L’Espresso per Hogwarts

Per studenti e professori

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    IO ETTERNA DURO

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    La Sorte
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    E' una mattina di nebbia, un’atmosfera dall’aspetto lattiginoso, quella che saluta il primo giorno di Settembre. Il cielo è pallido e ha un aspetto cagionevole, l’Espresso per Hogwarts è avvolto in una nebbiolina sottile. Gocce di rugiada imperlano ancora i finestrini del treno, quando i primi studenti chiudono gli ombrelli e cominciano ad imbarcarsi.
    Gli scomparti vanno via via riempiendosi di studenti, di gufi, di gatti e di rospi, mentre la locomotiva sbuffa il suo vapore nerastro, che in un attimo si perde nel grigio del cielo.
    Per tutti i giovani maghi e le streghe della Gran Bretagna, da tempi immemori, questo è un giorno importante, che significa una sola cosa: si torna a casa.

    L'Espresso per Hogwarts sta per partire dal binario 9 e 3/4, come ogni anno. La locomotiva fuma, nell'aria si respira il profumo dei dolcetti di Mielandia e delle prime brezze autunnali. Il fermento è ovunque, laddove i più piccoli si accalcano sulla banchina per riuscire a trovare posto in uno scompartimento piuttosto che in un altro. I gufi e le civette tubano nelle loro gabbie, i gatti rizzano il pelo infastiditi quando il macchinista suona: sono le undici in punto, è l'ora di partire.

    //Buon primo Settembre a tutti, maghi e streghe!
    Questa discussione, in cui potrete ruolare il viaggio verso Hogwarts sull'Hogwarts Express, resterà aperta fino al 15 di Settembre.
    Come già scritto sopra, la role si apre alle unidici di mattina del primo Settembre, al binario 9 e 3/4 di King's Cross.
    I player possono determinare in autonomia il numero dello scompartimento nel quale passeranno il viaggio. Per domande o dubbi, mi trovate sempre disponibile.

    Buon viaggio a tutti!
     
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    Olivia Moriarty stava ufficialmente per iniziare il suo settimo anno e, quella, sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe messo piede all'interno del treno diretto per Hogwarts. Impeccabile nel portamento, così come nell'espressione da bambola di porcellana strappata ad un inquietante mercatino dell'usato, la ragazzina indossava la sua divisa di Serpeverde perfettamente inamidata e, a braccia conserte, attendeva l'armistizio tra un paio di scalmanati novellini che avevano pensato bene di fare la lotta sugli scalini d'ingresso della carrozza, ingorgando il passaggio e, di fatto, stizzendo il suo famigerato umore da Nerino del Buio. Un sopracciglio si levò verso l'alto, mentre alle sue spalle sentiva il fiato di suo fratello Papi: ah, sì, erano giunti a King's Cross insieme e la figlia di Salazar aveva trovato del tutto legittimo rifilargli tutti suoi bagagli, gabbietta di Cipolla compresa. Insomma, in qualche modo bisognava sfruttare tutti quei muscoli da giocatore di Quidditch, no?

    -Ehi, Scemo e Più Scemo.- esordì la violoncellista, all'indirizzo dei due undicenni non ancora smistati -Sperate di non finire in Serpeverde o vi renderò la vita un inferno.- aggiunse con l'attitudine di Henry Howard Holmes, ricevendo in cambio due sonore pernacchie e lo scalpiccio irriverente dei loro mocassini, testimone della loro immediata sparizione. Evvivia ruotò il volto squadrato in direzione di Pedro, praticamente sommerso dagli averi della sorella (più che dai propri): -Su, su, è tutto allenamento. Non sarai mica stanco...- esalò, prima di avvicinarsi a lui di un passo -Dai, ti aiuto io.- e, detto questo, prese la gabbietta e gli girò il cappellino sulla testa bacata, come se gli avesse appena risolto il problemuccio delle duecentomila valigie che, fino a quel momento, si era trascinato dietro da solo. Un prezioso contributo, per una che era stata soprannominata "Scrooge" dai compagni di scuola.

    Il siparietto si concluse con i due fratellastri stipati nel corridoio, in attesa di capire da che parte andare per raggiungere le altre due spine nel fianco della diciassettenne: Jericho e Darla. Non si vedevano dalla fine della loro stramba vacanza a Loch Drunkie e, un moto di emozione, le fece battere più velocemente il cuore spinato.
     
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    - Mollami. - sospirò Jericho Rosenabaum dall'Oltretomba, mentre sua sorella continuava a fingersi angelicata per ottenere favori. Quali favori? Jericho non ne aveva idea, non la stava ascoltando. - Zoe, ti imploro. - sembrava una processione religiosa, condensata nei pochi gradini che conducevano il marasma di studentame(?) dalla Piattaforma al treno. A renderla ancor più snervante, l'assillo in cui Zoe si era trasformata dal momento in cui aveva detto "arrivederci" a madre, padre e Damara. - Che cosa c'entro, io?! - esasperato, Richo chiedeva cosa volesse da lui quella cerbiatta aliena ma non era disposto a sentirla. Infatti, si era contraddetto nel domandare spiegazioni e poi calzare le cuffie pimpate che gli aveva regalato Malcolm. Le aveva costruite il suo migliore amico e consentivano di ascoltare la musica anche laddove non era possibile. Purtroppo, malgrado il pezzo nelle orecchie del freak suonasse a un volume dignitosamente altro, non copriva totalmente il ronzio emesso da Zoe. Lei, Geko e Darla erano giunti insieme alla carrozza e Lazo sperava vivamente che la più piccola raggiungesse le sue amiche e lo lasciasse in pace. - Guarda là, ti sta chiamando Chrissy. - ma non esisteva nessuna Chrissy nel gruppo della presto tredicenne, dunque il maggiore chiese muto sostegno a Darlene. Ebbene sì: anche lui poteva diventare un fratello antipatico. Non era nemmeno così strano che accadesse, d'altronde, di sbalzi umorali da adolescente esaurito ne soffriva spesso e, quel giorno, era stato investito da un rodimento supremo. Forse, l'idea di imbattersi nell'ultimo anno. Parentesi che si chiudono, esami, il futuro. O forse si era semplicemente svegliato musone e testa di cazzo.

    - D'accordo, come ti pare. Basta che mi lasci stare per il resto del viaggio, okay? Sì... sì ma... fammi almeno pisciare! - abbandonò lo zaino sbuffando sonoramente e uscì dalla carrozza tutto ingobbito. Torvo, tumulato in una canzone dei Devils in Demiguise, manteneva lo sguardo basso sulle sue scarpe malamente slacciate. Ebbe la fugace fortuna di trovare la toilette libera ma, come da copione, venne punito con una sfiga più grande. Si era appena asciugato le mani quando si rese conto d'aver scordato la bacchetta. Poco male, si trovava nella giacca che aveva prestato a Darla, peccato che presto scoprì di averne bisogno. Era rimasto chiuso dentro a quel cubicolo sobbalzante e non aveva idea di come uscirne. Prima provò a girare la maniglia, poi la sbatacchiò. Spinse, tirò, bussò alla porticina con un pugno e con un piede. Niente. Perfetto. Un Genio del Male. Il Capo Mastro della Furbizia. Il Governatore di Intelligentopoli! L'essere diventato biondo aveva influito sul cervello secondo stereotipo? No, era un coglione a priori.

    - Ehm... aiuto? Aiuto-aiuto? Sono, cazzo, sono bloccato qui dentro! Cazzo! - poggiando la fronte al legno, tirò su con il naso. Le cuffie al collo emettevano note lontane e vibranti. - Cazzo. - mormorò a denti stretti, le narici effettivamente fumanti come da protocollo metamorfomagico. Aveva forse detto "cazzo"?
     
