Jinx

Per il mio mlml

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    such.a.shame

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    Dopo sei anni a Hogwarts, eccolo ancora una volta piantato davanti alla Stamberga Strillante, fotocamera alla mano ed espressione contrita sul volto. Jesse Vance se ne stava lì, immobile ed incazzato, e si chiedeva quando avrebbe imparato a dire di no. O, per meglio dire, quando avrebbe imparato a riconoscere ed evitare i ricatti emotivi di suo padre. Il signor Vance era un coglione viziato che, a detta sua, aveva bisogno di un book fotografico della Stamberga ogni anno per ogni stagione. Se Jesse rognava, lui minacciava di smettere di pagare la retta di Hogwarts. E, per quanto Jesse fosse lontano anni luce dalla definizione di studente modello, era abbastanza intelligente da sapere che un grado minimo di istruzione era necessario al conseguimento di una vita adulta dignitosa. Per lui una vita adulta dignitosa sarebbe stata una qualsiasi vita purché fosse vissuta a debita distanza dalla Vampire Mansion, ma quello era un altro discorso ancora. Quando il ragazzo, qualche anno prima, aveva chiesto a suo padre cosa diamine se ne facesse di tutte quelle foto dello stesso, identico soggetto, Leon Vance gli aveva risposto che di identico c’era ben poco. Gli aveva mostrato come la vegetazione si infittiva a poco a poco sulle imposte delle finestre sfondate, e come le assi di legno si scheggiavano di anno in anno. Gli aveva detto che gli piaceva collezionare i segni del tempo - tanto più se il soggetto era una casa infestata - e Jesse, attonito, se l’era fatto andar bene. Sapeva che suo padre fosse bizzarro, ma quello era un livello di bizzarro da far spavento. Aveva preferito non rivelargli che di infestato alla Stamberga c’era gran poco, ma ora si ritrovava a pensare che forse sarebbe stata la cosa giusta da fare per farlo smettere.

    - Non mi ha mai chiesto foto dell’interno. - Mormorò. Si volse alla sua sinistra, dove il profilo spigoloso di James Napier era rivolto verso la facciata della casa fantasma. Jesse gli aveva chiesto di accompagnarlo perché era stanco di annoiarsi. Fare le cose da solo diventava noioso, ad un certo punto. - E io non sono mai entrato. Non mi è mai interessato. Ma ora… ora penso che mi interessi. - E non era per le regole: di quelle non gliene era mai fregato molto. Era perché Jesse aveva vissuto i primi anni della sua adolescenza in un’apatia inusuale per un ragazzino della sua età, apatia dalla quale cominciava a destarsi solo negli ultimi tempi. Il motivo non lo conosceva e non sapeva se fosse interessato a conoscerlo: non era mai stato abituato a porsi tante domande.
    - Anche se dentro non c’è niente, immagino. - Si ritrasse di un passo quando un raggio di sole minacciò di scottargli la pelle sulla guancia destra. L’estate stava arrivando, e questo significava che lui avrebbe dovuto vivere i prossimi tre mesi a saltare di ombra in ombra per non sentirsi male. Gli veniva la nausea solo a pensarci.
     
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    Era con aria estremamente annoiata che James aveva accompagnato Jesse fino alla Stramberga Strillante. Non perché l’idea in sé lo annoiasse, semplicemente quella era la classica espressione insofferente che il giovane Napier assumeva durante una qualsiasi delle attività svolte durante le sue giornate, le quali di solito consistevano per lo più nel poltrire.
    Tuttavia sapeva bene che, nelle sue condizioni di salute, era necessario che si sforzasse di muoversi quanto più possibile e ormai non poteva neanche avanzare la scusa che fuori fosse troppo freddo o che piovesse.
    Di fatto, quella lì era una giornata gradevolmente soleggiata: il cielo, altrimenti un unico manto di un azzurro vivo, era punteggiato da soffici e zuccherose nuvolette bianche, mosse verso nord da un tiepido venticello.
    Insomma, era la giornata perfetta per uscire dal castello: solo un idiota non avrebbe accettato e di certo c’erano alternative peggiori di una passeggiata per trascorrere il pomeriggio.

    Quando Jesse gli rivolse la parola, James si voltò leggermente verso di lui, tirando fuori dalle labbra un lecca lecca al cioccolato che aveva tirato fuori dalla borsa circa a metà del tragitto verso il paesino.
    Un piccolo schiocco si produsse dalla sua bocca e, mentre il giovane si rigirava l’asticella tra le dita, gettò un’occhiata all’edificio sbilenco e poi di nuovo al suo compagno.
    -Nemmeno io ci sono mai stato.- ammise, muovendo le iridi nocciola verso sinistra, come se stesse scandagliando tra i suoi ricordi polverosi.
    A volte la fibromialgia gli giocava dei brutti scherzi: combinata all’ansia, tendeva a fare piazza pulita di alcune delle sue giornate più difficili e così finiva per cancellare conversazioni intere, a volte addirittura più di quelle.
    Dopo averci pensato un po’ si sentì abbastanza sicuro di poter confermare ciò che aveva appena detto e annuì con più convinzione.
    -Ma ho sentito dire che della gente ci si imbosca per fare roba. Magari erano quelli i versi che si sentivano ottant’anni fa.- commentò con un ghigno malevolo, mentre si riportava di nuovo il lecca lecca tra le labbra e lo incastrava contro la guancia.

