Halloween Party

Halloween 2041

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    31 ottobre, ore 21:00


    HALLOWEEN PARTY ALLA TESTA DI PORCO.
    IL MIGLIOR COSTUME VINCE UN BUONO DI QUINDICI GALEONI DA SPENDERE ALLA TESTA DI PORCO
    VI ASPETTIAMO ALLE 21:00

    Ingresso: 2 galeoni.




    Solitamente la elettrizzava quella notte, l’agitazione e la felicità prendeva talmente il controllo su di lei che le era impossibile restare ferma.
    Non lasciava tregua a nessuno, perché non appena iniziava settembre che già lei pensava ai preparativi per la festa, chiedendo a chiunque da cosa si sarebbero vestiti quell’anno per esempio o rompendo le scatole ad Edward chiedendogli se anche quest’anno sarebbero stati loro a tenere la festa di Halloween, dato che oramai avevano il primato per le migliori feste.
    A inizio ottobre Harriet tirava giù gli scatoloni con le decorazioni per il numero quindici, addobbando la casa con parecchio anticipo ad ogni buco di ora di libera che le restava, mentre la casa iniziava ad odorare di zucca e cannella più del previsto. Adorava sentirsi male per quanta zucca mangiasse al giorno, adorava vedere Benjamin cucinarle ogni dolce immaginabile con la zucca mentre lei assaggiava ogni impasto, decorando alla fine insieme a lui i dolci che poi quel tardo pomeriggio o sera avrebbero mangiato tutti e tre insieme.
    Adorava il momento dell’anno in cui vedeva il pub pieno di studenti mentre chiacchierava discutendo dei costumi, abituata a vedere il volto di ormai ex studenti che la invitavano al tavolo per chiacchierare qualche minuto, sotto lo sguardo vigile del proprietario che ormai non sapeva più che fare con lei. Nemmeno il Quartier Generale si salvava da lei, come iniziava ad addobbare casa sua, capitava la stessa sorte anche al Ministero, appiccicando qualsiasi cosa immaginale ignorando i commenti altrui.

    Era un’euforia che con il tempo si dissolveva da sola, a piccoli pezzi, così da ignorare tutti i campanelli d’allarme per mancanze che magari l’anno precedente non avrebbe mai dimenticato; iniziava sempre con piccole tradizioni che si era impostata di mantenere, dicendo a se stessa che purtroppo il tempo a disposizione era sempre di meno e che se non lo faceva quel giorno, l’avrebbe fatto quello dopo, poi cominciava gli addobbi, la quantità di dolci da comprare, la poca voglia di vestirsi in qualcosa di assurdo quando magari si era abituati a stare ore ed ore a decidere i minimi dettagli.
    Non voleva essere così.
    Non voleva dimenticarsi di appendere gli striscioni in ogni angolo della casa, teschi finti e paurosi al di fuori dall’appartamento, saltellare da una parte all’altra perché non vedeva l’ora di dare i dolci. Voleva ancora fare i muffin alla zucca con la glassa allo zucchero a forma di fantasmino, i biscotti al cioccolato a forma di ragno, tagliare la faccia alle zucche con espressioni una più buffa dell’altra.

    Per questo Harriet aveva creato all’ultimo una quantità industriale di volantini, appendendoli e inviandoli a chiunque conoscesse, invitando amici e amici di amici a quella serata improvvisata in nemmeno due ore all’orario di apertura. Avevano bisogno di una svolta, tutti quanti loro, una svolta verso ad un giorno migliore rispetto a quello schifoso e attuale perché così non poteva andare avanti, lei in primis non poteva andare avanti; forse non era brava quanto Edward a preparare le famose feste alla Testa di Porco ma si era impegnata, per quel poco che aveva fatto.
    Aveva addobbato al meglio il locale come poteva, aiutandosi con la magia anche se le piaceva fare questo tipo di cose alla babbana: finte ragnatele vennero attaccare in ogni angolo del soffitto, palloncini di ogni forma riempivano il pavimento, una piccola nebbia giusto per rendere un po’ tetro il pub e aveva cambiato la posizione dei tavoli lasciando un gran spazio al centro per ballare o semplicemente parlare. Di certo non mancava la musica e dal momento che Kowi si fosse preso il giorno libero, la Campbell ebbe a pieno diritto cosa far ascoltare ai clienti.
    “Non è male, vero?”scese dalla sedia, appendendo l’ultimo strato di tulle attorno ad una colonna, voltandosi verso l’elfo Ennon con un piccolo sorriso sul volto “Insomma, per averlo organizzato all’ultimo” continuò non capendo ancora dopo quattro anni, le espressioni facciali del cuoco del pub. Forse era un po’ basic o poco addobbato ma chissene frega però l’americana, l’importante era che i clienti avessero abbastanza alcool e cibo da non curarsi delle decorazioni no? “Lo prenderò per un sì” disse incamminandosi verso il retro bottega, dove l’attendeva il costume che aveva scelto per quella sera.