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    C’erano tanti modi per iniziare il suo quarto anno di scuola ma di certo, Garrett, non si aspetta questo.
    Si era alzato stranamente in forma, nonostante la notte insonne passata a terminare i compiti delle vacanze che aveva cominciato due giorni prima, decidendo ch’era tempo per lui prendere la metropolitana da solo.
    Aveva sbagliato linea metropolitana, finendo da tutt’altra parte.
    Aveva quasi dimenticato i bagagli sul vagone.
    Un tizio strano continuava a chiedergli monete, seguendolo lungo le gallerie che portavano da una linea all’altra –Ti sembro uno che possa avere dei soldi?!- si lasciò sfuggire con un tono forse troppo infastidito e… aveva sbattuto il viso contro il muro, perché si era voltato per parlare al tizio e non si era reso conto di cosa avesse davanti.
    Per non parlare della serie eccessiva di sfortune che aveva sofferto in quel viaggio della misericordia fino a giungere a King’s Cross, forse avrebbe dovuto accettare il passaggio di sua madre.
    Forse avrebbe dovuto investigare sul motivo di così tanta sfortuna o forse avrebbe dovuto iniziare veramente a seguire il proprio oroscopo e credere quando leggeva “non è giornata amico, chiuditi in casa e fingiti malato”

    Comunque alla fine giunse alla propria destinazione, sgusciando tra famiglie che salutavano i propri figli, smancerie e pianti che aveva negato alla propria madre dicendole di restare a casa, non aveva scritto nemmeno a Rhysand perché maledizione era grande ormai, aveva quattordici anni.

    Lasciò i bagagli a chi di dovuto, trascinandosi lo zaino dietro mentre saliva sul treno, per tutta l’estate aveva tenuto sotto considerazione i consigli di Clarissa che per quanto folli e assurdi fossero, non erano poi così male, ma questo la Grifondoro non l’avrebbe mai scoperto.
    Guardò cabina per cabina, sempre piene e con gente a cui non aveva mai rivolto parola, addentrandosi sempre di più nel treno che pareva non terminare mai.
    Non appena ne trovò una vuota lanciò lo zaino sui divanetti per poi chiudersi la porta scorrevole alle spalle, si sedette accanto al finestrino, distendendo le gambe davanti a sé e guardò fuori.
     
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    Imprecando a denti stretti, Jesse Vance si chiedeva se quel corridoio fosse sempre stato così angusto.
    Avanzava di vagone in vagone nella speranza di trovare uno scomparto non ancora occupato. Seguiva a ruota James, che camminava davanti a lui, e l’unica cosa che desiderava in quel momento era che l’amico finalmente si fermasse. A quanto pare, però, erano arrivati tardi (in effetti avevano quasi perso il treno), e trovare uno scompartimento che non fosse già occupato pareva pura utopia.
    Jesse aveva ancora le cuffiette infilate nelle orecchie, anche se avevano smesso di funzionare nel momento esatto in cui aveva attraversato il muro di mattoni che separava la Londra babbana da quella magica a King’s Cross, ma non aveva alcuna intenzione di toglierle: attutivano i rumori e facevano desistere le persone dal farsi venire voglia di parlare con lui, e lui… beh, non si era alzato proprio con il piede giusto, quella mattina.
    L’idea che quello fosse il suo ultimo primo giorno di scuola gli faceva provare una certa voglia di vomitare - che lui dissimulava con quel muso lungo e con rispostacce pronte - data dal fatto che non aveva ancora la minima idea di cosa avrebbe fatto una volta entrato a tutti gli effetti nel mondo degli adulti. Sempre che fosse riuscito a passare l’anno, beninteso.
    Schivò giusto in tempo un barbagianni fuori controllo che stava volando impazzito lungo il corridoio dell’Espresso per Hogwarts. Sbuffò. Pensò che dovesse appartenere a un ragazzetto del primo anno, che ancora non sapeva che gli uccelli era meglio lasciarli fuori dal treno. Avrebbero seguito l’Espresso fino alla scuola, senza rischiare una crisi di nervi e senza che gli studenti rischiassero di ritrovarsi con un regalino non richiesto sui capelli e sulle spalle.
    - Senti James scegli uno scomparto e basta, sono stanco di camminare. - Si lamentò.
    Nonostante le cuffiette, si voltò verso sinistra quando sentì dei tonfi provenire dalla porta chiusa delle toilette del treno. Si fermò. Pochi attimi dopo, le percosse vennero accompagnate da un’imprecazione ed una richiesta di aiuto: qualcuno doveva essere rimasto chiuso dentro. Jesse, che era già stanco di trovarsi in mezzo a tutto quel casino, si limitò a prendere un respiro profondo, sconsolato. Poi, tornando a guardare avanti, raggiunse James lungo il corridoio.
    - Okay questo qui è perfetto. - Disse, di punto in bianco. Lo scomparto che aveva individuato era libero tranne che per la presenza di un ragazzino di Grifondoro. Jesse non ci aveva mai parlato, e non era nemmeno sicuro di averlo mai visto. Non che fosse solito prestare attenzione alle persone che lo circondavano. Strinse le labbra, rivolgendo un cenno al compagno di scuola, mentre attendeva che James tornasse indietro.
    - Ehi. Senti, c’è un tipo che è rimasto chiuso in bagno. Vuole che vai a liberarlo. Chiedeva espressamente di te. - Disse, neutro, al ragazzino. Il volto dal pallore funereo non tradiva alcuna emozione. Si passò una mano tra i capelli corvini, prima di prendere posto sulla panca imbottita senza fare complimenti. Allungò le gambe sulla panca di fronte, stravaccandosi per bene sulle sedute. Poi, senza far troppo caso a ciò che accadeva attorno a lui, tirò fuori dalla borsa in pelle un numero della Gazzetta del Profeta e cominciò a far finta di immergersi nella lettura. Non gli restava che attendere che il Grifondoro si alzasse ed uscisse in aiuto del prigioniero. Poi, avrebbe chiuso la porta dello scompartimento e si sarebbe assicurato che il ragazzino non potesse più entrare.
     
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    Da quando era ufficialmente diventato maggiorenne, James Alexander Napier aveva scoperto che la sua pigrizia poteva raggiungere dei picchi inaspettati persino per uno come lui che aveva la vitalità di un bradipo appeso all’albero.
    Da un mese a quella parte infatti, aveva ufficialmente perso la traccia magica su di se e praticamente ogni sua minima azione era stata accompagnata dal movimento della bacchetta: dal versarsi il latte nella ciotola all’allacciarsi le scarpe.
    Sua nonna, l’unica persona della sua famiglia con un minimo di sale in zucca e con la quale a James non dispiaceva poi così tanto parlare (era grazie a lei se per tutti quegli anni aveva avuto la piscina a disposizione per il suo compleanno, senza doversi sciroppare la presenza dei genitori) aveva persino deciso di fargli un regalo speciale: lo aveva portato con sé in un viaggio in America, facendogli visitare le grandi città degli Stati Uniti e scoprire quanto gli Americani potessero essere ingegnosi ma al contempo i più grandi idioti in grado di calpestare terra.
    Era stato un viaggio piuttosto piacevole, non solo perché raramente gli era capitato di spostarsi, se non per andare a visitare l’ennesimo medico o guaritore che si sarebbe rivelato un altro incompetente, ma perché poteva farlo con una persona che, benché più vitale di lui, conosceva piuttosto bene la sua condizione e non si faceva problemi se per qualche ora o per qualche giorno aveva bisogno di rallentare.
    Certo, un po’ gli era dispiaciuto non organizzare la consueta festa di compleanno, ma in fondo poteva farne altre mille quando pareva a lui, per cui non se ne faceva un cruccio troppo grande e poi probabilmente era stata più una perdita per i suoi compagni di scuola che non si erano potuti godere la sua magnifica presenza per tutta l’estate.

    Al contrario di Jesse, James non aveva preso male il fatto che quello fosse il loro ultimo primo giorno di scuola. In realtà il Serpeverde, per quanto non gli dispiacesse passare la maggior parte dell’anno al castello, non vedeva l’ora di smettere di salire e scendere tutti quei fottuti gradini ogni cazzo di giorno (non a caso la materia che preferiva era pozioni, disciplina che gli consentiva di fare uno sforzo davvero minimo per raggiungerne l’aula).
    In quel preciso momento stava facendo lievitare il proprio baule lungo lo stretto corridoio dell’Espresso per Hogwarts (ovviamente, avendone la possibilità, si era risparmiato la fatica di trascinarselo dietro) e infatti avanzava molto più spedito rispetto a Jesse che doveva invece portarlo a mano fino a quando non avessero trovato uno scompartimento vuoto.
    Quando il treno iniziò la sua corsa alla volta della Scozia, poco ci mancò che James non perdesse l’equilibrio, andando a sbattere in avanti contro il baule tenuto a qualche centimetro da terra con la magia. Per fortuna era riuscito ad appoggiarsi a una parete, evitando così di sbattere le ginocchia sul pavimento, ma aveva perso la concentrazione per l’incantesimo e ora il baule se ne stava abbandonato in mezzo al corridoio, in attesa di essere spostato in qualche modo.
    Prontamente, James agitò la bacchetta e colpì un lato del baule, pronunciando la ormai familiare formula “Wingardium Leviosa” solo che, inaspettatamente, l’incantesimo non gli riuscì.

