sulla tasseomanzia, le mani si intrecciarono sul coccige. Non smise di fissarlo con l'insistenza indagatoria che la contraddistingueva: -Cosa vuol dire?- domandò a bruciapelo, corrucciando le sopracciglia che sbucavano appena dalla frangia scura. Si morse il labbro inferiore, cercando risposte negli occhi del giovane weirdo. Risposte, conferme, qualcosa che la aiutasse a comprendere che, tutto quel marasma emotivo che la stava provando così tanto, se lo stava creando da sola. E che lui stava facendo la stessa, stupida cosa.

    -Me lo devi dire perché non sei il solo a impazzire. E io ho meno scrupoli di te, se diventassi matta sarei di sicuro più pericolosa.- sibilò, stringendosi nelle piccole spalle e spostando lo sguardo verso il basso. Sospirò, maledicendosi: era decisamente una schiappa, con quelle cose.
     
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    C'è questo tramonto pazzesco che sembra miele e che cola inesorabile su tutta Luxor. Inzacchera i tempi, rende la sabbia appiccicosa e si riversa nel Nilo addolcendone le acque. No, mica sono un poeta, solo che questo posto è pazzesco e ci pensa per conto proprio a evocare belle immagini. Sto correndo lungo la riva del fiume ma non come un disperato: anche se nessuno mi vieta una breve fuga, mi piace pensare d'aver guadagnato la libertà. Rallento per grandi, le braccia aperte e una brezza tiepida ad attraversare la camicia. Passa tra le fibre della stoffa e allevia un pochino il bruciore all'altezza delle spalle. Dietro di me, Eunice ridacchia e biascica qualcosa sui suoi sandali. Ecco, in pratica Eunice è la sorellastra di Glover nonché sua damigella. Ha uno o forse due anni più di me ed è una tipa niente male. Se non fosse per la presenza di pochi eletti (tra cui, in effetti, lei), mi sarei già fatto calpestare il cranio da un cammello. Crack, stecchito sul colpo. - TI FERMI?! - gracchia Eunice brandendo il famigerato sandalo nella mia direzione. Me lo tira e lo evito per miracolo ma, sissignori, finisce nel Nilo con la grazia degna di una vecchia commedia. Cristallizzati, restiamo a fissare la scena fino a che io non mi faccio venire la brillante idea di scalciare le scarpe e addentrarmi fino alle ginocchia. - Torna indietro, scemo! Ti risulta? - fa Eunice divertita, mostrandomi la bacchetta. Ah, già. Benché sia una zona popolata da maghi e streghe, si assicura di non essere notata e casta un Accio appena in tempo. Dal canto mio, torno sui miei passi arrotolando i pantaloni fradici. - Non c'era tipo, una favola babbana? Ci assomigli a Cenerentola. - ammetto senza malizia, constatando che sì: Eunice, i suoi occhi celesti e calanti e i suoi biondissimi capelli elettrici potrebbero rimandare al personaggio della storia. - Sì? E che ne pensi di lei? - mi domanda sedendosi accanto a me, che sono già per terra. - Boh... non ricordo granché. Aveva problemi di orari, no? Tu lo sai meglio di me. - mi riferisco al suo stato di sangue ma, ovviamente, senza neanche l'ombra dello sdegno. Anzi. - Più o meno. - Eunice sogghigna e si fa più vicina. Sento che mi fissa, lo percepisco attraverso la vista periferica e la cosa non mi mette esattamente a mio agio. Allora... Damara aveva ragione? - Manca parecchio a mezzanotte. Che dici? Ci portiamo avanti e mi dai un bacio? - immobile nello stile di una preda già bella che sgamata, sgrano gli occhi sui riflessi fluviali e resto zitto per un po'.
    - Sei molto carina, Eunice. Intelligente, simpatica... -
    - ... Ma? -
    - ... Ma mi piace un'altra. E parecchio, anche. -

    ***


    L'immagine di Eunice - diametralmente opposta a quella di Olivia - glitchò per un attimo entro il tratteggio torvo della Moriarty. Ciò accadde nel cervello di Jericho ma non perché ci avesse ripensato. Non perché si fosse reso conto che Eunice, in realtà, era la ragazza della sua vita, tutt'altro. Ciò che aveva confessato con dispiacere alla sorellastra di Glover, andava riconfermandosi attimo dopo attimo. Si correlava alla stizza palpabile di Evviviva che, in parte, li aveva tenuti lontani per così tanti giorni. Nel Presente nevrastenico c'era lei, minuscola e nerissima, che con l'ausilio delle iridi lo riduceva in tranci da vendere al mercato. Cupa eppure lucente, era come il carbone che arde e si scagliava contro Ronsebaum senza davvero toccare il giovane weirdo. Cazzo, quanto gli mancava essere toccato da lei. Dalla sua curiosità e dalla lacune che pretendeva di colmare. Sentiva spesso quel tipo di nostalgia ma, lì per lì, ne percepì un fiotto bollente risalirgli fino in testa.

