Expect the unexpected

Libera c:

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    C’era un motivo se Alice aveva deciso di andare a vivere a Inverness, nella casa dei suoi nonni, e non a Hogsemeade per esempio, a due passi dalla scuola di Edith e dalla casa dove suo fratello viveva con suo nipote: tecnologia babbana e magia non andavano affatto d’accordo.
    Vincent le aveva addirittura offerto di prendersi il numero 11 di High Street dopo averlo svuotato, ma a dire la verità nemmeno lei si sarebbe sentita troppo a suo agio ad abitare nella casa dove il cuore di suo fratello era stato così brutalmente infranto, perciò aveva gentilmente declinato la sua generosa offerta.
    Questo, tuttavia, la obbligava ogni giorno a materializzarsi dalla Scozia fino a Londra, in quanto entrambe le sue occupazioni (quella di Spezzaincantesimi e quella di Indicibile) la trascinavano forzatamente fino alla capitale.
    Sarebbe stato molto più pratico abitare direttamente a Diagon Alley e a volta Alice doveva ammettere di essersi ritrovata a fissare annunci di appartamenti in affitto o in vendita, ma poi ritrovava la ragione: non si sarebbe mai separata dalla sua casetta di Inverness, men che meno che per stabilirsi in un posto dove avrebbe dovuto mettere da parte tutto il suo armamentario babbanofilo oltre che ai ricordi dei suoi nonni materni.

    Quel pomeriggio, tuttavia, non era per motivi di lavoro che si ritrovava al Paiolo Magico.
    A dire il vero, Alice non era affatto una frequentatrice di quel locale (lo trovava decisamente troppo squallido per i suoi standard un po’ altolocati) ma Edith aveva chiesto di accompagnarcela per poter passare un pomeriggio in compagnia di alcuni amici di Hogwarts ed erano rimaste d’accordo che sarebbe andata a riprenderla per le sei del pomeriggio, aspettandola proprio all’interno del pub.
    Visto che, per l’appunto, non era tra le più grandi ammiratrici del posto, Alice aveva temporeggiato praticamente fino all’ultimo minuto prima di addentrarvisi, ma quello stratagemma non era servito a granché visto che sua figlia aveva deciso di farla aspettare per chissà quanto.
    Erano già dieci minuti che vagava per i tavoli come un’anima in pena, gettando di continuo occhiate al muro di mattoni incantato nella speranza di vedere sua figlia Edith comparire lì accanto.
    Del tutto invano.

    Quando ormai, dieci minuti dopo, le fu chiaro che non avrebbe potuto continuare a starsene lì dentro senza ordinare nulla, decise di prender posto a uno dei tavoli e sfogliare svogliatamente il menù, cercando di evitare di fare smorfie che facessero trapelare quanto poco apprezzasse il posto in cui si trovava.
    Avrebbe aspettato mezzora, non di più, e poi si sarebbe sforzata di non andare nel panico e chiamare a raccolta tutti i membri di squadra speciale magica e auror per aiutarla a rintracciare la sua bambina che, sperava, avesse solo perso il senso del tempo, magari nei pressi della vetrina del Serraglio Stregato. Nel frattempo, a farle compagnia, ci sarebbe stata la sua fedelissima rivista scientifica così crudelmente babbana, priva infatti di fotografie semoventi o modelle ammiccanti.
     
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    Cu-cu! Mi intrufolo, spero non ti dispiaccia ^_^


    Quale miglior momento per un po' di relax se non dopo il primissimo turno al San Mungo? Sente ancora il brividino provato quando si è messo il camice poche ore prima, si sente già realizzato. Vuole dare il massimo, soprattutto perché è uno dei Medimaghi più giovani dell'ospedale; deve rimboccarsi le maniche per apparire positivamente agli occhi degli altri colleghi. Colleghi, è così eccitante!
    Paiolo Magico, punto di congiunzione fra il mondo magico e quello babbano. Piccola Lince ci ha passato delle ora quando studiava in gruppo ai tempi dell'università magica, soprattutto il primo anno e poi per gli esami di laurea, ottenuta solo un mese prima. Dovrebbe incontrare un ex compagno, infatti, per raccontare i rispettivi "primo giorno".
    Si sente quasi come un intruso nel momento in cui la clientela si gira incuriosita dalla sua figura che si guarda intorno per trovare posto. Ormai è abituato che l'interesse degli altri si focalizza sulla novità, sul viso nuovo, sull'etnia che palesemente non fa parte di quella londinese.
    Una volta che tutti tornano a fare quello che stavano facendo precedentemente alla sua entrata, è la volta di Piccola Lince guardare distrattamente i maghi e le streghe all'interno del locale: c'è chi sorseggia qualche strana bevanda colorata, chi fuma la pipa che aggiunge quell'odore pungente all'aria che si respira là dentro, chi sfoglia il giornale o una rivista... Come una giovane donna contro la quale va a sbattere lievemente, mentre cerca di schivare un tipo ubriaco fradicio che gli sorride come un ebete e mugugna qualcosa di incomprensibile per poi passare oltre.

    Mi scusi, spero di non aver fatto danni.