    Vide il flusso magico manifestarsi al di fuori del proprio catalizzatore, ma questo, invece di obbedire al suo volere e far lievitare il baule, esplose e rimbalzò prima contro una delle lampade e poi dritto sulla maniglia della porta di un bagno che forse era anche occupato.
    Vabbé
    James, ovviamente, non se ne preoccupò affatto, era troppo infastidito dal fatto che la sua magia avesse glitchato di nuovo e non riusciva a spiegarsene il motivo.
    Era da un po’ che gli capitavano questi episodi, che erano piuttosto sporadici ma aveva sempre cercato di non dargli peso. Aveva il timore che la fibromialgia, in qualche modo, avesse iniziato ad inceppare anche la sua magia, ma finché non ne avrebbe avuto la conferma poteva ignorare il problema e pensare che le due cose non fossero correlate.
    Era un’idea che faceva paura, perciò era meglio tenerla relegata in un angolo oscuro della propria mente, un nascondiglio in cui si premurava accuratamente di non guardare mai.
    Finché non sapeva, poteva far finta che non fosse reale.

    James appoggiò il piede sul baule e lo fece scivolare in avanti di qualche centimetro, preferendo evitare di usare di nuovo la magia. Riuscì a spingerlo per un metro e mezzo, forse due, ma fu a quel punto che, per grazia di Merlino, Jesse annunciò di aver perso la pazienza e che gli sarebbe andato bene uno scompartimento qualsiasi.
    -A destra abbiamo un matusa addormentato e a sinistra un marmocchio. Cosa preferisci?- chiese, indicando prima nell’una e poi nell’altra direzione.
    Una volta deciso quale dei due fosse il male minore, James aprì la porta spinse un’ultima volta il proprio baule dentro la cabina, ficcandolo poi, sempre con il piede, sotto i sedili.
    -Ciao Logan- salutò piatto il ragazzetto, che tuttavia doveva essere cresciuto durante l’estate, perché quelle sue inutili gambe riuscivano a occupare praticamente tutti i sedili.
    Si voltò verso Jesse, ma anche lui si era già allungato per tutto lo scompartimento, cosa che gli fece guadagnare dapprima un’occhiataccia, ma poi, vedendo l’espressione sul volto del suo (diciamo) amico, questa si tramutò in un sorriso mellifluo.
    James si voltò di nuovo verso Garrett, suo spacciatore non ufficiale di fumetti, e gli prese le caviglie senza neanche chiedere, scostandole malamente dal posto in cui aveva intenzione di posare le sue piccole ma sode chiappette.

    - Ehi. Senti, c’è un tipo che è rimasto chiuso in bagno. Vuole che vai a liberarlo. Chiedeva espressamente di te. -
    -Vero.- confermò, compiacendosi del fatto che effettivamente qualcuno era rimasto chiuso in bagno in seguito al suo piccolo incidente.
    Non tutti i mali vengono per nuocere.
    -Sembrava pure parecchio incazzato…- continuò, incrociando le braccia dietro la testa, di modo che gli facessero da appoggio -Neanche inizia l’anno scolastico e già ti stai mettendo nei guai? Rischi di passare il banchetto a pulire cacche in guferia.- incalzò, proprio per convincerlo a togliersi dalle palle.
    Se il Team Rocket fosse riuscito nel suo intento, sarebbe scoppiato a ridere nel suo solito modo un po’ sguaiato non appena Jesse avrebbe chiuso la porta alle spalle di Garrett.
    Avrebbe poi tirato fuori dalla tasca interna della giacca una delle sue sigarette di cioccolato, lanciandone una al suo compagno.
    Gli occhi nocciola si spostarono sulla campagna inglese che sfrecciava fuori dal finestrino e finalmente si lasciò andare un sospiro rilassato.
    Era l’ultima volta che affrontava quel viaggio, ma ciò che veramente gli importava è che per un po’ si sarebbe potuto limitare semplicemente a vegetare su quegli scomodi ma familiari sedili.
     
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    Grifondoro
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    “La serenità è bella ma è la prima a morire.”

    Chi diavolo gli ripeteva sempre quella frase? Era famosa? L’aveva detto qualcuno di importante e ora gli sfuggiva il nome? Oppure l’aveva letta da qualche parte e aveva scordato il libro…
    Va beh, ovunque l’avesse letta o ascoltata, Garrett pensò a quanto veritiere fossero quelle parole.

    Un minuto o forse due minuti di paradiso le aveva passate poi, come due Dissenatori o mostri usciti da qualche libro di Stephen King e quindi assetati di sangue innocente –e vergine-, Garrett guardò quella povera e santa pace distrutta dall’arrivo di James Napier e Jesse Vance. Non è che avesse paura, quell’estate si era alzato ancora di più e la pubertà l’aveva colpito a segno un po’ come a Black che si ritrovò con un vetro ficcato nell’occhio, ma anche se si fosse alzato e impuntato che quella era la sua cabina (l’egoismo dei Logan) restavano due contro uno.
    -Ti ho sentito comunque- borbottò in risposta a James per il marmocchio, rendendogli il più difficile possibile il suo voler togliergli le gambe dal posto di fronte –Ciao- rispose però educatamente ad entrambi, perché si il loro difetto era essere Serpeverde, ma erano comunque umani.
    Più o meno.

    - Ehi. Senti, c’è un tipo che è rimasto chiuso in bagno. Vuole che vai a liberarlo. Chiedeva espressamente di te. -
    -E che vuole da me?- chiese guardando Vance, confuso più che mai. James invece non fece altro che continuare a parlare, amplificando il timore che fino a qualche istante prima non esisteva in Garrett; possibile che avesse combinato qualcosa senza rendersene conto? Non si mosse dal proprio posto, anzi pareva perso totalmente nel suo mondo nel cercare di capire che diavolo avesse fatto per poter far incazzare una persona, a tal punto da doverla raggiungere.
    Quindi verificò tutto il percorso che aveva fatto dalla metropolitana fino a lì: era sceso dalla metro, aveva chiesto di passare, nonostante il gruppetto di suore non si mossero, iniziando a far baccano con i bagagli per scendere in tempo, aveva preso le scale mobili, schiacciandosi al lato per non dar fastidio e aveva fatto tutto il tragitto fino al binario in totale silenzio.
    Si era solamente fermato per prendere qualcosa da mangiare perché il suo stomaco brontolava, poi aveva raggiunto il binario e fine della storia, non aveva dato fastidio a nessuno, non aveva parlato con nessuno perciò che diavolo voleva questo da lui?
    -Che palle- brontolò alzandosi dal posto, avvicinandosi verso la porta ignaro di quello che sarebbe successo nella sua assenza.

    Camminò lungo il corridoio, facendo spazio agli altri studenti così che potessero passare mentre arrivava pian piano alla sua destinazione, non gli ci volle molto tuttavia trovare quel bagno, perché bastava cercare una porta senza la maniglia; per qualche secondo esitò prima di parlare –Ehi va tutto bene?- chiese incerto, piegandosi sulle gambe per afferrare la maniglia a terra –Aspetta- avrebbe detto nuovamente prima di tentare di rimetterla al proprio posto ma ogni volta che pensava di averla messa giusta, essa cadeva.
    Ed erano più le lievi imprecazioni che uscivano dalla bocca di Garrett che il successo della missione di soccorso.
    Tirò fuori la bacchetta, pronto a castare un semplice alohomora, prima di fermarsi: forse non era una buona idea, pensò.
    No genio, non lo è eccome quindi la rimise a posto, trovandosi nuovamente punto a capo
    -È caduta la maniglia- disse inizialmente -E non posso usare la magia… a proposito, mi hanno detto che mi cercavi è vero?- per uno che si trovava chiuso in bagno e l’altro che cercava di aiutarlo senza sapere come fare, chiarirsi per qualsiasi problema Garrett avesse causato, non era una brutta idea. Specialmente perché non aveva idea di come fosse fatta la persona dall’altra parte.
    Iniziò a giocare con la maniglia facendola rimbalzare nella propria mano, facendola cadere un paio di volte -magari appena passa la signora del carrello, può aiutarci lei- parlò nuovamente.
    Non aveva idea di quanti minuti passarono ma sapeva soltanto ch’era stanco di stare in piedi perciò si sedette contro la porta chiusa. Aveva iniziato a blaterare di cose a caso, forse così la rabbia de tipo misterioso si placava o forse l’aumentava, chi lo sa. fatto sta che dopo un’eternità sentì il rumore del solito carrello e la voce della signora in lontananza che si fece sempre più vicina.