    Non oppose resistenza: aveva vagamente intuito quanto le monete collezionate da Scrooge fossero importanti, dunque le restituì subito il pezzo rubato. Era soltanto un modo per attirare la sua attenzione con una certa fretta e ci era riuscito senza sapere che, forse, sarebbe bastato uno sforzo ancor minore. D'altronde, nemmeno lui aveva capito com'era riuscito a sottrarle l'oggetto con tanta facilità e non era rilevante ai fini del loro confronto. Cercava di mantenere il punto e sosteneva il suo sguardo di pece tramite il proprio, pur vibrando dall'interno. Gli zigomi e il naso avevano ripreso a bruciare neanche si fossero appena scottati e la gola diventava secca.

    - L'ho detto, sì. - sottolineò lo stramboide, agganciandosi con una certa fretta all'affermazione della violoncellista. L'aveva detto con estrema consapevolezza ed era una verità che non si poteva sradicare, eppure, Messico e Nuvole chiedeva cosa significasse. Un sospiro sorpreso saettò dalle labbra - anch'esse arrossate dal sole - di Lazzaro, il quale indietreggiò di un passo e volse un'occhiata alla piroetta di una pergamena fluttuante. Beh, non aveva nessun problema a spiegarglielo ma ciò non lo rendeva meno nervoso. - Vuol dire proprio... beh, quello! Che sto bene con te, che ti penso sempre, che... immagino continuamente tutte le cose che potremmo fare insieme. - cercava di non gridare, gesticolando e camminando avanti e indietro lungo un tratto piuttosto breve. I passi, attutiti da un antico tappeto, lo rendevano meno fastidioso ai pochi superstiti in Biblioteca. - Mentre ero in Egitto ti ho scritto perché mi mancavi ma poi tu sei sembrata fredda e ho creduto preferissi non ricevere altre lettere. - serrando la bocca in una linea agguerrita, ormai aveva preso il via. Lazo si fermò, dedicando uno sbuffo alle punte delle converse. Si girò, tentando di non muoversi di scatto anche se ogni sua cellula glielo suggeriva caldamente. Provava a imbrigliare il respiro affinché risultasse il più chiaro possibile. Tornò faccia a faccia con l'espressione selvatica ma in cattività di Lupita e il suo cuore sobbalzò. - Insomma, vuol dire che potrei essere il tuo ragazzo se... se tu... insomma, se tu volessi. -

    In procinto di ripetere una meraviglia già sperimentata durante le vacanze di primavera, Argento Vivo aveva in mente un metodo diverso. Trattenendo il fiato (e perdendo la saturazione dei ricci), fece aderire i palmi al collo sottile della Morte Portatile e premette i pollici sulla sua mandibola tagliente. Ritrovò un luogo conosciuto contro la sua fronte ma non stava esitando. Non prendeva tempo per paura d'essere rifiutato, ne aveva già perso troppo. Aveva avuto paura a sufficienza. Per un po', permise ai battiti di parlare al suo posto, almeno finché la Serpe non avesse scovato risposte anche nella loro accelerazione. Dopo aver boccheggiato tre o quattro volte, Jericho chiuse gli occhi e intrappolò il labbro inferiore di Olivia. Poi il superiore. Poi fece filtrare la lingua nelle sue fauci e ruotò la testa da un lato. Con calma. Uno schiocco pigro sancì una tregua che il diciassettenne si prese per deglutire più volte. - Vuol dire questo. -
     
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    E' la mattina successiva al plenilunio di questo mese e sono rannicchiata in un angolo della stanza, le ginocchia premute contro il petto e i tremori che mi attanagliano ogni fibra corporea, costringendomi a violenti quanto improvvisi spasmi. L'ispida pelliccia che ricopre il mio scheletro durante la notte di luna piena è sparita, lasciando il posto ad un incarnato cereo e brillante di sudori freddi. Cerco di coprirmi, per quanto possibile, con la coperta che qualche ora fa mi avvolgeva teneramente, ma mi accorgo di averla in parte sbrindellata. Mi stringo ancora di più nelle piccole spalle, rivolgendo lo sguardo spaesato sulle finestre da cui filtra invadente la luce del sole. Chissà com'è bello, il giorno, a Luxor. Tra poco dovrebbero arrivare l'infermiera Greengrass-Lestrange per assicurarsi che io sia tutta intera, a meno che non sia ancora - e giustamente - rientrata dalle vacanze primaverili. Forse lo preferisco. Forse preferisco godermi il malessere in solitudine, ancora un po'.

    Piano, sofferente, cerco di tirarmi su e sedermi, incollando le scapole nude al muro alle mie spalle. Mi osservo intorno e scopro di non aver mantenuto la promessa di tenere a bada la fame: nel centro dell'enorme stanza acchittata apposta per il mio 'problemino mensile', ci sono ancora i resti di quello che ha tutta l'aria di essere un coniglio. Fortunatamente non è bianco, o non avrei più guardato Cipolla allo stesso modo. Comunque, il preside Fox ci tiene alla mia salute, mi lascia sempre uno stuzzichino sebbene io cerchi sempre di porre strenua resistenza. Più i miei occhi si riempiono dell'immagine raccapricciante dei resti di quella povera creatura, più il mio senso di colpa si fa pressante.