    Edited by Piccola Lince - 17/7/2023, 18:15
     
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    Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
    Non che potesse definirsi un vizio vero e proprio, quello di frequentare un pub in particolare, quando possibile... il quale, certo, esponeva effettivamente a dei vizi, dai quali però il vecchio mago, il cui scalpo cominciava ad essere punteggiato da tanti piccoli fili d'argento, era sicuramente lontano. L'età era troppo avanzata perché le sostanze potessero suscitare in lui un desiderio tale di assumerle da renderlo schiavo, troppe cose aveva vissuto sulla pelle sempre più tesa perché potesse essere dipendente da qualcosa, almeno fra le mura di un luogo ricreativo come quello. Era il lupo, semmai, che decideva quando saltare addosso alla preda, quando nutrirsi, concedersi qualche piccolo sgarro di mondanità, in pausa dai pensieri che affollavano sempre la sua mente ed il suo cuore.
    Erano ormai passate alcune decadi da quando Damos Avalon, ancora ragazzino, aveva messo piede per la prima volta al Paiolo Magico. Oltre alla relativamente buona tenuta del locale, e alla qualità del cibo e delle bevande, cose che, nonostante i vari cambi di gestione, era sempre rimasta inalterata, ciò che più lo legava a quel posto era il concetto stesso che vi stava dietro: il pub era il punto di giunzione fra il mondo babbano e quello magico, così come lui, nella sua famiglia, era stato il buco della serratura che poteva condurre in uno o nell'altro mondo. E a periodi alterni, l'ex Corvonero aveva avuto modo di far prevalere l'uno o l'altro lato di sé: da piccolo era relegato al mondo dei babbani, dagli undici ai diciassette anni aveva vissuto da mago, e per un lungo periodo aveva letteralmente vissuto il limbo della sua trasformazione selvatica in un luogo che niente aveva di magico, e per oltre quarant'anni aveva vissuto da babbano, fino al giorno in cui aveva deciso di riaffacciarsi nel mondo della magia.
    Anche in quel caso, il Paiolo era stato un punto fermo: lì faceva l'inventario di Ollivander, quando ancora possedeva la gestione del negozio di bacchette, lì aveva archiviato le pratiche prima di diventare docente a Hogwarts, lì si concedeva un po' di relax quando doveva passare da un posto all'altro.
    Quei pensieri continuavano ad affiorare in maniera ciclica, in un turbine lento ma costante, come quello che, poco a poco, andava a formarsi nel caffè che stava girando. Londra era innaturalmente calda, e ciò abbassava notevolmente la pressione sanguigna del mago di età avanzata, di lì l'esigenza di un minimo di caffeina.
    Di tanto in tanto, gli stanchi occhi castani scandagliavano l'ambiente. Il locale sembrava tranquillo, e non più affollato di altre volte. La mano ossuta prese la tazzina, portandola a fior di labbra, e fece scendere il caffè come fosse uno shottino. Poi, dalla borsa consunta che portava con sé, tirò fuori una cartella, copiosamente stipata di fogli di pergamena scritti da capo a piedi: frutto della ricerca sul campo che aveva svolto in quegli anni per l'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti Babbani. Quella ricerca lo aveva tenuto lontano dalla Gran Bretagna per un po', costringendolo di fatto a lasciare temporaneamente la sua cattedra, e non aveva avuto molto tempo per tenere saldi i legami. Ma una volta archiviate anche quelle pratiche, la prima persona che avrebbe voluto vedere era la Leopardessa di Casa Lestrange, che non si meritava un così lungo silenzio. Sentito mugugnare qualcosa, alzò lo sguardo dalle carte che aveva sul tavolo al quale era seduto, rigorosamente in fondo alla sala, e notò un ubriacone che stava superando a passi sbilenchi un altro tavolo, ove era seduta una giovane donna, ed un altro ragazzo che l'aveva appena lievemente urtata. La donna sembrava nervosa, ma non ne capiva il motivo. Tuttavia non ebbe il tempo di indugiarci molto, perché purtroppo La Sorte finiva sempre per giocargli un tiro destrorso (essendo lui abituato a usare la sinistra, avrebbe poco senso parlare di tiro mancino) ed ecco infatti l'ubriacone, con un puzzo addosso del peggior alcol sottomarca trovabile all'interno del paiolo, che si stava avvicinando proprio a lui. Lo guardò negli occhi, cercando di studiarlo, evidentemente con la vista affannata dai fumi dell'alcol, e poi disse solo: -Due falci signò, un altro cicchetto...-. Il sopracciglio buono, quello non intaccato dalla cicatrice, si sollevò, e Damos ricambiò lo sguardo, infilzandolo con il suo:

    "Non do via il mio denaro per vederlo sperperato."

    Replicò, lapidario. L'ubriacone sulle prime non rispose, evidentemente aveva capito a malapena la risposta. Poi però insistette: -Ma che te frega, sgancia amico!-. A quel punto, l'Animagus non gli rispose nemmeno, e tornò a sfogliare i risultati delle sue ricerche. Aveva imparato che a volte la tattica migliore, soprattutto in casi come quelli, era semplicemente far passare del tempo, fino a che la persona di fronte non si fosse stufata di insistere nel tentare di abbattere una muraglia. Ma più del buonsenso poté il digiuno, ed ecco che lo stbronzo gli tirava contro uno sgabello. Damos fece appena in tempo a sfoderare la bacchetta e a proteggersi con un sortilegio scudo, ma il rinculo, unito alla scarsa possibilità di essere pronto in quel frangente, lo fece ugualmente finire gambe all'aria, senza ulteriori conseguenze. Più spaventato per i frutti di mesi di ricerche che rischiavano di essere danneggiati che per quel povero sprovveduto, scattò in piedi con una velocità che non credeva nemmeno lui di avere e si affrettò a controllare che fosse tutto a posto. Per fortuna, tutto era ancora sul tavolo e in ordine: la pergamena era più pesante della carta e non ci voleva così poco a farla volare da tutte le parti. In ogni caso, il vecchio lupo era furente:

    "Ma vai a berti un brodo, razza di babbuino... Tarantallegra!"

    Agitò la bacchetta e in men che non si dica un'energia incontrollata venne sprigionata dalle gambe del pover'uomo, che si trovò a fare i conti con una passata di tarantismo che lo portò a trovarsi in linea d'aria con la porta. A quel punto Avalon, dacché era ancora in piedi, gli assestò una sonora pedata, che lo portò ad andare verso l'uscio, inciampando nel lieve rialzo che c'era sotto la porta e finendo a terra, ed in quell'istante Damos interruppe l'incantesimo, per evitare che dei babbani curiosi potessero notare qualcosa di strano, poi tornò a sedersi. Per un attimo, comparve un lieve sogghigno sotto i baffi: ricordava bene che tre anni fa, il suo collega Kowalski aveva atterrato allo stesso modo un altro reietto che si era comportato quanto e peggio del signore appena riverso fuori dall'entrata.
    Finì di ricontrollare le sue carte e poi, ritiratele, fece per uscire, ma nel farlo passò vicino al tavolo che aveva notato anche prima. Ora che la vedeva più da vicino, il viso della donna era... familiare. I tratti dell'altra persona invece lasciavano intendere che non apparteneva decisamente a quei luoghi, ma Damos non aveva alcuna idea di chi potesse essere.
    Notò che la giovane aveva con sé una rivista, ma non c'erano immagini in movimento... ok, valeva la pena di instaurare un dialogo:

    "Buonasera." si introdusse ad entrambi, con un sorriso sul viso stanco. Si rivolse poi direttamente alla giovane donna: "E' una rivista babbana? Sa, la babbanologia è stata a lungo il mio campo... potrei vederla?" ed infine aggiunse, tendendo la mano ad entrambi: "Che maleducato... Damos Avalon, molto piacere... perdonate l'irruenza ma dopo anni di ricerche poter sentire aria di casa è - passatemi il gioco di parole - una ventata d'aria fresca!"