    Ci furono minuti di puro silenzio, il sorriso innocente sul volto di Garrett che tentava di spiegare alla signora cosa fosse successo e che lui non centrava nulla, poi le spiegò che non poteva usare la magia perché aveva ancora la traccia e alla fine la vide agitare la bacchetta.
    La porta di aprì e Garrett attese.
     
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    Il suo destino era segnato.
    Marchiato a fuoco sulla vecchia pellaccia del Mondo.
    Volete sapere come sarebbe andata? No? E io ve lo dico lo stesso? Jericho Rosenbaum sarebbe rimasto chiuso in quel maledetto bagno fino all'esaurirsi del suo ultimo giorno terreno. A quel punto, forse, il suo spirito si sarebbe librato oltre tutto ciò che è concreto ma il suo corpo, presto carcassa, sarebbe marcito in piedi fra le pareti asfittiche della toilette errante. Ecco. Quello, il Fato del povero diavolo che ormai si immaginava protagonista degli scenari più angoscianti che la sua mente psichedelica potesse evocare. Fotogrammi orridi si susseguivano in un crescendo esponenziale d'ansia: Richo non era claustrofobico ma il prolungarsi delle circostanze gli stava stringendo un nodo in gola. Il respiro aveva assunto un ritmo irregolare mentre il cuore si scaldava per il crossfit. Possibile che nessuno in quel cazzo di treno avesse bisogno del bagno? Che nessuno lo avesse sentito latrare disperato e fosse disposto a intervenire? D'altronde, da quanto si trovava in carcere? Almeno un lustro, no? Almeno!

    Viste le lodevoli condizioni igieniche del gabinetto - non che gli importasse più -, Lazo si sarebbe anche rannicchiato se soltanto avesse rimediato abbastanza spazio. Invece, semi-seduto contro il lavandino minutaglia, si rassegnava a ribadire l'ennesima richiesta di soccorso. Improvvisa fortuna volle che avesse un orecchio scoperto dalle cuffie e che qualcuno, là fuori, ci stesse versando dentro una domanda salvifica. Il giovane werido non credeva in Dio ma, in quel momento, si sentì in dovere di rivolgergli uno sguardo brillante e commosso. La stessa voce che chiedeva se stesse bene - una voce giovane, da ranocchio, tipica dello sviluppo maschile - lo informò che era caduta la maniglia. - Sì! Sì, cioè, no! A me serve solo qualcuno che mi aiuti a uscire da qui... - ribatté confuso dal profondo della gola. Il Tassorosso, dal canto suo, aveva pregato che qualcuno lo notasse ma non era schizzinoso né selettivo: non gli serviva una persona nello specifico ma un qualsiasi benefattore che lo aiutasse. Qualcuno doveva aver coinvolto il ragazzino in uno scherzo e, quel qualcuno, stava indirettamente facendo al freak un enorme favore. In ogni caso, per quanto il giallo-nero ricordasse concesso l'uso della magia sull'Espresso, preferì non contrariare l'unico che se lo fosse filato; attendere un adulto munito di bacchetta non avrebbe poi fatto la differenza. Quindi, lo sconosciuto iniziò a imbastire una conversazione e disse di chiamarsi... Garrett? Sì, doveva essere così. Lazy-Boy ascoltava, ogni tanto mugugnava o sghignazzava, cercava di restare sul pezzo. Se fosse stato d'umore migliore, avrebbe di certo assecondato il suo eroe con più entusiasmo ma barcollava a un soffio dalla crisi di panico e voleva soltanto uscire di lì.

    - Garrett? Ci sei? - all'improvviso, il silenzio. Densi, eterni secondi di silenzio prima che la luce in fondo al tunnel si palesasse in tutta la sua gloria. Inutile specificare che il biondo avesse appoggiato l'orecchio alla porta proprio un attimo prima che questa venisse aperta. Per poco non cadde ma recuperò in tempo l'equilibrio esultando a denti stretti. I suoi occhi nerissimi si posarono, in primo luogo, sulla signora del carrello la quale, conoscendolo bene, non si stupì di incontrarlo in una simile circostanza. Sospirò ruotando i bulbi oculari. - He-heeeeilà, che piacere! Se lo lasci dire, è uno schiant... esimo. - ma stai zitto, deficiente. La metà inferiore abbigliata con la divisa e la superiore coperta da cardigan e t-shirt dei Tenacious D, inquadrò la figura di colui che gli aveva risolto il problema e gli rivolse un ampio sorriso tutto fossette. - Allora, campione - ironizzò nello stile dei vecchi film americani (babbani), poi gli rifilò una pacca sulla spalla. - Che ti piace? Mi hai salvato da un cesso della mala, permettimi di sdebitarmi. - e mentre lui stesso spiava il contenuto del carrello più ambito dagli studenti, fece caso all'insolita presenza di ben due creature viventi al suo interno. Nel piano inferiore, un coniglio immacolato. Sul manubrio un... tucano. Mh. Entrambe le bestiole gli erano talmente familiari che il volatile si esibì in uno dei suoi gorgheggi di saluto e il diciassettenne annuì. - Senta, da quando il gemellaggio con il Serraglio Stregato? - scherzò all'indirizzo della commerciante dall'aria sorpresa. I fratelli Tequila e Mezcal, rispettivi padroni degli animali, dovevano aggirarsi nei pressi. E Darla, invece? Per quale cazzo di motivo Darla non era venuta a recuperarlo a cavallo del suo asino?!

    Edited by Jericho L. Rosenbaum - 14/9/2023, 17:42
     
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    -Su, su, è tutto allenamento. Non sarai mica stanco...-



    Due sopracciglia si sollevarono perplesse da sopra la pila di valigie e borse che il cubano teneva tra le braccia, mentre Amaro, che era in una delle due gabbiette che Papi reggeva con i mignoli, si esibì in un cinguettio che assomigliava fin troppo ad una risata. –Nooo, stanco mai, Ollie Pocket. Certo, non mi farebbe schifo vedere dove metto i piedi.- rispose, prima di lanciare come poteva un’occhiataccia al pennuto in voliera –E non prendere le sue parti, tu!-

    -Dai, ti aiuto io.-



    Falsa come un Goblone bucato, la Serpe gli levò soltanto la gabbia contenente Cipolla, non prima di avergli voltato il cappellino giallo senape –perfettamente abbinato alla divisa da Tassorosso – per far sì che il campo visivo del ragazzo si ampliasse dello 0,03 per cento. –Beh, grazias. Ora è mucho mejor así.- borbottò Papi con una smorfia sarcastica sulle labbra. –Però forza, che se sto ancora in piedi qui divento parte della ciurma parte della nave. Darla e broccoletto saranno qui in uno degli scompartimenti.- un sorrisone aveva ora occupato metà del viso abbronzatissimo del ragazzo nel nominare i loro due amici. Non si vedevano dalla vacanza al lago, in cui Pedro e Jericho erano riusciti a farsi rincorrere da un branco imbestialito di Ragazze Scout che i due dementi avevano provato a spaventare dopo aver trovato il loro accampamento nei boschi, intente a raccontarsi storie dell’orrore. Si erano beccati pure una pioggia di marshmellow incandescenti lanciati con le fionde, ma almeno aveva significato che Darla gli applicasse un po’ di Dittamo sulle ferite di guerra.
    I due Messicani a Metà passarono di fianco a molti scompartimenti occupati, compreso uno in cui due Serpeverdi del loro stesso anno avevano appena cacciato fuori un povero Grifo del quarto, che gli passò accanto sconsolato. Un’occhiata alle facce dei due bastò a far capire al battitore con chi avesse a che fare. –Cabrones…- Nonostante la voglia di spalancare la porta dello scompartimento per il puro gusto di dare loro fastidio, Papi preferì andare oltre, fino a intravedere i capelli biondissimi di Darla sbucare da una porta mezza chiusa. –QUERIDA!- restituendo senza troppo garbo i bagagli alla sorella e mollandoi restanti sul lungo sedile in tessuto, il cubano abbracciò con trasporto la gallese. –Il mio brontosauro dove si è cacciato?- dopo aver liberato la ragazza dal suo abbraccio ed essersi guardato intorno in cerca dello scozzese, Papi riportò l’attenzione sulla bionda -Allora, pronta per l’ultimo anno? Quest’anno facciamo il culo a tutti, vero Amaro?- uno strano silenzio ci fu in risposta alla sua chiamata –Dai, non fare l’offeso perché ti ho rimpro…- il ditino sottile di Darla puntato sulla voliera vuota però fu abbastanza per zittirlo.