    -Scusa.- mormoro, i polpastrelli premuti sul labbro inferiore tremano appena e si sporcano di sangue. Allora mi esibisco in un verso scocciato e mi passo il dorso della manina sulla bocca, nel vano tentativo di pulirmi. Strofino veemente, fino ad irritare la pelle smunta, ma all'improvviso mi blocco: questa specifica azione mi fa tornare in mente il momento in cui ho cercato di smacchiare gli angoli della bocca di Jericho dal dentifricio, attraverso la pressione del mio minuscolo pollice. Il cuore bussa contro la mia cassa toracica e, normalmente, non sarebbe un problema: ora però sento male a tutte le ossa e, il battito cardiaco, mi provoca delle prepotenti fitte allo sterno. Questa volta fa più male. Perché fa più male? Forse, perché dai giorni passati nella Casa dalla Porta Gialla, alcune delle spine che lo ricoprivano e lo proteggevano sono saltate. Ora è più vulnerabile, scoperto alle intemperie, alle delusioni. Al dolore.




    Le pupille dilatate, come ogni volta in cui Rosenbaum entrava nel suo campo visivo, seguirono i movimenti nervosi del ragazzo: faceva avanti e indietro e, per poco, non scavò un solco nel morbido tappeto che accoglieva le suole delle loro scarpe, trattenendone ingordo le impronte. Le mani intrecciate sull'osso sacro si strinsero a pugno, mentre Olivia prendeva a mordersi convulsamente l'interno della guancia. Gli aveva posto quella domanda sull'abbrivio di un coraggio che le era proprio ma, ora, temeva la risposta. Eppure lui non si fece attendere e, teso come una corda del violoncello di lei, esplicitò quanto pensava: sembrava così... semplice. Naturale. Ovvio, ora che il Tassorosso proferì ad alta voce quanto albergasse nel suo organismo variopinto. Lupe si sentì sciocca, per un istante, ma quando lui parlò dell'Egitto, lei si corrucciò e schiuse la bocca per rispondere. Non ebbe modo di elaborare una giustificazione in merito alla pura e stupida gelosia che l'aveva convinta ad adoperare una sorta di blando distacco nei confronti dello stramboide, perché lui se ne uscì con una sorta di... proposta. Proposta che le fece automaticamente mancare la terra sotto i piedi fasciati dagli alti mocassini e il respiro in gola. Lasciava a lei la decisione finale, ma era palese quale fosse il suo desiderio, quale fosse la sua speranza: Lazzaro voleva essere il ragazzo di Evvivia. Si era esposto, un'altra volta; imperversava avvicinandosi a lei e ghermendo la testa corvina tra i palmi. Lei entrò in apnea, esattamente come il coetaneo, e strinse il bocciolo in un grumo violaceo.

    -Jericho...- mormorò il nome del suo a-nemico - era la seconda volta che lo faceva, spalancando gli occhi nerissimi nei gemelli socchiusi. Sentiva i battiti sincopati del muscolo cardiaco di Mosquito diramarsi direttamente dai suoi polpastrelli e picchiarle smodatamente i lineamenti squadrati. Poi, le loro bocche entrarono in contatto di nuovo, a distanza di settimane, e il respiro trattenuto fino a quell'istante dalla violoncellista venne riversato con sollievo tra i denti del freak. Era un bacio diverso dai precedenti: era come se fosse stato inzuppato e poi lasciato gocciolare mollemente alla stregua di un dolce al pistacchio ammorbidito da una tisana ai mirtilli. Le piccole mani di Messico e Nuvole si ancorarono ai polsi del ragazzo, mentre le palpebre calavano sulle orbite e la diciassettenne ricambiava con lento trasporto. Ricercò la lingua di Lazo con la calma dell'assassino prima di compiere una strage, succhiando debolmente il suo labbro superiore già arrossato dal sole, per poi sospirare appena quando lui sancì la fine di quel contatto. Annuì, la virgola del nasino solleticò quello da volpe di lui.

    -Ho capito.- proferì in un sussurro atto a non farsi sentire dai pochi studenti che ancora gironzolavano per la biblioteca. Tutte e dieci le falangi sottili si staccarono dai polsi di Lazo e andarono a sollevare la montatura dei suoi occhiali, posizionandoli tra i boccoli che gradualmente, tornavano ad assumere la tanto gradita tonalità argentea.

    -Quando mi hai parlato di quella damigella, ho pensato di aver frainteso ciò che era successo tra noi, ecco. Poteva essere, d'altronde: non avevamo stabilito niente e io mi sono sentita stupida per aver creduto...- rivelò, abbassando appena lo sguardo e avendo bisogno di un istante di raccoglimento -Non era una sensazione: ero fredda. Lo sono quasi sempre, non è una novità ma...- allora premette le labbra su quelle boccheggianti del ragazzo, gli parlò tra le pieghe ustionate -Tu mi fai sentire come se fosse sempre il Día de los muertos.- sibilò lasciando a briglia sciolta iridi e fiato, che si concatenarono a quelli del giovane weirdo con rassegnata presa di coscienza. Poteva sembrare un insulto ma, per lei, non lo era affatto: il Giorno dei Morti era la sua festa preferita. Quella dichiarazione simboleggiava tante verità, gelosamente custodite nel cuore spinato di una Moriarty in balia di emozioni talmente soverchianti da farle formicolare le guance: significava che anche lei lo pensava in continuazione, al punto da infastidirsi da sola. Significava che anche la sua immaginazione avesse preso il sopravvento sulla ragione e che ogni situazione, ogni luogo, ogni attività, venisse ora rielaborato in funzione di una possibile condivisione con quel maledetto figlio di Tosca.