    Quell’espressione da adorabile bastardo non fece altro che intensificarsi quando vide il sole colpire la guancia di Jesse e la sua prevedibile reazione.
    Infilò le mani in tasca, consapevole di avere un ombrello infilato nella tracolla ma non avendo nessuna voglia di tirarlo fuori.
    Invece, iniziò ad avviarsi verso la Stramberga, provando a fischiettare ma non riuscendoci per via del dolcetto che aveva ancora in bocca.
    -Forza principessa, andiamo a vedere cosa c’è dentro.- lo incoraggiò, strascicando i passi sull’erba incolta.
    -Anche se, dovedo saltellare così da un’ombra all’altra, direi che somiglieresti di più a un ranocchio- infierì, non togliendogli gli occhi di dosso fino a quando non raggiunsero entrambi quello che sembrava essere l’ingresso principale della casa.
    Fino a quel momento sembrava non ci fosse traccia di spettri nei paraggi, ma chissà, la situazione poteva sempre cambiare.
    Osservò la porta di fronte a loro, incerto su come procedere. Sarebbe stato bello usare la magia, ma mancava ancora più di un mese al suo diciassettesimo compleanno e la prospettiva di beccarsi un richiamo e una conseguente strillettera non lo attirava per nulla.
    Altrettanto figo sarebbe stato sfondare la porta a spallate ma, almeno per lui, che aveva la forma fisica più simile a quella di un grissino, non era un’alternativa realizzabile in nessun modo.
    Si voltò verso Jesse, le sopracciglia inarcate in un’espressione perplessa… non pensava che avrebbero avuto a che fare con degli ostacoli così presto.
    E che questi potessero essere… beh… una porta.
    -Mh. Qualche idea?-
     
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    Si sarebbe dovuto ribellare. Sarebbe dovuto essere coraggioso e strafottente e l’adolescente ribelle che tanto sembrava ma che, in realtà, non era. E se ti tagliano i fondi tu ti inventi qualcosa, Jesse Vance. Sì, ma cosa?
    Avere diciassette anni ed essere senza un galeone - o meglio, non poter accedere ad un galeone del proprio ingente patrimonio - poteva essere assai tragico in certe circostanze, come ad esempio quella in cui si trovava lui. Si sarebbe dovuto trovare un lavoretto estivo, tanto per cominciare. E poi, a poco a poco, cominciare a dire di no alle cose che non voleva fare. Si sentiva uno zerbino solo perché si faceva trattare come tale.

    - Nemmeno io ci sono mai stato. Ma ho sentito dire che della gente ci si imbosca per fare roba. Magari erano quelli i versi che si sentivano ottant’anni fa.-

    Inarcò le sopracciglia, ritrovandosi ad imitare il ghigno che era comparso sulle labbra di James. - Se è come dici, chiunque fosse non ci sapeva proprio fare. Se i miei versi fossero tanto terrificanti da dar vita a leggende su case infestate, non lo prenderei come un complimento. Poi dipende dai punti di vista, eh. - Conosceva qualcuno che non l’avrebbe certo pensata come lui, in fin dei conti.

    Si era ritrovato a pensare, più di un paio di volte, che James fosse genuinamente divertito dalla sua reazione alla luce solare, e quella volta non fu diversa. Il sorriso sottile che fendeva il suo volto come un’ affilata mezza luna si allargò appena, prima che il compagno di casa decidesse di avventurarsi fuori dall’ombra, verso l’ingresso della casa.

    -Forza principessa, andiamo a vedere cosa c’è dentro. Anche se, dovendo saltellare così da un’ombra all’altra, direi che somiglieresti di più a un ranocchio-

    - Ha-ha, divertente. Se ti va male nella vita puoi proporti come stand-up comedian nei pub, sono sicuro che avresti successo. - Mormorò, a fatica, mentre esattamente come un ranocchio si muoveva di ombra in ombra. Quando non vi fu più alcuna macchia in cui cercare riparo, maledisse mentalmente James e si lanciò verso la porta. Lì, almeno, la sporgenza del tetto offriva una lingua d’ombra in cui ripararsi.
    - Mi verrà una scottatura su tutta la faccia e sembrerò un granchio. Grazie, James. Ma scommetto che tu lo trovi davvero divertente. - Mormorò, piccato.
    Si volevano bene, lo sapeva, ma questo non impediva loro di battibeccare di continuo.
    Inarcò un sopracciglio quando James gli si rivolse. Sembrava avessero già incontrato un ostacolo e, per quanto Jesse avrebbe voluto proporre di tornare indietro, ‘che non aveva molta voglia di attivare il cervello per trovare un modo per entrare, pensò anche che all’interno della Stamberga il sole non ci sarebbe stato. Quella casa malandata era un riparo perfetto.

    -Mh. Qualche idea?-

    Sbuffò, guardandosi intorno e cercando una via d’entrata alternativa. Un buco nel muro, magari, o un passaggio attraverso le assi sprangate delle finestre al primo piano. Poi, pensò che James aveva dato per scontato che la porta fosse chiusa senza nemmeno provare ad aprirla. Poggiò il palmo sulla maniglia e tirò verso il basso. Dovette spingere un po’, ma la porta si aprì. Fu il suo turno di prendere in giro James. - Hai mai pensato di… che ne so, aprire la porta? - Ridacchiò. Spinse la porta in modo che vi fosse lo spazio necessario a passarci attraverso. Fece gesto a James di precederlo. - Forza, Bella Addormentata. Andiamo a caccia di fantasmi. -

    L’interno della Stamberga era esattamente come lo aveva immaginato: polveroso, abbandonato, in decadimento. Sapeva di stantio, e la polvere che avevano smosso entrando gli fece venire da starnutire. Si coprì la bocca con le mani, ma fece attenzione a non fare troppo rumore perché, nonostante tutto, le leggende che si tramandavano per decenni riguardo a quel posto avevano il loro peso. Se davvero il suo starnuto avesse svegliato una qualche creatura dormiente? Rivolse uno sguardo a James, gli occhi grigi spalancati.
    - Se veniamo mangiati da qualcosa, hai il permesso di prendertela con me.
     
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