    -Penso che il tuo tucano se la sia data a gambe… anzi, mi sa che sono fuggiti in due.-



    Due sportellini aperti e una messicana incazzata nera campeggiavano ora nel campo visivo del cubano. Non che l’espressione della sorella fosse cambiata particolarmente, ma un fratello lo sa. –Adesso li ritroviamo, Olive Garden, non ti preoccupareAAAMaroooOOO! CIPOLLAAA!-
    Tre testoline si affacciarono una dopo l’altra dalla porta dello scompartimento come in un episodio di Scooby Doo: una bionda, una corvina e una riccioluta che si guardavano intorno con fare indagatorio: ed infatti… -Eccoli!!- Dal carrello della signora dei dolci sbucavano una codina battufolosa ed un becco giallo.
    -Si fingono dei macaron fuori misura!!- esclamò con fare tragico Papi, prima di lanciarsi al loro inseguimento e di vedere un Jericho emergere dal bagno con un’espressione sconvolta degna di un moderno Cast Away. Doveva aver mangiato troppi dolci, se ci stava dentro da così tanto tempo. –Presto brownie, presto! Abbiamo due evasi sul treno!-

    Ma prima che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, i novelli Bonnie e Clyde saltarono giù dal loro mezzo di trasporto improvvisato e se la diedero a gambe. O forse a zampe. In ogni caso, la Scooby Gang aveva un altro caso da risolvere.
     
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    - Zoo, lascialo in pace, dai. Non vedi che sta diventando un vecchio burbero? -

    Non appena la porta dello scompartimento si chiuse dietro le spalle ricurve di Jericho Rosenbaum, uno sguardo ammonitore non perse tempo ad inchiodare la sorellina di quest’ultimo, là dove la sua schiena stava mano a mano sprofondando nel sedile consumato. L’unica variante era che Darlene Earnshaw, in modalità Signorina Rottermeier, non avrebbe convinto manco gli acari della polvere e infatti, dopo interminabili secondi entro i quali gli sguardi delle due ragazze si studiarono attentamente, una fragorosa risata andò ad armonizzarsi tra le due. Darla si coprì la bocca con le mani, prima di scuotere ripetutamente la testa e dare un contegno alla propria antipatia. Capiva Jericho, davvero, ma, in fondo, era anche lei una sorella minore e, talvolta, quel lato dispettoso aveva la meglio sulla solidarietà.

    Mentre chiacchierava con Zoe del più e del meno, lanciava di tanto in tanto occhiate oltre il finestrino. I Rosenbaum e Marius erano rimasti per un po’ sul binario, guardando i tre salire sul treno, ma in quel momento non era chi Darla sperava di veder apparire, aldilà del vetro. Ogni tanto, a seconda della luce, le capitava di scorgere sprazzi del proprio riflesso e l’immagine che le veniva restituita non aveva niente a che fare con l’espressione spaurita che, sette anni prima, le era capitato di cristallizzare tra gli aloni e la condensa. Le paure, ora, erano altre, ma affiancavano altrettante consapevolezze in un’armonia che solo l’adolescenza le avrebbe permesso di indossare con così tanto agio. E, soprattutto, ora era bionda.
    La più piccola di casa Rosenbaum s’era talmente compiaciuta del buon uso che aveva fatto della tinta passatale sottobanco, che quella mattina s’era offerta di sistemarle i capelli prima di recarsi in stazione. Niente di trascendentale, a dire il vero - aveva dovuto trovare un compromesso accettabile prima che le strappasse i pochi capelli rimastole con la sua ben poca delicatezza - ma le due ciocche che le aveva intrecciato ai lati del viso le piacevano molto e l’avevano fatta uscire di casa senza smorfie rivolte al proprio riflesso.

    Erano passati ormai dieci minuti, e di Jericho nessuna traccia.
    - Senti, Zoo, perché non vai a vedere se è arrivata qualcuna delle tue amiche? Io vado a cercare tuo fratello, sperando non abbia deciso di scaricarsi nel water per la disperazione - non senza proteste e sbuffi, la tredicenne alla fine accettò di uscire in avanscoperta mentre Dente di Leone si preparò mentalmente ad affrontare la traversata del corridoio dove gruppi di studenti ancora arrivavano dalla parte opposta, pronti a schiacciarla pur di passare e accaparrarsi uno scompartimento vuoto. Appena messa la testolina sbiancata fuori dalla porta scorrevole, tuttavia, non le capitò una sorte tanto migliore. Un groviglio di muscoli ed esuberanza mise un punto alla sua missione prima ancora che questa cominciasse. - …Papi? PAPIIII!!! - non appena realizzato a chi quelle braccia appartenessero, ricambiò l’abbraccio con altrettanto entusiasmo, iniziando a saltellare sul posto come una molla impazzita. Un trattamento non tanto diverso toccò alla sua migliore amica, spottata nella sua aura grigia dietro le spalle del fratello. Pur non potendo divincolarsi dalla presa ferrea di quest’ultimo, allungò comunque le mani dietro le spalle del diciassettenne, con l’intento di raggiungerla e agguantarla. - OLLIEEEEEVIENIQUI -

    Stava giusto iniziando a lagnarsi di quanto le fossero mancati e del patimento che quelle settimane avevano rappresentato, dopo il distacco obbligatorio al tramonto della loro vacanza, quando un dettaglio anomalo attirò la sua attenzione. A quanto pareva non era stata la sola a maturare pensieri evasivi, quell’estate, e presto fu il panico: Amaro e Cipolla s’erano dati alla macchia.
    I proprietari dei due animali e così Darla, di conseguenza, s’erano attivati in così fretta e furia che nell’intrico di gambe c’era rimasta fregata. Non fece nemmeno in tempo a muovere un passo in corridoio che subito ci finì lungodistesa. Inciampata dove? E chi poteva dirlo. Potevano essere stati tanto i piedi di Pedro quanto il nulla cosmico. Da quella prospettiva, comunque, ritrovò Jericho, in lontananza. In uno slancio di drammaticità, il braccio sinistro di Darla si allungò in avanti come per raggiungerlo ma poi, stella del teatro shakespeariano, si lasciò accasciare sul pavimento in modalità panda.

    - Andate avanti voi, non pensate a me…Prendeteliiii! -

    Edited by Darla Earnshaw - 15/9/2023, 09:47
     
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    Quella era la fine che faceva una povera e incompresa Serpeverde in mezzo a tanti Tassorosso: persa nel totale caos e impelagata con tutti i mocassini (con la suola rialzata) in una missione di soccorso. Da quando Olivia Moriarty aveva accettato l'affetto invadente e smisurato delle sue tre personali spine nel fianco (rispettivamente fratellone, migliore amica e fidanzatino), si era spesso ritrovata a dover prendere in mano le redini della situazione o, più semplicemente, a tirare loro le orecchie, a bacchettarli, rimproverarli e fulminarli con una delle sue famigerate occhiate al vetriolo. Ecco, anche in quell'occasione - lontano dalla dimora scricchiolante su Loch Drunkie, lontano dal calore estivo e dalle libellule - Evvivia avrebbe vestito i panni del generale dietro la collina, per ristabilire un minimo di ordine. La cosa che faceva ridere era che sia Iago, sia Darla, sia Jericho la staccavano come minimo di quindici centimetri, dunque come al solito avrebbe dovuto impegnarsi più del dovuto, per risultare intimidatoria abbastanza da chetare i bollenti spiriti dei tre giallo-neri.