    Olivia staccò le vertebre dallo scaffale alle sue spalle e, allacciando le braccia intorno al solido collo di Jericho, si spinse contro di lui: fu lei a baciarlo, stavolta, e lo fece attraverso uno slancio quasi assertivo, la bocca aperta e sospirante e gli occhi che, a mezz'asta, non smettevano di incatenare la sua attenzione. I palmi si insinuarono parzialmente tra i capelli di Argento Vivo, mentre il Nerino del Buio lo costringeva ad indietreggiare fino a che i suoi polpacci non entrarono in contatto con una delle tante poltrone che addobbavano quel luogo ricco di conoscenza. Lasciò che si arrendesse e si sedesse, prima di fare lo stesso: serissima, si accomodò a cavalcioni su di lui. Con le dita premute sul petto del Tassorosso e la gonna spiegazzata, ruotò il volto in direzione dell'angolo dello scaffale che separava quella zona dal resto della biblioteca, con aria furtiva. Aspettò qualche attimo, volendosi accertare di non essere osservati, poi tornò a fissare le fattezze ipnotizzanti dello stramboide: -Va bene. Tu sei il mio ragazzo.- decretato questo, Scrooge calò come la notte e le trecce, come vipere, si accatastarono sulle spalle di Mosquito.

    Do you wanna hear about the deal that I'm making?
     
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    Jericho.

    Il palesarsi di una Fenice.
    L'estendersi di nuvole di madreperla.
    La danza dei Mooncalf.
    La colata vulcanica di lava blu.

    Olivia che chiamava Jericho per nome suonava raro come avvenimenti di quella portata e, quando ciò accadeva, in Jericho esplodeva una calamità. Era stordente come un innesco apparentemente innocuo - se non addirittura considerabile come insignificante - riuscisse a demolirlo e innalzarlo nell'arco di un millisecondo. La Moriarty metteva distacco dove poteva e si era attenuta alla sua personalità elettrificata anche con lui, appellandolo quasi sempre per cognome o attraverso epiteti non esattamente lusinghieri. Dal canto suo, Rosenbaum stava imparando pian piano a capire che quelle barriere non venivano erette per respingere lui ma per tutelare lei e non poteva trattarsi unicamente di indole. Quindi, scandito il nome del freak in una nebbiolina psicotropa, il destinatario si godette il susseguirsi delle lettere. La sospensione che le seguì e si perse in un tragitto senza meta. Il giovane weirdo giuro a se stesso che sarebbe diventato dipendente dall'espandersi e dal restringersi ipnotico della bocca di Scrooge intorno a quelle sillabe. Sapeva che gli sarebbe stato concesso in dosi centellinate e, forse, era meglio così. Non avrebbe abusato di un nome già poco usuale e non sarebbe mai diventato parte irrilevante di domande, risposte, considerazioni. Glielo si leggeva in viso quanto amasse sentirsi chiamare da lei e lo confermò il sospiro che gli si spezzò in gola prima di baciarla. Inevitabilmente, la immaginò nominarlo a fatica. A stralci e sospiri che ne minano l'interezza. A ripeterlo velocemente, tantissime volte nell'arco di pochi secondi.

    Quando percepì la montatura dei propri occhiali venire meno, Lazo dovette sbattere le ciglia a ripetizione. Fu come aprire una parentesi nell'idillio che andava riempita ma che sperava di chiudere nel migliore dei modi. Deglutendo saliva fantasma, si predispose all'ascolto meglio che poté e la sua espressione si accartocciò dapprima nella sorpresa, poi nella perplessità che gli permise di sondare il Passato e poi, ancora, si distese in una parvenza più neutra. Mentre introiettava il punto di vista di Lupe, ripescava la lettera cui lei si riferiva e ciò lo indusse ad afflosciare le spalle.

    Mia adorata cinciallegra,

    Come stai? Sei sempre vittima consensuale dello studio matto e disperatissimo? Che mi sto perdendo? Lo sapevi che il dromedario suda solo dai 40 gradi in poi?

    D'accordo, interrogatorio finito. Puoi anche non rispondere a nessuna di queste domande, tranne a quella sul dromedario. Se non rispondi a quella, un intero gregge di dromedari morirà a Tebe in circostanze misteriose. Come si suol dire? A tuo buon cuore. Detto questo, finalmente ho il tempo di scriverti senza essere continuamente chiamato e strattonato da una parte all'altra dell'Egitto. Misty ha rapito Damara e sono scomparse da qualche ora: mi hanno chiesto di frenare i miei qualora le cercassero. Mio padre è un'aragosta, Zoe è stata punta da una vespa che ha precedentemente provocato e mia madre è dignitosamente brilla h24. A parte ciò, il posto è incredibile mi piacerebbe tornarci con te e non riesco a capacitarmi di quanti soldi guadagni Glover. Non mi capacito nemmeno del come ma preferisco non indagare anche perché, l'abile detective, sei tu.