     
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    CITAZIONE (Piccola Lince @ 12/7/2023, 23:54) 
    Cu-cu! Mi intrufolo, spero non ti dispiaccia ^_^

    Ma carissim* certo che no!! Anzi!!



    Il Paiolo Magico non solo si stava dimostrando esattamente ciò che Alice sospettava, cioè una delle bettole più mal messe del panorama magico Londinese, ma la situazione sembrava essere persino peggiore di quanto pronosticato.
    Era quasi contenta del fatto che Edith fosse in ritardo, non avrebbe potuto sopportare che la sua preziosissima bambina assistesse a uno spettacolo così orrendo, con un uomo ubriaco e puzzolente che barcollava malamente tra i tavoli.
    Era stato praticamente un miracolo che non fosse andato a sbattere su di lei anche se nel caso si sarebbe occupata personalmente di spedirlo fuori dal locale a colpi di bacchetta, ma per fortuna non ce n’era stato bisogno.
    Ugualmente fortunato, purtroppo, non fu un giovane con cui l’uomo si scontrò pochi istanti dopo. La colluttazione, oltretutto, provocò un effetto domino che costrinse il ragazzo a ritrovare l’equilibrio urtandola e facendole perdere la presa sulla rivista che stava sfogliando.

    Gli occhi cristallini di Alice si spostarono impazienti sul nuovo arrivato, le labbra leggermente imbronciate e pronte tuttavia a scusare il giovane, ma non appena le iridi si posarono sulla sua figura la sorpresa spazzò via il disappunto e per un momento la Smith quasi dimenticò dell’oggetto delle sue lamentele.
    -No, non ti preoccupare è tutto a posto. Cosa che non si può dire di altra gente che frequenta questo posto.-
    Appunto, quasi.
    Con espressione di sdegno, Alice individuò l’uomo ubriaco, ora preso ad importunare un altro sfortunato cliente di quel pub e, dopo aver scosso il capo con aria di disapprovazione, tornò sulla persona che l’aveva urtata.
    -Posso farti una domanda, se non sono indiscreta? Sei americano, vero?-
    In circostanze normali, infatti, Alice non avrebbe mai azzardato un atto di tale sfacciataggine, ma i lineamenti del ragazzo avevano subito catturato la sua attenzione, riportandola alla sua adolescenza, quando frequentava Ilvermorny e non era raro, lungo i suoi corridoi, incrociare più di una persona che fosse condividesse i tratti di colui che le stava di fronte.

    La sua attenzione, poi, venne nuovamente catturata dal trambusto provocato dall’ubriaco e un altro mago, che aveva l’aria curiosamente familiare.
    Per fortuna, l’uomo non ci mise molto a spedire quella specie di molestatore fuori dal locale e, sebbene Alice non amasse quel genere di spettacoli, non poté che apprezzare il fatto che, forse, sarebbero riusciti a trascorrere qualche momento di tranquillità.
    Nel momento stesso in cui incrociò lo sguardo dell’uomo, Alice si rese conto, così come quest’ultimo, di averlo già incontrato.
    Probabilmente la loro fu un’impressione reciproca, perché quello evidentemente si sentì autorizzato ad unirsi al suo tavolo, benché Alice non avesse mosso neanche un dito per invitarlo.

    -Buonasera a lei…- ricambiò educatamente il saluto, benché un po’ perplessa.
    -Ah, la rivista… certo, prego.- aggiunse, appoggiando la punta delle dita sottili sulla rivista e facendola strisciare da una parte all’altra del tavolo, per porgerla all’uomo.
    -Damos Avalon! Ma certo, sapevo di averla già vista da qualche parte.- esclamò d’un tratto, sgranando gli occhi cristallini quando comprese chi aveva di fronte.
    Si trattava non solo di un ex collega di suo fratello e anche ex professore di sua figlia, ma era proprio da lui che avevano comprato la bacchetta di Edith.
    -Io sono Alice Smith e sono la madre di una sua ex studentessa… e sorella di Vincent. Ecco perché mi sembrava di averla già vista!- concluse con aria vittoriosa, soddisfatta di essere riuscita a venire a capo di quel piccolo enigma.
    -Mentre lui è… ehm… tu chi sei caro? Anzi, perché non ti siedi qui mentre ti presenti? Sembri un po’ spaesato.- aggiunse con cortesia in direzione del ragazzo, scostandogli la sedia accanto alla propria.
    Nel caso in cui il giovane nativo americano avesse deciso di accettare la sua offerta gli avrebbe sorriso e poi sarebbe tornata a rivolgersi ad Avalon.

    -Non sapevo fosse tornato nel Regno Unito. È un piacere rivederla.- avrebbe aggiunto, intrecciando con grazie le dita sul bordo del tavolo.

    Alice era abituata ad essere accerchiata da uomini ovunque si fermasse, ma quel giorno il destino era stato davvero strano: prima un ragazzino e poi un uomo attempato!
    Sperava almeno che, nonostante le grandi differenze d’età, la compagnia potesse essere quantomeno gradevole.
     
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    Coglie la piccola espressione di disappunto sul volto della donna; comprensibile, ha rischiato se quell'ubriacone si fosse messo a importunarla. Fortunatamente si è scontrato contro il giovane Medimago, al quale sembra non aver niente da dire, giusto se quelle due parole biascicate non significavano qualcosa. In ogni caso, nessun danno e la donna cambia subito espressione appena lo vede. Gli scappa un sorrisino alla sua domanda.

    Sono originario di quelle parti, sì. Ma ho vissuto la maggior parte della mia vita qui in Inghilterra.

    Non gliene fa una colpa, incuriosirsi per qualcosa (qualcuno) che non si vede tutti i giorni è normale, diventa un problema quando si ha ben altre opinioni sulle quali pronunciarsi. Ha sentito anche quelle, sì.
    La loro attenzione viene distratta dallo stesso ubriacone che pare abbia deciso di mettersi contro la persona sbagliata. Chi ha alzato il gomito si ritrova a ballare, letteralmente, fuori dal locale. L'uomo che l'ha spedito con tanta maestria gli sembra familiare. È quest'ultimo a prendere per primo la parola, avvicinandosi ai due giovani e puntando la rivista che sta leggendo la donna. L'ha già riconosciuto poco prima e ora che è più vicino ne ha la conferma.