    Le intenzioni erano chiare, ma perché si era ridotta a riflettere su come gestire il marasma creatosi nell'arco di pochi istanti? Ricapitoliamo: sì, i due figli di Adéla avevano trovato lo scompartimento dove i fratelli Rosenbaum e la Earnshaw si erano rifugiati ma, una volta individuata Darlene ed essersi fatta brutalmente braccare dai suoi tentacoli abbracciosi, Liv si era resa conto che Zoe era andata alla ricerca dei suoi compagni di classe e Lazzaro... dov'era Lazzaro? Non era ancora resuscitato, dopo la vacanza tra amichetti? Facendo pat pat sulla testolina biondissima di Dente di Leone, il Nerino del Buio si era stretta nelle piccole spalle e le aveva riserbato un mezzo sorriso, atto a tradurre la contentezza che albergava dentro la sua sagoma tascabile: -Mi avete già stancato.- aveva dunque mormorato, sgranando appena le iridi peciose, in una sorta di battuta (?) rivolta sia alla gallese, che al sangue del suo sangue, pronta ad accomodarsi elegantemente nel posto vicino al finestrino... E invece no, figurati, perché era subentrata una nuova, mirabolante problematica: Amaro Tucano e Cipolla avevano deciso di giocare a "Fuga dall'Hogwarts Express" ed erano schizzati fuori dalle gabbiette, suscitando nel Mastino Messicano un improvviso desiderio di strangolare il suo fratellastro. Santiago doveva ringraziare che la luna piena era ancora piuttosto lontana, altrimenti sarebbe diventato uno spiedino succulento per le sue fauci fameliche.

    Allora, il suddetto e famoso caos: Papi, Darla e Olivia erano usciti dal proprio scompartimento in fretta e furia per trovare i due animaletti e sì, li avevano trovati, in compagnia della signora del carrello. E di Garrett Logan. E di Lazy-Boy con l'aria di uno che pareva ne avesse subite fin troppe. Non avevano fatto in tempo ad acciuffare le bestiole che, quest'ultime, avevano deciso che la pausa dolcetto fosse finita. In tutto ciò, la Earnshaw aveva deciso di trasformarsi in un tappeto in pelle umana, rovinando a terra, mentre Iago si era lanciato alla rincorsa forsennata dei due famigli. E Scrooge, in tutto questo? Cercò di accantonare la tachicardia da stupida adolescente che la colse alla sprovvista nell'incrociare lo sguardo abissale di Jericho e, inspirando profondamente per mantenere i nervi saldi, tornò dalla sua migliore amica, tendendole una manina per aiutarla a tirarsi su in piedi: -Un buon soldato non abbandona mai un compagno. Lo dicevano in Toy Story, deve essere la verità.- decretò, annuendo poi con la testolina corvina. A proposito, era il caso di raccogliere la lunga chioma in una coda alta e riprendere le sorti della missione, dunque si allacciò i capelli e, pigiando i palmi sulle spalle della biondina, proferì: -Vado a raccattare un po' di manovalanza.-

    Dove avrebbe trovato due paia di forti braccia strappate all'agricoltura, se non nello scompartimento in cui, in precedenza, lei e Pedro avevano scorto Napier e Vance? Ecco, appunto: probabilmente tutto il casino che c'era in corridoio, ma a lei non importava. Arrivata davanti alla porta scorrevole, la aprì con uno scatto secco e rivolse ai suoi due concasati un'occhiata serissima (e un po' inquietante), il mento sollevato e l'espressione da bambola assassina disegnata sui lineamenti squadrati: -Ciao. Ci servite per acchiappare Cipolla e Amaro. Hop, hop, hop.- asserì, senza aggiungere altro. Né su chi fossero questi fantomatici "Cipolla e Amaro", né su chi, a parte lei, cercasse il loro aiuto. Era già filata via, lasciando ovviamente la porta dello scompartimento spalancata, prendendo la mano di Darla tra le sue dita sinistre e trascinandosela dietro. Superò il carrello dei dolci - resistendo alla tentazione di raccogliere un paio di cioccorane - e si lanciò alla ricerca dei due fuggitivi, seguendo a ruota il cappellino giallo di suo fratello. Questo, dopo essere passata di fianco al fratellino di Rhysand, a cui aveva rivolto una breve strizzata d'occhio, e a Rosenbaum a cui invece aveva stampato un bacino al mirtillo sulla guancia scavata. Chissà cosa avrebbe pensato il preside Fox-McClan di tutta quella baraonda: il settimo e ultimo anno della maggior parte dei coinvolti in quel teatrino era cominciato in gran spolvero.
     
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    Se c’era una cosa che James aveva imparato nel corso di tutti quei lunghi anni passati in compagnia del dolore, era che tanto più tempo faceva passare prima di abbatterlo, tanto più era difficile che esso si placasse.
    Dal momento in cui si era lasciato andare sui sedili, James aveva già iniziato ad avvertire la familiare presa dei reumatismi sulle proprie articolazioni, ma aveva cercato in tutti i modi di ignorarli.
    Aveva “fumato” la sua sigaretta di cioccolato (il che voleva dire che aveva dato un morso e poi soffiato via il fumo blu con il vago sapore di mirtillo dalle labbra) e aveva deciso che quella piccola quantità di nutrimento sarebbe stata sufficiente al suo stomaco per sopportare il lieve antidolorifico che si sarebbe apprestato a prendere di lì a poco.
    Ormai la sua cura era un continuo alternarsi di medicine babbane e magiche, un placido tentativo di evitare di assuefarsi a entrambe.
    James non avrebbe saputo dire se stesse funzionando, tuttavia al momento quello era il meglio che potesse fare ed era essenziale trascorrere quel lungo viaggio quanto più in forma gli fosse possibile, o non sarebbe neanche riuscito a scendere dal treno.
    Così, da una tasca interna della giacca, tirò fuori una pasticca di antidolorifico e la lanciò in aria, prendendola poi al volo con la bocca.
    La mandò giù senza neanche bisogno di bere, giusto in tempo perché la quiete che lui e Jesse stessero sperimentando non venisse bruscamente interrotta da Olivia Moriarty in persona.

    Fu con una smorfia che James accolse l’irruzione della concasata.
    Gli occhi nocciola del giovane si spostarono su quelli più scuri di lei, sorreggendo quello sguardo assassino con finta noncuranza.
    Di fatto come poteva temere che qualcuno gli facesse del male, quando era il suo corpo stesso quello a rivoltarsi contro il suo legittimo padrone?
    Oltretutto, nel momento stesso in cui la porta della cabina si era aperta, insieme alla figura inquietante della ragazza era entrato un frastuono impressionante, sembrava che in corridoio stesse succedendo il finimondo.
    James, tuttavia, non fece in tempo ad aprire la bocca per chiedere delucidazioni che quella era già sparita.
    -Ma tu hai capito che ha detto?- chiese voltandosi in direzione di Jesse mentre con un verso sofferente si metteva in piedi.
    Mancava solo che esordisse con un bell’ “oplà” e il quadro del perfetto sessantacinquenne sarebbe stato completo.

    Chiaramente, James non si era certo messo in piedi per aiutare Olivia.
    A dire il vero era già un miracolo che si fosse mosso dalla sua posizione comoda, ma era del tutto intenzionato a mettersi a dormire almeno per qualche ora ma sarebbe stato impossibile riuscirci con tutto quel marasma.
    -Quelli del primo quest’anno sono proprio scatenati…- commentò, sempre lanciando un’occhiata alla sue spalle verso Jesse, sperando di trovare un alleato in quel giro di lamentele.
    Tuttavia, quando il suo naso aquilino fece capolino dallo scompartimento, gli fu chiaro che non ci fosse nessuno del primo anno in circolazione, anzi.
    James era piuttosto sicuro di non aver mai visto il corridoio dell’Espresso per Hogwarts così affollato: stipati in quello spazietto minuscolo c’era per lo più tutta gente del suo stesso anno e non solo, la maggior parte di loro apparteneva anche alla non-così-nobile Casa di Tassorosso.
    Questo non metteva in chiaro alcunché di tutta quella situazione, né del perché Olivia avesse bisogno di un amaro e di una cipolla (o di una cipolla amara? Qualcosa per una pozione magari? O forse aveva detto “AmarA” ed era lei quella che stava cercando? Forse Amara aveva delle cipolle per Olivia?)