    Ho rivisto dopo anni la sorellastra di Glover, Eunice. Carina, una tipa okay che gli fa da damigella o una roba simile. Dam dice che mi ha puntato, che mi fissa come se stesse complottando qualcosa ma a me sembra una cazzata colossale. Non esattamente coerente con la mia esistenza terrena. Comunque, domani sono obbligato a fare una gita non ho capito dove ma sono anche io dignitosamente bruciato e preferirei dormire fino al giorno in cui torneremo in Inghilterra.

    Bene. Credo proprio di averti annoiata a sufficienza. Mi piacerebbe se anche tu mi raccontassi qualcosa, qui è bello ma ci si sente tagliati fuori dal mondo. Dimmi di te, Darla, Papi, Fa'... dimmi che stai bene.

    Mi chiamano per la cena, quindi... a presto?
    Mi manchi.
    Non vedo l'ora di...

    Ti piazzo un baciamano.
    Tuo,

    - C. G. M.


    Una volta tanto, Zoe aveva avuto ragione nel dirgli: "le racconti di Eunice? Sei proprio un paramecio!". A sua discolpa, non aveva mai e poi mai valutato l'ipotesi che una considerazione come quella elargita potesse turbare Lupita. In primis, lui aveva condiviso quell'informazione più a scopo riempitivo che per segnalarle alcunché. Insomma, se ne dispiacque, anzi, assunse un cipiglio mortificato e prese aria per ribattere. Quantomeno scusarsi, spiegare... ma non ce ne fu davvero bisogno. Sembrava che alla Serpe fosse bastata la precedente dichiarazione, tanto che stampò il suo passaggio violaceo sulla smorfia arrossata dello stramboide e fu capace di rimbambirlo con una frase soltanto. Un'ammissione dolceamara come la morte e il ricordo colorato dei cari defunti nel Paese che, per metà, rappresentava Olivia. - Io... cheee? - ma aveva compreso benissimo. Sopraffatto, privo di filtri, si era espresso con tono sbilenco e ubriaco senza mancare di sfoggiare un grande sorriso ebete. Non c'era durezza di comprendonio, soltanto piacevole incredulità, prontamente zittita dall'iniziativa di Evvivia.

    Colto più o meno alla sprovvista, Lazzaro se la trovò appesa al collo e appiccicata alla faccia con intenzioni bellicose. Si spingeva contro di lui con fare assertivo e lui rimase con gli occhi sbarrati per qualche attimo prima di afferrarle i fianchi. Da sotto le saracinesche delle palpebre, si spiavano con pupille drogate e curiose mentre l'uno camminava a ritroso per volere inopinabile dell'altra. Non si sarebbe certo ribellato, anzi, raggiunta la vecchia poltrona in pelle ci cadde con un tonfo attutito. Piccola e lesta come un'ombra nel bosco, Messico e Nuvole si arrampicò su Mosquito, il quale dovette chiudere appena le gambe altresì spalancate in una seduta poco composta. La poltrona che li ospitava era così grande e accogliente da permettere ai due di incastrarsi senza troppi problemi. - Che... intenzioni hai? - mormorò il Tassorosso, non ancora in grado di realizzare. Soffiò una ciocca ritorta dalla fronte mentre non gli pareva vero di star accarezzando il corpo minuto della compagna di classe. Le sue spalle, le scapole, la spina dorsale da vertebra A a vertebra Z. Come un boia XXS, la strega lo fissò inesorabile e acconsentì al nuovo rapporto che, di lì in poi, li avrebbe legati. Richo fece in tempo a esultare a denti stretti prima di finire in pasto alla diciassettenne e smangiucchiarla a sua volta.

    - Caaazzo, quanto mi è mancato toccarti... - ammise in poco più di un sussurro, stringendola a sé e riversando il proprio fiato dentro al colletto inamidato di lei. Scalò la filatura della mandibola, accalappiando le labbra purpuree della bruna e leccandole alla stregua di un cosmetico. Intanto, la osservava con fame crescente. Udì briciole di un discorso secondo cui, in Biblioteca, dovevano essere rimasti al massimo in tre o quattro. La cosa compiacque Argento Vivo, il quale le allentò la cravatta e aprì i primi due bottoni della camicia che indossava la Morte Portatile, chiedendo muto consenso. Si chinò per baciare la conca tra le clavicole. Salì ancora, colto dal desiderio irrefrenabile di guardarla. Prenderle il viso tra le mani e guardarla tra gli spiragli della frangia. Tra le ciglia, a strapiombo nelle sue iridi senza fondo. - Sono il tuo ragazzo... - ancora in fase di metabolizzazione, scosse appena il capo e, piano, si avvicinò. Con la punta della lingua, picchiettò una replica delle lentiggini di Olivia finché i morsi della fame non tornarono violenti.

    Let me steal this moment from you now.