    Cassian Ellis, piacere sorride alla donna. Piacere di rivederla, professor Avalon. Ero uno studente di Hogwarts fino a pochi anni fa, tuttavia non seguivo il suo corso; ma l'ho incrociata spesso nei corridoi e naturalmente l'ho vista in Sala Grande. Forse le suona più familiare il nome Piccola Lince: gli altri studenti e qualche suo collega erano soliti chiamarmi così.

    Probabilmente l'avrà sentito più facilmente, essendo un nome molto poco inglese e non da tutti i giorni.
    Accetta volentieri l'offerta di sedersi assieme alla donna, nonostante la differenza di età, ma tanto è solo finché non arriva l'amico puntuale come un bradipo.

    Non venivo qui da un bel po'. Sto aspettando un amico, ma come al solito è in ritardo.

    Teme anche che lo aspetterà per poi vedersi dare buca, non sarebbe la prima volta. Nel mentre, si passa il tempo con i due estranei.

    Oh, era in viaggio? si rivolge all'uomo, dopo le parole della donna. Per lavoro o per piacere?

     
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    "Per quanto abbia vissuto per anni a cavallo dei due mondi, è sempre bello constatare le differenze fra la scienza magica e quella b... eh? Come?"

    Era difficile dire di cosa potesse trattarsi, ma Damos avvertì una certa diffidenza nei suoi confronti da parte della donna, a primo impatto. Forse le dava fastidio lo sfregio? O magari era la maniera in cui aveva cacciato l'ubriacone? Decisamente poco ortodossa per i suoi standard, doveva riconoscerlo, ma quello che contava in quel caso... era il risultato, no? Infatti, per quel motivo, almeno alle battute iniziali, aveva preferito mantenersi su quanto aveva trovato sulla rivista, che ormai era per lui in realtà pane quotidiano, viste le ricerche che aveva svolto.
    In ogni caso, quei soliti problemi che si faceva in quei casi, quel flusso di pensieri preoccupati per la persona che aveva di fronte, venne interrotto poco dopo, in seguito alla sua presentazione, cui fecero seguito quelle degli altri due. Nel primo caso, una luce riempì gli occhi dell'anziano, non sapeva esattamente di che tipo. Magari... era il piacere di poter constatare di aver lasciato un segno dov'era passato, una memoria forse positiva verso il suo operato da quando, dopo decenni di esilio, aveva deciso di non reprimere più la sua natura di mago, superando il trauma del duello nella foresta. Ad ogni modo, la familiarità della persona che aveva di fronte era finalmente spiegata:

    "Alice Smith! Ora ricordo... venne in quello che allora era il mio negozio, tempo fa, per comprare la bacchetta di sua figlia. E' un piacere rivederla!"

    Rispose, sorridente. Poi aggiunse, ripensando a quel tempo in cui era sotto il mirino sia del Ministero che di quel topo di fogna di Anselm Carondell, quando suo fratello ed un... losco figuro, che per fortuna sembrava fosse sparito dalla circolazione, avevano deciso di scucchiaiare sia lui che Meg fino a fondo, per un incidente all'interno del quale erano finiti per puro caso:

    "Ah sì, Vincent... in effetti ora capisco l'aspetto familiare. Una volta mi intervistò per il caso Lerman, lo sa?"

    Il sorriso non era scomparso, si era solo un po' assottigliato, ricordando l'amarezza delle circostanze in cui i due si erano incontrati per la prima volta, quando ancora non erano colleghi.
    Mitch Lerman era stato uno dei più recenti proprietari del Serraglio Stregato, luogo ove erano avvenuti i primi avvenimenti nefasti di quel periodo storico che stavano vivendo, ed aveva trovato la fine per sua stessa mano, nonostante i tentativi di rianimazione da parte sua, della Lestrange e di Aria Black.
    Ai tempi, quando ricevette quel gufo da parte di Vincent, non era rimasto particolarmente contento della cosa, l'aveva presa quasi come uno sciacallaggio nei loro confronti, ed il suo collega sembrava voler accusare Meg di cose non vere tra le righe... ma era acqua passata, e sicuramente la signorina lì presente non c'entrava... era giusto un modo per rimarcare che in effetti, per quanto ormai non lo vedesse da molto, era vero che c'erano stati contatti ravvicinati con il fratello.
    Si girò, rivolgendo lo stesso, cortese sorriso anche all'altro giovane. Sulle prime continuava a non capire di chi potesse trattarsi, ma poco dopo quell'accostamento quasi totemico gli accese una lampadina:

    "Oh... ora capisco. Forse sì... Piccola Lince suona più familiare. E' un piacere, ragazzo! E... beh... cose che capitano, Hogwarts fornisce una formazione così vasta che non possiamo incontrarci tutti."

    Ridacchiò appena, un po' imbarazzato. Ma del resto, qualunque professore, sapendo di aver a che fare con un mancato studente, avrebbe potuto avvertire tale sensazione... lieve, ma presente.
    In quel momento, si rese conto di essere ancora in piedi, ed il fatto che sovrastasse entrambi - anche se non di tantissimo - in altezza alimentò quel senso di disagio, facendolo arrossire leggermente.

    "Ehm... non vi dispiace, vero?"

    Chiese, indicando appena con la bacchetta una delle sedie più vicine. Normalmente sarebbe andato a prenderla a piedi - il suo codice morale, perfettamente bilanciato fra babbano e mago, glielo imponeva - ma in quel momento era per lui prioritario levarsi dall'impaccio. Se avesse avuto assenso da parte di entrambi, avrebbe appellato la sedia sopra citata e vi avrebbe preso posto, pronto a rispondere ai loro dubbi:

    "Allora... sì, sono stato fuori un annetto circa, poco più... e sì, per una questione di lavoro, signor Ellis. Come accennato prima, Ollivander non è più di mia proprietà, poiché ho deciso di offrire i miei servigi al Ministero, piuttosto che occupare un posto che era più giusto fosse mandato avanti dalla famiglia. L'ultimo discendente degli Ollivander, Perseus, aveva preso il mio posto. A proposito... qualcuno di voi ha per caso sue notizie?"