    In ogni caso, James non aveva la minima voglia di mettersi a cercare proprio nessuno, era probabile che lei e Grace fossero lì da qualche parte: il treno si poteva percorrere solo in due sensi, se Olivia avesse avuto così tanto bisogno di ortaggi o della Corvonero era certo che sarebbe riuscita a trovarla da sola (o meglio, in compagnia di Darla) le sarebbe bastato semplicemente camminare.
    -OHI! Ma volete fare piano?!- praticamente urlò in direzione della folla, le dita inanellate già aggrappate alla maniglia dello scompartimento e pronta a spingerla, quando i suoi occhi si posarono sull’unica cosa che poteva convincere James a uscire dal suo nascondiglio:
    il carrello dei dolci.

    Nulla, assolutamente nulla riusciva a spingere James a fare un po’ di movimento quanto una bella dose di zucchero raffinato.
    Sul volto perennemente annoiato del diciassettenne subito si dipinse un sorriso entusiasta, quasi ferino.
    -Ferma, ferma!- esclamò in direzione della signora del carrello, mentre a grandi falcate si avvicinava a lei e al nutrito gruppo che le stava intorno.
    Infilò le dita in una tasca dei jeans, era più che certo di averci lasciato almeno un paio di galeoni dentro.
    Era talmente accecato dalla voglia di ingurgitare altri zuccheri che non si preoccupò nemmeno di chiedere a Jesse se anche lui avesse voluto approfittarne.

    -Salve vorrei tre scatole di cioccorane, una di api frizzole e… ah. Logan! Ci rivediamo!- esclamò, quando il testone scuro del Grifondoro comparve nel suo campo visivo.
    Lo degnò a malapena di uno sguardo mentre indicava alla donna tutte le altre leccornie di cui si sarebbe abbuffato da lì fino all’arrivo al castello.
    -Com’è finita poi, sei riuscito a tirare fuori lo sfigato dal bagno?- gli chiese ancora senza degnarlo di uno sguardo, troppo impegnato a contare i soldi da consegnare all’ormai l’unica donna dei suoi sogni.
    Scartò immediatamente una liquirizia e la addentò con malagrazia, strappandone un pezzo e tirandolo tra i denti. Solo in quel momento si rese conto che Garrett non era da solo nel corridoio, ma visto che era passato un bel po’ da quando lui e Jesse lo avevano sfrattato, non poteva certo immaginare che lo sfigato fosse la stessa persona che gli faceva compagnia in quel momento.
    No, James era troppo distratto per anche solo contemplare quella possibilità, occupato a masticare con aria annoiata il suo snack.
    Poco dopo gli occhi castani si soffermarono brevemente sul viso di -se non andava errato- Rosenbom (o qualcosa del genere) e fece un cenno di assenso in direzione del suo petto.
    -Bella maglia.- commentò, stranamente senza alcun cenno di sarcasmo a sporcargli i lineamenti spigolosi del viso.
     
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    Poteva essere sincero? Garrett non aveva più alcuna idea di quello che stava succedendo. Avrebbe potuto sforzarsi, cercare di fare il punto della situazione senza sembrare quello che stava facendo il punto della situazione, ascoltare e guardare quello che gli stava capitando davanti senza apparire così palesemente perso e confuso.
    Ma nulla.
    Il quattordicenne era ancora bloccato alla rivelazione del ragazzo chiuso nel bagno, di come il suo sguardo si era appena sollevato fino a giungere la fine della sua altezza e poi gli bastò sentire “Che ti piace” riferito al carrello pieno di cibo per non capire più un cavolo.
    Il resto non contava più, il treno poteva anche bruciare o i ragazzi potevano pure prendersi a pugni che nulla gli avrebbe fatto battere ciglio per quanta concentrazione stesse mettendo Garrett a scegliere tra le delizie di quel carrello.
    Era fregato, il suo maledetto tallone d’Achille così palese e sciocco che probabilmente Clarissa si sarebbe infuriata dopo tutti gli “insegnamenti” che gli aveva dato eppure non poteva farci nulla, adorava mangiare e adorava tutto ciò ch’era poco sano e rivoltante, adorava abbuffarsi fino ad avere lo stomaco pieno dormendo male e con i dolori alla pancia piuttosto che risparmiarsi una volta ogni tanto una scorpacciata di patatine al formaggio piccanti.
    Sua madre era arrivata a non comprare più nulla e suo fratello? Aveva deciso di diventare una persona per bene e non farsi corrompere più così facilmente e poi aveva così tanto la testa altrove che una volta gli aveva passato le chiavi della moto con una tranquillità disumana. L’unico che lo accontentava era suo padre, ma era più una strategia –ti accontento così mi lasci stare- che altro.

    Quindi, la sua risposta verso il ragazzo alto fu un borbottio distratto, una specie di –Ma non dev, ma se ci tieni okay- gli occhi ormai catturati dal carello delle meraviglie ignorando tutto ciò che gli capitava attorno. Era come se le voci attorno a sé si fossero ovattate, facendo da piccolo sfondo in quella meravigliosa storia d’amore tra lui e il carello della vecchia signora.
    Aveva sentito qualcuno parlare con un accento spagnolo, nominato un tucano che per un brevissimo momento catturò l’attenzione del sottoscritto perché non si ricordava assolutamente che forma avessero i tucani, ma quel pensiero venne subito scacciato dalla sua mente non appena le parole macaron e brownie raggiunsero il suo udito.

    ”Logan! Ci rivediamo!”
    Tuttavia fu una voce che conosceva abbastanza bene a distoglierlo dal piccolo sogno ad occhi aperti, riportandolo alla realtà e cielo, era meglio restarsene a fantasticare sulla Fabbrica di Cioccolato che accorgersi del bordello intorno a loro.
    Garrett non ebbe veramente idea di cosa diavolo fosse successo ma l’unica cosa che riusciva a focalizzarsi fu il volto di James e della noncuranza con cui gli avevano fatto credere di avere fatto un disastro ancor prima di aver messo piede ad Hogwarts. Non era arrabbiato o forse si, non lo sapeva. Non era da lui infuriarsi e urlare contro a tutti, piuttosto stava in silenzio, sopportava e poi si metteva a leggere fino a quando non si rendeva conto di non essere più infastidito, ma era appena entrato nella fase adolescenziale e tutto quell’autocontrollo se ne stava andando pian piano a farsi una bella vacanza alle Maldive senza mai più tornare. In più non aveva visto Jesse perciò qualsiasi cosa fosse che sentiva dentro di sé era tutta indirizzata verso James.
    Dannazione dopotutto non era più un poppante, aveva quattordici anni ed era alto per la sua età, non era nemmeno secco o fuori forma perché si teneva allenato per il quidditch quindi per quale diavolo di motivo lo trattavano come se fosse un’idiota? Soltanto perché a volte se ne usciva con commenti totalmente sconnessi tra loro e aveva la testa fra le nuvole non significava che fosse totalmente stupido, no?

    Che bella la pre adolescenza. Gli ormoni a palla, l’umore che cambia ogni trenta secondi…

    -L’unico sfigato che vedo, sei tu- borbottò, non avendo alcun piano. Non attaccava briga dopotutto, certo aveva una lingua lunga e non se ne stava mai zitto ma non si buttava in mezzo al caos come faceva suo fratello, perciò sperò che quello bastasse per far scattare la miccia addormentata o in caso contrario, avrebbe fatto finta di nulla eppure il suo corpo sapeva già dove voleva andare a parare.
    Era come se la sua mente già sapesse e lavorasse in modo tale da non fargli comprendere a pieno del piano malefico ch’era stato appena messo in atto. Era cosciente ma non cosciente.
    La sua mano si mosse all’interno della tasca, sfiorando ancora una volta il legno della propria bacchetta, voleva dare una lezione a James ma senza apparire colpevole tanto meno diventare cattivo, in realtà…in realtà non aveva alcuna idea di cosa voleva fare, pensava che impugnare la bacchetta gli bastasse per capire cosa fare ma in realtà non ne aveva alcuna idea, in più si sentiva un’idiota a tenerla in mano senza agire.
    Eppure qualcosa accadde.