    (continua qui)

    Edited by Jericho L. Rosenbaum - 12/5/2023, 21:27
     
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    - Mhmh... in questo momento avrei parecchie cose strane da dirti ma devo mantenermi coerente. - la voce fluì tombale ma trasognata, mentre Lazzaro lasciava che Lupita gli sistemasse la cravatta. In quel momento, si reputava volentieri la sua bambola voodoo. Un po' stanco e aggrappato ai propri nervi, scoccò un'occhiata sotto la cintura e tirò mezzo sospiro di sollievo nell'appurare che la situazione stava tornando nei ranghi. Si lisciò distrattamente la camicia, poi le dita si impigliarono nella zazzera aggrovigliata. Ecco: i ricci sarebbero rimasti d'argento ancora per un po' e non esisteva rimedio per modificarne il colore. In circostanze di tale potenza emozionale, RJ non era ancora in grado di controllarsi al 100%. - Per quello che vale... - appostato al confine dell'orecchio di Lupe - intrappolato in un sottilissimo nido di sparuti capelli neri -, Lazarus si concesse una sospensione. - ... forse, mi è piaciuto anche troppo. - a quel punto la baciò con uno sonoro schiocco , il quale si disperse in un'eco di carta antica. Finse di chiudersi le labbra con una zip o il "problema" si sarebbe ripresentato e così le palesò che era pronto a uscire allo scoperto.

    La Biblioteca era ormai deserta, eccezion fatta per i due delinquenti e per la padrona di casa. Quest'ultima, canticchiava soffusamente mentre riordinava la sua scrivania e, quel motivetto che le faceva formicolare le labbra, risultava talmente conciliante e trasognato da lasciar intendere che non si fosse accorta di un bel nulla. Il Tassorosso avrebbe preferito dribblarla, fingere di non averla scorta e scaraventarsi nel corridoio ma sarebbe stato tanto sgradevole quanto strano. Era impossibile passare inosservati nel percorso a ritroso, dunque sospirò disarmato e posò un breve sguardo sulla sagoma minutaglia di Olivia.

    - Sessione fruttuosa? - chiese melliflua Longue Langue, sollevando gli occhioni pervinca in uno scatto che rimbalzò su entrambi. Un mezzo ghigno appena appena enigmatico speziava la sua espressione. C'era complicità? Forse monito? Un ultimatum? Geko, un passo più indietro rispetto alla piccola Serpe bruna, mostrò i denti in una smorfia buffa all'indirizzo di Le Miel. Bulbi oculari sgranati e capo in preda al diniego, nel momento in cui capì che la donna li aveva beccati e lasciati fare. Il verbo "tagliare" venne mimato con una mano all'altezza della gola per poi mutare in un gesto che doveva trasudare nonchalance ma con scarso successo. - Gli altri sono tutti andati via. Siete degli studiosi piuttosto... accaniti. Lodevole! - punzecchiò Paprika divertita, impaziente di fare gossip con il suo futuro marito.

    - Aeeehm... quando... se si fa una cosa la si fa fino in fondo, giusto? Lo studio è una storia molto seria, non va presa sotto gamba, ecco. - stai zitto, coglione. Ti prego. Più parli e peggio è. - Beh, YAAAAWN, che stanchezza! Mi sa che è proprio ora di andare, vero, Olivia? - eppure non era male come attore, di solito. Eppure... quello non era affatto il solito.
     
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    Il caos, generato dall'incontro di quei due asteroidi con gli ormoni impazziti, ora vorticava all'interno delle orbite di entrambi, quasi a volersi fare beffa dell'autocontrollo (ben poco, a dire il vero) sfoggiato per evitare incidenti sconvenienti: un monito utile a ricordare loro che, sebbene le loro bocche si fossero scollate, non c'era modo di evitare che i loro spiriti, giovani e ribelli, continuassero ad aggrovigliarsi l'uno all'altro. A dire il vero, quel primo approccio non aveva fatto altro che peggiorare la situazione di impazienza: per quanto la riguardava, Olivia non riusciva a scacciare dalla mente nessuno degli scabrosi dettagli che riguardavano quel maledetto freak, sciolto in una pozza di adrenalina e affanno solo ed esclusivamente per il suo volere. Era un'immagine che non sarebbe mai riuscita a togliersi e, onestamente, non ne aveva alcun interesse. Osservava Lazzaro tentare falsamente noncurante di ricomporsi e, inclinando la testolina corvina, lasciò vagare le iridi abissali sulla chioma argentea di lui, non ancora tornata alle originali tinte castane, e si chiese come avrebbero fatto ad eludere eventuali domande in merito. Non ché fosse noto a tutta la scuola che Jericho soleva brizzolarsi quando gli partiva l'ormone con la Morte Portatile, ma qualcuno capace di guardare oltre il proprio libro di Cura delle Creature Magiche o aldilà della propria tazza da tè, avrebbe certamente intuito - quantomeno - che qualcosa, dietro quegli scaffali, gli era successo.

    Comunque, Rosenbaum ce la metteva tutta per impedire alla Moriarty di darsi un tono: erano appena riusciti a stemperare la tensione accumulata nei bassifondi delle loro adorabili personcine, che il ragazzo le si avvicinò nuovamente con l'intento di demolire ogni suo buon proposito di ingoiare la smania costretta a trattenersi. Ciò che le comunicò, ebbe l'immediato potere di farla rabbrividire sul posto, al punto che dovette schiarirsi la voce, stringere il bocciolo violaceo e far roteare i bulbi oculari lontano dai lineamenti affilati del Tassorosso. Lupe incrociò le braccia al petto, prima di lasciare un morso falsamente inviperito sulla dannata bocca che il giovane weirdo aveva avuto l'ardire di stampare nuovamente sulla gemella imbronciata. Gli sistemò gli occhiali sul ponte del naso da volpe, schiccherandogli la punta.