    Chiese, osservando entrambi con aria interrogativa.
    Non ce la poteva fare, ogni contatto che aveva avuto nella sua vita, per quanto fugace, era importante per lui sapere come stesse. Ancor di più in quel caso, poiché aveva affidato la sua attività ad una persona, dato che la riteneva più opportuno lasciare le chiavi della bottega a quello che avrebbe dovuto essere il più giusto bottegaio.

    "Comunque, come dicevo... ho trovato impiego nell'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti Babbani, e andava tutto bene, finché non sono venuti a mancare ricercatori nel dipartimento, e così... hanno ritenuto necessario che io mi occupassi di una questione oltreoceano, e di conseguenza sono stato in congedo fino a poco tempo fa anche come docente. E ora che sono tornato, beh... ho ritenuto di dover far tappa qui, dove tutto era iniziato per me sia da aspirante mago... che da aspirante docente. Ma ditemi, due giovani promettenti come voi, cosa ci fanno a quest'ora in un pub?"

    La buttò in maniera goliardica, sottolineando la cosa con un ulteriore sorriso. Sentiva quasi male ai muscoli delle guance, aveva lavorato sodo quegli anni e tempo di sorridere ne aveva avuto poco... o magari erano effetti collaterali dei farmaci? Avevano arrestato l'avanzata dei sintomi del Parkinson in maniera impressionante, ma ogni tanto facevano i capricci... in ogni caso, non era quello l'importante, non in quel momento almeno. A mani intrecciate sul misero ventre, attese che i due si esprimessero. Piccola Lince fu il primo:

    "Oh, capisco... questo tuo amico ha frequentato Hogwarts, signor Ellis? Magari ho incrociato anche lui..."

    Ora il solo nodo da sciogliere era quello di Alice...



    Edited by Damos Avalon - 3/8/2023, 16:27
     
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    In quell'ultimo periodo, qualunque persona osasse respirare vicino alla matriarca avrebbe dovuto temere seriamente per la propria vita. L'attesa per risolvere la questione della signorina Stern, recatasi presso di lei qualche tempo prima per chiederle di concederle l'accesso a quella che era la più ristretta e temuta cerchia di maghi del panorama magico inglese, non faceva che contribuire ad un fastidio generale che tendeva a palesarsi ogni giorno alla bocca dello stomaco, quasi perennemente vuoto, della donna.
    Sin da quando era una giovane studentessa ad Hogwarts, si era sempre ripromessa di non cadere in quegli articolati tranelli che l'oscurità insita nel suo sangue le tendeva quotidianamente, a non diventare l'intollerabile fantoccio che entrambi i suoi genitori volevano che fosse. Per lungo tempo aveva visto in Sirius Lestrange un alleato, un uomo d'onore in grado di spalleggiarla e tutelarla in quel mondo così marcio, ma da poco tempo a quella parte la sua erede si era resa conto che quell'uomo era stato l'ennesimo burattino, schiavo incapace di liberarsi del sistema di Aastoria Black. Aveva letto delle lettere, dove chiaramente si evinceva la sudditanza che quell'uomo aveva nei confronti della moglie, e lo sdegno nei confronti di una prole che non erano riusciti a plasmare come avrebbero voluto. Ci aveva fatto il callo, madame Lestrange, ed aveva deciso che mai e poi mai si sarebbe permessa di provare rimpianto o nostalgia nei confronti di coloro che l'avevano ridotta per anni all'ombra di sé stessa.
    Di rimpianto, l'ormai matriarca ne aveva però sperimentato fin troppo: rimpianto per Claire, per come aveva guardato la luce spegnersi dai suoi occhi, rimpianto per aver perso anni a credere in un padre che non era altro che l’ombra di un uomo mossa dai fili di sua madre, rimpianto per Aria, che a differenza sua si era lasciata spezzare dalle dinamiche della loro famiglia.
    Megara meritava il potere che bramava, per tutte le cicatrici che era stata in grado di rendere medaglie al valore, per tutte le volte in cui era caduta e si era rialzata, per quello che aveva dovuto sopportare per salire al vertice di quel mondo così dannatamente marcio com'era quello delle ventotto.
    Se era stata poi in grado di ergersi, di sorreggere tutto sulle sue spalle e di insegnare ai suoi cari a farlo a loro volta, era stato grazie alla sua prima moglie, la prima donna che, col senno di poi, aveva capito di aver amato davvero, seppur non ai livelli di Bells. Quella donna era stata piacere fine a sé stesso, inteso nel senso più estetistico: art for art's sake; passione, fretta e vestiti strappati. Morsi, sangue e graffi, senza bisogno di smancerie, senza bisogno di amore. Era liquido cremisi che scorreva nelle vene, pompato da un cuore fibrillante che non aveva alcun bisogno di essere un cuore vero. Era stata la persona più simile a lei, quella che più la capiva: due anime spezzate, abituate ad esserlo, che sfiorandosi si erano riscoperte complementari. La regina dell'inferno accanto, così l'aveva spesso appellata, aveva preso i brandelli dell'anima della matriarca e li aveva rimessi insieme, insegnandole a farlo ogni qualvolta si fosse rivelato necessario. Le aveva insegnato a nuotare in un mare di oscurità, a sentircisi a suo agio, a non temerne neppure i meandri più oscuri. Le aveva insegnato ad avere un giusto e cosciente distacco emotivo dalla propria famiglia, accettandone positività e negatività, amandola per quella che era, ma al tempo stesso essendo in grado di discernersi, di farsi altro da loro e quando necessario anche altro da sé, pur di comprendersi come singolo individuo e sopravvivere.
    Se era stata in grado di insegnare così tanto alla sua compagna di vita, di donarle delle ali con le quali volare più in alto di tutto ciò che avrebbe rischiato di tangerla, lo doveva a quella parte del suo passato, e da tutto ciò che ne era risultato.
    La fede risalente a quel matrimonio la portava al petto come monito, positivo e negativo al tempo stesso. A volte, in quei giorni di crisi, quel metallo pareva bruciare sul solco intermammario, come a volerne lacerare la pelle candida, per ricordarle tutto ciò che aveva imparato. Megara voleva riportare in alto il nome di Madame Lestrange, il prestigio della sua posizione, non lo sterco che per anni il suo casato aveva nascosto dietro le pesanti tende del maniero.
    Quel giorno in particolare la docente aveva aperto quelle tende, in senso letterale, per uscire alla volta del Paiolo Magico. Non si recava al locale da molto tempo, sopraffatta dagli impegni lavorativi e familiari ma anche da emozioni e sensazioni che l'attanagliavano e la costringevano a rinchiudersi per ore o perfino giorni nel suo studio, al piano più alto dell'ala ovest.
    Non era stata in grado di trasmettere a Bella tutto ciò che aveva imparato, di donarle quella capacità di distacco così dannatamente necessaria nel loro mondo, e per questo motivo sua moglie era più debole di lei in tal senso, incapace di distaccarsi totalmente da dinamiche potenzialmente nocive. Le aveva sempre fatto rabbia, e spesso aveva fatto sì che determinate discussioni si incrinassero più del dovuto, come nel caso di quella avuta pochi giorni prima, in merito alla questione di Cleopatra Stern. Forse, inconsciamente, era proprio per quella ragione che l'ex proprietaria si stava recando in quel locale, dove aveva avuto modo di conoscere più approfonditamente la giovane tedesca ed analizzarne meglio i lati del carattere. Avrebbe non soltanto dovuto interfacciarsi con quella faccenda da sola, ma anche in qualche modo porsi nelle condizioni di proteggere la donna che amava da tutto ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco. L’aveva messa in pericolo di recente, e questo non era ancora in grado di perdonarselo. Dopo gli eventi al British Museum, in particolare, la Lestrange aveva cominciato a sentire di non avere più quel controllo perfetto che aveva sempre vantato, né sulle sue emozioni né sulla sua magia. Era al maniero col suo ippogrifo, intenta a prendersene cura, quando questo si era imbizzarrito per l’improvviso arrivo di Bella, ed aveva quasi rischiato di attaccarla: la magizoologa aveva tentato di castare un incanto imposium, al fine di calmare la creatura quanto più rapidamente possibile, ma questo era fallito e se non si fosse messa in mezzo facendosi mordere lei, ciò sarebbe potuto accadere a Bella, e di certo non se lo sarebbe perdonato. Lei sapeva come gestire determinate ferite, abituata ad interagire con creature magiche di ogni genere, ed anche a sopportarne il dolore, e sebbene sua moglie fosse la medimaga più abile che avesse mai conosciuto, non avrebbe mai sopportato di vederla perire il dolore di un morso di ippogrifo.
    Aveva deciso di accedere al Paiolo da Charing Cross, così da potersi concedere una catartica passeggiata per le vie della Londra babbana prima di giungere sul posto. Non c'era molta gente per strada, dove il nero dell'abbigliamento della donna pareva abbinarsi alla perfezione con le tonalità di grigio e beige che coloravano quella zona. La camicia di lino corvina si posava morbida sulle spalle, poggiando appena sui fianchi, dai quali partiva un pantalone attillato del medesimo colore, infilato nei soliti stivaletti da passeggio. Il ticchettio dei tacchi accompagnava quello dell’elegante bastone che conteneva la sua fida bacchetta, con il sottofondo dei passi altrui e di qualche chiacchiericcio, oltre che quello dei mezzi di trasporto babbani.
    Giunta di fronte all’ingresso entrò di fretta, notando subito che l'ambiente era cambiato molto da quando non era più di sua proprietà: era diventato nuovamente sciatto e cupo come un tempo. Non sapeva chi fosse a gestirlo in quel periodo, non se ne era più interessata, ma di certo doveva trattarsi di un poraccio qualcuno di un rango molto più basso del suo.
    Il fastidioso ticchettio dei cucchiaini accompagnava il miscuglio di voci che riecheggiavano nella sala, senza che nessuna di esse potesse distinguersi. Qualcuno, come sempre quando accedeva ad un luogo pubblico del mondo magico, si era voltato in sua direzione quando aveva fatto il suo ingresso, ma non se ne avvide più di tanto, andando silenziosamente a posizionarsi di fronte al bancone.
    Non appena qualcuno del personale le diede attenzione, rivolgendosi a lei col solito riguardo, avrebbe pronunciato:

    -Un whisky incendiario, il più costoso che avete, per cortesia.

    Accompagnando la frase con un rapido cenno della mano in direzione dei bicchieri, ancora posizionati esattamente dietro al bancone.
    Mentre attendeva, Madame Lestrange approfittò per guardarsi un po' attorno, sperando in cuor suo che il suo sguardo non incrociasse volti di persone con le quali sarebbe stata costretta ad interagire per via dell'etichetta. Poco distante da dov'era posizionata, però, notò una figura fin troppo familiare: capelli grigi di lunghezza media, un accenno di barba, scartoffie su scartoffie con sé: il lupo di Dartmoor era tornato, e non si era ancora fatto vivo. Non si chiese neppure per un istante per quale motivo non avesse ancora ricevuto una sua lettera, si limitò ad afferrare il bicchiere non appena le venne servito da un giovane ragazzo che le aveva anche porto i suoi omaggi, andando poi accompagnata dal fedele bastone a posizionarsi alle sue spalle con fare felino. Era intento, come suo solito, ad intrattenere una conversazione evidentemente alquanto interessante con altri due individui, una con un volto quanto meno familiare ed un ragazzo a lei sconosciuto. Attese che finisse di parlare, prima di schiarirsi appena la voce per far sì che potesse distinguerla al meglio e proferire:

    -Perdonate il mio amico, signori, tende ad avere una parlantina alquanto singolare

    Avrebbe quindi atteso che l'amico realizzasse, per poi, se si fosse voltato, rivolgergli un sincero sorriso.
     
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    Sono originario di quelle parti, sì. Ma ho vissuto la maggior parte della mia vita qui in Inghilterra.

    -Oh capisco.- si limitò a rispondere Alice, sempre mantenendo quel sorriso garbato sul volto. Pensava di aver trovato qualcuno con cui parlare dei cari vecchi Stati Uniti, ma si trattava indubbiamente di una speranza andata a vuoto.
    Benché alla minore degli Smith piacesse vivere in Scozia a volte, come è umanamente comprensibile, aveva nostalgia del posto in cui era cresciuta e di Ilvermorny e sarebbe stato piacevole conoscere qualcuno con cui condividere quel sentimento.
    Ma pazienza, se davvero aveva persino frequentato Hogwarts era chiaro che non sarebbe stata la persona giusta con cui intavolare quel genere di conversazione.
    -Io sono Alice, invece. Alice Smith, molto lieta.- gli si presentò poi con un sorriso cordiale, perché la cortesia era sempre un cardine fondamentale nel modo che la donna aveva nell’approcciarsi al prossimo.