    L’aria del cattivo ragazzo non gli apparteneva, assomigliava più a un golden retriver di un golden retriver stesso e poi James era innocuo. Era arrogante e fastidioso, ma pur sempre innocuo e ogni tanto lo faceva ridere perciò non c’era bisogno di peggiorare la situazione. Fece per rimettere a posto la bacchetta e ciò causò un lieve movimento che di solito non dava alcun problema, beh quel giorno evidentemente no. Non aveva idea di come descriverla, avrebbe detto che assomigliava a quando prendevi o davi la scossa a qualcuno o a qualcosa ma non ne era nemmeno sicuro, sapeva soltanto che una strana e piccola luce uscì dalla sua bacchetta e per lo spavento, la lanciò in aria.
     
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    Quando circa un mese prima era arrivata la lettera con il Gufo, a Clarissa era mancata la terra sotto i piedi. Ricordava chiaramente come, in quella mattina di quell'agosto decisamente afoso, si era trascinata in cucina con la voglia di vivere sotto i piedi. Il caldo era nemico della voce, questo era ben chiaro a chiunque avesse mai avuto anche solo l'intenzione di mettersi a cantare; le giornate di agosto, con quell'umidità e quelle temperature africane poco conciliavano il mood per mettersi a cantare. In definitiva, conciliavano poco il mood per dedicarsi a qualunque tipo di attività fisica. O a qualunque tipo di attività in generale.
    Per questo, aveva sceso mollemente le scale, mentre come ogni mattina, dopo aver bevuto copiosi sorsi d'acqua, provvedeva a mettere in moto le preziose corde vocali con esercizi semiocclusivi, così da svegliare la sua voce calda e melodiosa; era entrata in cucina ringraziando merlino e tutti i maghi in colonna che sua madre e suo padre fossero al lavoro, così che nessuno potesse anche solo lontanamente pensare di rivolgerle la parola, costringendola a parlare quando la sua laringe non era ancora ritornata in posizione dopo il sonno notturno e si sentiva la gola secca e arida, come il cuore di sua zia Mafalda.
    Quando si era seduta al tavolo, pronta per dare il via alla sua routine, l'occhio le era caduto su un bigliettino che sua madre aveva lasciato sul tavolo a farle compagnia

    Spero non ti dispiaccia, ma con tuo padre abbiamo aperto la tua posta. Siamo così fieri di te.

    Sperare che non le dispiacesse era come chiedere ad un dissennatore di rendere felici le persone. Che le dispiacesse che qualcuno ficcanasasse tra le sue cose era - per dirla con qualche parolone che casualmente conosceva - un eufemismo; la disturbava a livelli incredibili la sensazione sgradevole di qualcuno che, senza il suo consenso prestasse attenzione indesiderata alle sue cose. Le piaceva, tutto sommato, stare sotto i riflettori e che gli altri si interessassero di lei, ma alla fine della fiera era comunque dal suo giudizio e dalle sue valutazioni che il corpus di informazioni che la riguardavano poteva essere divulgato. Era lei, quindi, che decideva cosa e quanto condividere con il resto del mondo, e soprattutto le modalità e i tempi.
    Sbuffò sonoramente mentre accartocciava il bigliettino vergato dalla calligrafia di sua madre, alzandosi dal tavolo per andare verso il frigorifero e versarsi un bicchiere di succo all'ananas. Tornò, pestando i piedi a terra con la stessa grazia di un elefante, con l'indignazione che continuava - fomentata dal circolare monologo interiore tutto fatto di "ma come si permette?" "Ma chi si crede di essere?" "Come osano?" "Spero non ti dispiaccia... ficcati un manico di scopa su per il naso, poi vediamo se non ti dispiace" - a montarsi come soufflé alla zucca, e si trovò immediatamente di fronte alla lettera di Hogwarts.
    Che cosa poteva essere successo? Aveva ricevuto l'incarico come voce ufficiale della scuola? Avrebbe cantato finalmente l'inno al banchetto, al posto di quel coro di gente stonata, senza essere punita per il servizio reso a Hogwarts?
    Anche perché, di attestazioni di stima da parte dei suoi genitori ne aveva ricevute ben poche, probabilmente in un numero che sarebbe potuto stare nel conto delle dita delle due mani. O forse anche di una.
    Cosa poteva esserci di diverso quella volta?
    "Oh cazzo" sussurrò non appena il contenuto della busta cadde sul tavolo.


    *********************

    Il peso della spilla da Caposcuola le sembrava un macigno appuntato al petto della sua divisa. Le sembrava di camminare con un'escrescenza estranea che continuava a muoversi a ritmo dei suoi passi cadenzati, mentre con malagrazia si faceva strada tra la folla di gente che popolava, come ogni anno, il binario 9 e 3/4, in preda ad una frenesia che stentava a capire e che sembrava non ricordare.
    "Poveri sciocchi, non sapete a cosa state andando incontro." sussurrò, grave, mentre passava accanto a due ragazzini eccitati oltre il limite del consentito, a giudicare dai decibel prodotti da quelle voci ancora puerili. Non era sicura che l'avessero sentita, ma poco le importava; tirava dritta per la sua strada. Bionda. Bella. Audace.
    E questa era Clarissa Hopkirk. Grifondoro, settimo anno, Caposcuola.
    Caposcuola.
    Ancora faticava addirittura a pronunciarla quella parola tanto le sembrava inverosimile e surreale.
    Ma non c'erano errori, la lettera che Fox le aveva inviato parlava chiaro, e avrebbe fatto meglio ad abituarsi prima di subito, onde non finire come l'unico caposcuola a cui, in quegli ultimi anni, era stata revocata la spilla; le gesta di Rhysand - homangiatopusdibubotubero - Logan erano state l'argomento di pettegolezzo e di presa per i boccini principale per un numero imprecisato di mesi, tanto che erano state coniate anche locuzioni ad hoc - come apostrofare qualcuno con "la spilla del mio Logan" per indicare una sparizione personale in una relazione sentimentale ben riuscita e repentina da non lasciare tracce - e che ogni tanto veniva ricordato come un avvenimento talmente iconico da costituire una pietra miliare nella narrazione studentesca della sua generazione.
    E visto che non aspirava a diventare Hogwart's Next Zimbello, Clarissa Hopkirk si era motivata da sola allo specchio quasi ogni sera, mentre applicava i suoi prodotti per la cura della sua meravigliosa pelle, prima di andare a dormire aveva riflettuto, calmando la sua ansia con precisi esercizi di respirazione, passando in rassegna tutti i potenziali scenari, aveva stilato una lista di buoni propositi, che aggiornava continuamente in ogni momento libero della giornata.
    Insomma, era equipaggiata, almeno in teoria, di tutto ciò che l'avrebbe resa la Caposcuola più amata e splendente di tutti i tempi; laddove gli altri erano stati solo temuti, lei sarebbe stata un faro di speranza al servizio dei meno fortunati, che avrebbe traghettato il corpo degli studenti verso un futuro in cui sarebbero stati esattamente la migliore versione di loro stessi. E, i canoni in base ai quali il giudizio si imperniava, erano quelli che lei aveva individuato in anni di contemplazione e ricerca del bello e dell'ideale artistico
    "Se porti il borsello, nessuno vorrà il tuo fringuello" disse, mentre si faceva strada tra gli studenti nel corridoio del treno, apostrofando un giovane Corvonero del terzo anno, che aveva avuto la malaugurata idea di salire a bordo con un agghiacciante borsello a tracolla. Inguardabile.
    Scosse la testa, sorridendogli appena con sussiego, prima di carpire con il suo orecchio perfetto dei rumori che venivano dal fondo della carrozza.
    Un gruppetto di studenti era raccolto fuori dalla porta, in attesa che qualcuno uscisse dal bagno.
    "Si può sapere cosa sta succedendo?" disse, camminando impettita, con il suo seno prosperoso proteso in avanti, invitando i presenti a notare la spilla appuntata perfettamente. "Baby Logan, perché ogni volta ti trovi in queste situazioni sconvenienti?" disse, rivolta al suo animaletto da compagnia. Lo squadrò dalla testa ai piedi silenziosamente, tamburellando con le dita sulla coscia. "Come diamine ti sei conciato? Ma ti sembra il modo?"
     
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