    Dopodiché, i due studenti del sesto anno decisero che era arrivato il momento di tornare ad affrontare il mondo reale. Più nello specifico, per uscire dalla biblioteca avrebbero necessariamente dovuto imbattersi nella custode di quel luogo pregno di cultura e fascino e, per quanto le acque si fossero calmate nei loro scheletri elettrificati, Ollie non era esattamente la persona più brava nell'arte della dissimulazione. Affatto: malgrado sembrasse sempre indossare una comoda poker face che la faceva somigliare ad una bambola posseduta dal Diavolo, quando qualcosa la scombussolava davvero, i suoi tratti squadrati traducevano infami qualsivoglia emozione sotterranea. Inoltre, la diciassettenne non era neanche particolarmente in grado di mentire, come ormai era risaputo ai più, dunque non sarebbe stato un compito facile da portare a termine. Avrebbe dovuto impegnarsi molto di più della volta in cui lei e Jericho avevano fronteggiato Kritikou e la sua cricca di debosciati attaccabrighe.

    L'importante era procedere senza interruzioni, evitando contatti visivi e facendo finta di niente. Olivia marciava come un carrarmato imbruttito, testolina corvina incassata nelle piccole spalle sollevate, le mani strette a pugno e l'espressione rognosa a corrucciargli occhi e mandibola. La sua determinazione nel raggiungere l'uscita il prima possibile fu mozzata da un'unica domanda, proferita da una persona che non era Lazo: la signorina Le Miel aveva richiamato l'attenzione del duo improbabile e, il cuore spinato di Messico e Nuvole, schizzò in gola.

    La signorina Le Miel stava palesemente lanciando delle frecciatine da Cupido improvvisato e, in risposta, la violoncellista si irrigidì sul posto, serrando le mascelle e sgranando lo sguardo pecioso sul sorriso complice della strega. Annuì furiosamente con il capino, non immaginando che, dietro di lei, Mosquito stesse facendo il contrario: non c'era bisogno che la figlia di Salazar si girasse in direzione di quello che aveva recentemente promosso a "suo ragazzo", le bastava immagazzinare le espressioni della bibliotecaria per capire che erano stati bellamente sgamati. Ragion per cui si ritrovò a deglutire a vuoto, ascoltando passivamente le scuse di Jericho, mentre il suo Palazzo Mentale si riempiva di schiamazzi e colori psichedelici, sintomo che fosse decisamente su di giri e imbarazzata. Che poi, fino in fondo mica ci erano arrivati. Si erano interrotti prima, destati da un unico e pigro singulto di decoro. Se lo studio era una storia molto seria, quindi, avrebbero dovuto rimediare il prima possibile a quello spiacevole inconveniente.

    Comunque, era rimasta zitta per tutto il breve interscambio tra Jericho e la futura moglie del suo "zio acquisito" ma, arrivata verso la fine della prova attoriale di Lazy Boy, Evvivia non riuscì a trattenersi: -IL CONTADINO ALLA LOCANDA.- ovviamente non si stava rendendo conto del fatto che la sua voce si fosse magicamente alzata di qualche, stridula ottava -...NON HA PAGATO IL CONTO.- esclamò sull'orlo di una crisi di nervi, fissando la bibliotecaria con un misto di panico e furia cieca dipinti sul volto, prima di riprendere a camminare come un soldatino di legno, con tanto di braccia piegate ad angolo retto e mani diritte e tese: -SIR ROSENBAUM, DILEGUOSSI.- richiamò sull'attenti, schizzando rapidamente fuori da quell'ambiente, da quel giorno non solo testimone delle loro malefatte da turbolenti adolescenti, ma anche della prima sceneggiata poco convinta, ridicola e delirante del rispettabile Mastino Messicano.

    Appena fuori dalla biblioteca, quindi, Olivia Lupe Moriarty si pinzò il setto nasale con indice e medio mancini, esibendosi in uno sbuffo esasperato: -Uccidimi.-
     
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    Già si figurava la scena: Paprika che tornava a casa ridacchiando sotto le vibrisse per raccontare i dettagli a quel pettegolo di Malcolm. Sì, perché quella mole massiccia da orso pimpato celava un'insaziabile fame di gossip. La sua tazza da tè fremeva per essere riempita (e corretta). Tra un grugnito e un boh, lo zio acquisito di Jericho si prestava all'ascolto di ogni scoop e la sua futura moglie, sicuramente, non si sarebbe risparmiata. Nelle più vivide speranze di Rosenbaum, Le Miel aveva semplicemente intuito i suoi intrallazzi con Olivia. Qualcosa di atroce, però, gli suggeriva d'essere stato colto in flagranza di reato senza che potesse accorgersene, troppo occupato a rovistare tra i bottoni della camicia di Scrooge. Quindi, in un lasso di tempo brevissimo ma sufficiente a fargli venire voglia di tuffarsi in una delle fosse scavate dal padre, ecco che gli si palesò l'immagine di Papsie che metteva su un teatrino e usava Marceline come spalla. Nelle orecchie, sentiva l'eco caprina delle risate di Bowie e si rassegnava alle sue sorti. Prendersi gioco di due poveri pubescenti! Che mostruosità era mai quella?!