    Con lo stesso garbo, poi, rivolse un cenno di assenso al professor Avalon, permettendogli così di sedersi al tavolo con loro.
    Ascoltò tutto ciò che aveva da dire sugli anni trascorsi fuori dal Regno Unito e dai motivi che lo avevano spinto a cedere la bottega di Ollivander a quello che pareva essere un più legittimo proprietario.
    Un sorriso curvò le labbra sottili della bionda, visto che aveva avuto occasione di conoscere il caro Perseus.
    -Tempo fa ho avuto modo di vederlo esibirsi in teatro. Forse è in tour con la compagnia, chi può dirlo? - magari anche in quell’occasione non si sarebbe risparmiato dall’importunare altre giovani fanciulle scambiandole per fan.
    Questo, tuttavia, Alice non lo disse ad alta voce.
    Era vero, amava i pettegolezzi, ma riteneva che fosse più divertente ascoltarli e commentarli piuttosto che metterne in giro lei stessa. E poi dubitava che il pubblico che aveva di fronte fosse realmente interessato alle condizioni di vita del giovane uomo.

    (…) Ma ditemi, due giovani promettenti come voi, cosa ci fanno a quest'ora in un pub?”

    Alice lasciò che il primo a esprimersi fosse Piccola Lince e istintivamente il suo sguardo cristallino vagò per i tavoli spartani del locale, cercando traccia di sua figlia la quale, tuttavia, sembrava alquanto intenzionata a beccarsi una bella strigliata quella sera.
    Forse doveva preoccuparsi.
    Forse sarebbe stato davvero il caso di lanciarsi lungo tutta Diagon Alley e chiamare il suo nome a gran voce come una matta.
    Era quello che avrebbe dovuto fare una brava madre… no?
    Forse avrebbe potuto resistere altri… sì, altri dieci minuti.
    Ma non uno di più.
    -Ho appuntamento con mia figlia.- rispose infatti all’uomo poco dopo, quando si rese conto che la stava osservando in attesa di una risposta.
    -In realtà doveva essere già arrivata ma… immagino si sarà attardata da Florian Fortebraccio o al Serraglio Stregato. Gli adolescenti non sono semplici da gestire, a volte.- si limitò a rispondere con un sorriso rilassato ma finto, proprio perché voleva evitare di far trasparire la sua reale preoccupazione.
    Non era sicura di esserci riuscita.

    -In ogni caso, mi dispiace che mio fratello l’abbia disturbata con le sue incessanti interviste… immagino che sia il suo compito di reporter, ma se la cosa può consolarla ormai si occupa principalmente di organizzare la Gazzetta e fa molto meno lavoro sul campo, anche perché si lascia assorbire molto dai compiti che gli vengono richiesti per via della sua cattedra di Astronomia… ormai la detiene già da qualche anno, almeno tre o quattro addirittura, se non vado errata.- aggiunse mettendosi più dritta sulla sedia mentre, al di sotto del tavolo, intrecciava le caviglie sottili con grazia.

    Sembrava, tuttavia, che quel piccolo ritrovo di anime sperdute fosse destinato ad ampliarsi.
    Una nuova figura, di fatto, andò poco dopo ad aggiungersi all’intero quadretto: una donna che in quell’ambiente sciatto stonava forse persino più quanto non facesse Alice.
    Immediatamente, la giovane Smith, si chiese di chi potesse trattarsi.
    Forse aveva avuto modo di incrociare anche lei in qualche occasione? Non poteva esserne sicura ma, abituata com’era (o almeno così ne era convinta) ad essere il fulcro delle attenzioni di tutti, non le dispiacque quella aggiunta.
    Forse non si sarebbe nemmeno fermata a lungo.
    -Oh non si preoccupi, il professore non è affatto di disturbo. Anzi, aiuta a distrarmi dalle mie paranoie di madre in pena… è piacevole concedersi qualche chiacchiera in un pomeriggio del genere.- rispose alla donna, forse prima che potesse farlo Avalon stesso.
    Gli occhi così intensamente chiari di Alice si soffermarono sulla mano della nuova arrivata, notando come fosse occupata da un calice contenente un liquido scuro, sicuramente non un tea.
    Eppure era appena arrivata, perché invece a lei non era stato servito ancora nulla?
    Anzi, a dire il vero, non era stato neanche chiesto se avesse potuto gradire qualcosa.
    Che servizio scadente.
    -Cielo, non ditemelo…- mormorò a voce alta senza neanche rendersene conto, persa com’era nel filo dei suoi pensieri.
    -Qui non c’è il servizio al tavolo, vero? Che disgrazia, dovrò andare fino al bancone per servirmi! Oppure… magari uno di voi gentiluomini può farmi il piacere di farmi portare una tazza di caffè?-
    Guardò speranzosa prima Piccola Lince e poi Avalon, sbattendo le ciglia lunghe e sperando che uno qualunque di loro fosse disposto ad evitarle un viaggio attraverso quei brutti tavoli e tutti quei poco raccomandabili avventori.

    Edited by Alice S. Smith - 13/9/2023, 16:02
     
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    L'anziano mago sorrise e scosse il capo, quasi intenerito. In effetti, quando l'aveva incontrato, l'ex proprietario di Olivander's aveva notato nel giovane Percy un'energia esplosiva, che non immaginava potesse venire dall'ardente fiamma della recitazione, più che semplicemente da quella di una giovinezza interiore inesauribile, nonostante, evidentemente, ormai fosse ben oltre i trenta. E già in quel momento aveva seri dubbi che una persona del genere potesse desiderare di chiudersi in una bottega... sembrava quasi che lo facesse con costrizione, come se qualcosa di esterno lo stesse spingendo a farlo con tutto sé stesso nonostante le difficoltà di base.

    "Interessante... dunque l'ultimo discendente degli Olivander è un teatrante. In effetti la recitazione è una delle cose che riescono meglio ad avvicinare i babbani alla magia, a mio modesto parere. Spero che sappia quello che fa..."

    Pensò, un po' nervoso, dandosi una veloce grattata al mento, all'idea dei giovani maghi che attendevano invano per una bacchetta con il proprietario fuori dai giochi...
    "Ma no dai, sei troppo pessimista, vecchio porcoazzo... cosa potrebbe mai andare storto?"
    Pensò, in maniera non troppo convinta.
    Ed una sua tipica interiezione, sopita, ma sempre pronta a rispuntare fuori nelle giuste occasioni, storica, intramontabile, fece capolino, quasi soffiata fra i denti in un misto fra lo stizzito ed il divertito:

    "...bah. Giovani..."

    Damos per un attimo reclinò la testa di lato, poiché Alice sembrava star indugiando. Era chiaro che in quel momento fosse sovrappensiero, anche se per il docente di Trasfigurazione non era altrettanto facile intuire da cosa derivasse ciò, tuttavia il suo dubbio fu fugato di lì a poco, ed in effetti non biasimava la giovane americana: se mai avesse avuto un figlio, in effetti, per quanto comunque ormai, nel caso della Smith, la figlia in questione fosse in quell'età in cui i ragazzi cominciavano a responsabilizzarsi, che voleva farsi un giro per Diagon Alley, col rischio di sbagliare vicolo e finire nella zona losca di Nocturne, non sarebbe stato affatto tranquillo. Ma chiaramente, per quanto anche a lei potesse essere venuta in mente quella circostanza, l'Animagus non la espresse, per non rischiare di destare in lei delle preoccupazioni effettivamente esistenti che, però, probabilmente in quel momento erano dormienti:

    "Sono certo, ms. Smith, che tornerà presto. In ogni caso, se posso... una tiratina d'orecchi morale da parte sua, anche lieve, non guasterebbe, mi creda... a lezione sanno cosa significa fare i bighelloni nella mia aula"

    Concluse, con una vena ironica, facendo quel gesto con cui i genitori minacciano di ceffonare i figli che facevano troppe... marachelle, ecco.
    Pensò a quella volta che due studentesse impertinenti avevano osato giocare a Tetris - a Tetris! - Nella sua aula. Non avevano passato un bel quarto d'ora... però in realtà di solito, per quanto volesse vedere impegno da parte della sua classe di studi, il professor Avalon non infieriva in maniera così prepotente (ciònonostante in alcuni casi, come in quello di Oscar Tyre, le sue esortazioni erano prese per offese, ma su quello ci poteva fare ben poco).
    Sorrise, bonario, all'affermazione sul lavoro di Vincent:

    "Ma no nessun disturbo... faceva il suo lavoro. Non come quel suo... collega idiota. Koldovstoretz si chiamava mi pare... sì, ricordo che durante l'intervista cercava di gettare merda fango in ogni modo possibile sulla professoressa Lestrange..."

    -Perdonate il mio amico, signori, tende ad avere una parlantina alquanto singolare.-

    Era una fortuna che quella voce non avesse fatto vibrare i suoi timpani quando ancora era seduto al precedente tavolo, perché avrebbe avuto come conseguenza quella di far manifestare la classica gag molto a stelle e strisce dello spruzzo di caffè dovuto al rigetto del bevitore, troppo sorpreso, stordito o emozionato per riuscire a mandarlo giù. Tuttavia, rischiò, per la seconda volta in quei minuti, di ritrovarsi gambe all'aria. Del resto, come poteva essere altrimenti, nel momento in cui, parlando di una persona, proprio la stessa persona faceva sentire la sua voce alle sue spalle?
    Si girò con cautela sulla sedia, quasi con il sospetto che qualcuno avesse castato su di lui un incantesimo illusorio, ma la sorridente, robusta, bionda figura che gli si parava... dietro (?) lasciava ben poco spazio ai dubbi. Il sorriso fu immediatamente ricambiato:

    "...parli del diavolo..."

    E poi con una velocità che non credeva più gli appartenesse si alzò e le diede quello che, se lei non avesse avuto la costituzione che aveva e lui avesse avuto qualche fibra muscolare in più in quelle braccine mingherline, avrebbe potuto essere un abbraccio spezzacostole, sperando così di lasciare l'amica e collega spiazzata almeno quanto lo era lui, visto anche che, come suo solito in un pub, la sua mano era occupata da un calice di qualcosa che sprizzava alcol etilico da ogni atomo.
    Sapeva che il suo lignaggio lignaggio le imponeva di essere un palo dove non batteva il sole una rigida etichetta? Sì.
    Gliene fregava qualcosa? Assolutamente no.
    Poi si girò ed annunciò ad entrambi:

    "Costei è per l'appunto Madame Megara Lestrange. Che sorpresa!"

    Aggiunse, dandole due piccole pacche sulla spalla.
    A quel punto, senza pensarci troppo, appellò un'altra sedia libera e la posizionò nell'unico quadrante del tavolino rimasto libero. Sarebbe stato forse più cortese chiedere prima, ma era abbastanza sicuro che non ci sarebbero stati particolari problemi per gli altri due.
    Ma l'occasione per fugare quel piccolo problema di etichetta si manifestò di lì a poco, e Damos si offrì, sorridente, di prendere il caffè per Alice senza troppi giri, e di sicuro per niente charmato dalle lunghe ciglia dell'avvenente... commensale? (in realtà, un accenno di rosso aveva velato le sue guance quasi scavate, non essendo del tutto insensibile, anche a quell'età, al fascino femminile, ma niente di più).
    Dopo aver chiesto come esattamente Alice volesse in caffè, andò al bancone, attese che la comanda arrivasse a destinazione e tornò con la bevanda calda al tavolo, che consegnò immediatamente alla richiedente.
    Tuttavia non gli sfuggì un fatto: Piccola Lince left the conversation non era più presente al tavolo. Ma cosa?

    "Ma... e il nostro giovane amico?"

    Chiese, spostando lo sguardo castano da una bionda all'altra. Poi scrollò le spalle e si sedette nuovamente.
    Si rivolse a Meg, sussurrando:

    "Comunque devo dire... da quando hai lasciato la gestione del Paiolo le cose sono peggiorate eh!"

    Ripensava all'aggressione di poco fa ed al mancato servizio al tavolo per la Smith nel dire quelle parole.
    Invero, voleva essere un piccolo input per iniziare una conversazione con la Matriarca, con la quale ormai non aveva occasione di parlare da diverso tempo. E il suo essere fuori dal mondo lo aveva indubbiamente tagliato fuori da molte cose... chissà nel suo giro di conoscenze se era rimasto tutto in ordine, chissà se a scuola procedeva tutto per il meglio, e poi... c'era un altro pensiero che lo tormentava, ma ancora non gli veniva in mente di cosa potesse trattarsi.
    In ogni caso, spostando la sua mente su altro, sperava davvero, per il momento, che la figlia di Alice si facesse viva, o il caffè avrebbe rischiato di farla andare definitivamente in tilt.

     
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