    D'altronde, non era successo niente di così eclatante o strano: una coppia di adolescenti in preda agli ormoni, aveva avuto la brillante idea di aggrovigliarsi in un luogo pubblico rischiando, come minimo, una punizione esemplare. Che poi fosse stata Lupita ad aggredire(?) Lazarus e ficcarglisi nei pantaloni era tutt'altro discorso: in fondo, se proprio gli fosse tanto dispiaciuto, il freak avrebbe potuto negarsi. E invece... ! Invece, la donna in cui i due arrapati fuggiaschi si erano imbattuti, li esaminava con aria consapevole e un ampio sorriso a truccarle le labbra. Non un velo di discrezione nei suoi intenti felini. Quella disgraziata non si premurava di celare il suo pungolo neanche un pochino! Il sopracciglio finemente dipinto e ben arcuato, accompagnava i boccoli nel loro provocante annuire. - <>Mhmh, mhmh. L'anatomia è una materia a dir poco affascinante, vero? Per inciso, Jericho: ti dona l'argento. - impietosa, maledetta e infingarda come la rucola, la strega si vendicava per aver rischiato il posto di lavoro. O, semplicemente, si divertiva a dispetto di ore e ore trascorse in silenzio fra scartoffie e tomi polverosi. Adesso, le sue iridi violacee cercavano una reazione nella Moriarty, mentre Richo si toccava le punte dei capelli in disordine con un gesto disarmato e lo sguardo perso nel vuoto.

    Anche stavolta, urgeva una terapia d'urto che li togliesse d'impaccio e fu proprio Lupe a occuparsene. Senza che Lazzaro potesse anche solo prevedere la sua mossa, ecco che sobbalzò nel sentirla starnazzare frasi senza senso. Ne rimase sorpreso... stordito... infatuato. Se ne stava lì, come uno stoccafisso semi-scongelato, che tentava di riprendere il filo di un discorso privo di logica e provò a boccheggiare qualche vocale prima del richiamo imperioso cui si accodò urlando: - VENGOSSI! ABBIAMO LASCIATO IL... GATTO SULLA PENTOLA A PRESSIONE! - l'andazzo sembrava quello, tanto valeva assecondarlo. Infatti, come se si fosse ricordato qualcosa di estremamente importante, si schiaffò il palmo della dritta sulla fronte: - LA VENDEMMIA! - sventolando la stessa mano in segno di saluto, lasciò indietro Paprika e le sue risate alla carica della porta. La Biblioteca si era fatta così stretta che, una volta sputato nel corridoio, il giovane weirdo fu sollevato. Respirò a pieni polmoni neanche si trovasse fra gli alberi del parco e, l'encomiabile nodo Windsor con cui la Serpe gli aveva sistemato la cravatta pochi attimi prima, venne brutalmente aggredito in favore della comodità.

    Quando Evvivia implorò l'omicidio con estrema dignità per aver reagito in una simile maniera, Mosquito raggruppò i freschissimi ricordi di quanto accaduto un secondo prima e si illuminò di immenso. La scrutava ancor più trasognato, ghignando incoraggiante e compiaciuto all'indirizzo della protagonista di quell'exploit di tutto rispetto. Aveva ancora la fronte arrossata per il colpo, tocco di colore che contribuiva alla comicità degli eventi. Comunque, Argento Vivo prese delicatamente le mani della Serpeverde allontanandole dal suo bel viso. Se le portò al proprio e ne baciò i dorsi: - Non posso ucciderti, ci aspettano ancora tante cose da provare! Ad esempio, devi assaggiare il manzo con le pinne. - una sentenza che palesava tutto fuorché serità ma che, contemporaneamente, esplicitava una promessa autentica. In un certo senso, per una volta, si sentì munito di coltello dalla parte del manico. - A proposito di manzo con le pinne: se volevi cuocermi un altro po', beh, ci sei riuscita. - ammise sghignazzando sornione. Tenne con sé solo la piccola mancina di Messico e Nuvole, avanzando tra le armature che vegliavano sul deserto assoluto. Una tossicchiò, altre due iniziarono a malmenarsi come di prassi.

    - Andiamo a cena, dai. - propose il Tassorosso fra ingiurie e rumore di ferraglia. Erano tutti abbastanza abituati alle zuffe tra armature e qualcosa gli suggeriva che, l'amore della Morte Portatile per il vile danaro, l'avesse anche spinta a scommettere con altri studenti. Riflettendoci, la guardava di sottecchi mentre camminavano verso la Sala Grande. Era meglio immaginarla nelle sue vesti devote ai galeoni che in quelle spiegazzate che l'avevano scoperta sotto le voragini che lo stramboide definiva "pupille". Gli bastava osservarla nella sua marcia torva per rallegrarsi tra sé e sé. Gli importava ben poco d'aver fatto figure ridicole. Era con la sua ragazza.
     
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