    Alle nove meno dieci, nel suo costume da Wonder Woman, Harriet controllò che tutto fosse a posto: c’era un tavolo con il buffet ovvero tutto il menù del pub in porzioni ridotte, con vecchie chicche delle feste precedenti. Ennon, che se ne stava in cucina, le aveva assicurato che non avrebbe fatto mancare il cibo agli invitati se solo lei si fosse occupata di portarlo ogni volta nella sala e così avrebbe fatto. Aveva preparato anche una bacinella enorme di sangria e due di vino, sia bianco che rosso, così che per i cocktail andassero come sempre al bancone chiedendogli a lei.
    Si morse appena l’interno della guancia, controllando tutto quanto da capo, sperando che tutto quello non fosse un enorme fallimento.
    “Ti prego, non sii un fallimento” mormorò a voce bassa, incrociando le dita prima di avvicinarsi alla porta d’ingresso, aprendola con un gran sorriso impresso sul volto.
    Lo stesso che non le si vedeva addosso da mesi.

    Aveva bisogno che non fosse un disastro quella festa.
    Aveva bisogno di vedere i suoi amici lì a divertirsi.
    Ne avevano bisogno tutti quanti.

    ____________________________________________________

    Unica regola: divertitevi.
    Scrivete per divertirvi, facciamo festeggiare questi poveri personaggi facendoli uscire da questo buco nero enorme.

    Se no Harriet piange.

    Grazie.
     
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    L'orario di inizio della festa di Halloween era passato da almeno una mezz'ora, ma Malcolm Bowie aveva una seria giustificazione per essere "in ritardo" sulla tabella di marcia: con Paprika partita per la corte di Francia (?), ovvero a casa dei Le Miel a Valensole, l'energumeno di Leith si era ridotto all'ultimo (matematico) per decidere il costume che lui e sua figlia Marceline avrebbero esibito alla Testa di Porco. Dunque, niente di troppo elaborato: se c'era di mezzo la bibliotecaria, si riusciva a costruire qualcosa di sensazionale ma, in sua assenza, i gusti dubbi dello sbirro, così come la sua indole pressapochista, prendevano il sopravvento e quindi... ci si arrangiava con quello che c'era. Inoltre, avendo saputa della festa organizzata da Harriet poco prima del grande evento, non aveva avuto il tempo materiale per essere originale: si era infilato dei pantaloni della tuta scuri e una casacca a righe orizzontali bianche e nere, aveva indossato gli anfibi ed aveva optato per un cappello striato, abbinato alla maglia. Siccome era sprovvisto di maschera, aveva incaricato Jo di truccargli la faccia in maniera tale da simulare la forma ellittica di una mascherina da ladro ed ecco l'innovativo costume: si era travestito da... delinquente? Un soggetto che teoricamente entrava in contrapposizione con il suo ruolo da rispettabile Capo Auror ma che, invero, rifletteva lo spettro del ragazzo del molo, ovvero Bowie ai tempi della gioventù bruciata. Il costume, dozzinale così come l'uomo che lo sfoggiava, veniva sicuramente impreziosito dalla presenza della bimba di un anno e mezzo: le aveva messo addosso un piccolo sacco di juta e, non contento, aveva scarabocchiato sulla parte anteriore il simbolo del dollaro. Il trash imperava nella dimora di Dean Village e la cosa pareva non disturbarlo affatto.

    Giunto davanti all'ingresso del locale che, in passato, aveva ospitato molte delle sue serate di puro sfascio, Malco aspirò dalla sua sigaretta al cioccolato - insomma, c'era una marmocchia con lui e non voleva certo bloccarle la crescita con il fumo passivo - e ruotò il volto truccato in direzione di quello paffuto e adorabile della sua progenie: -Sei un sacco carina, March. Cioè, sei un... sacco. Letteralmente, cazzo.- mormorò con poca convinzione, suscitando nella bimba una risatina divertita. Non che capisse cosa stesse farfugliando suo padre, ma trovava buffa i suoi baffi, al punto da decidere arbitrariamente di appendervisi con entrambe le manine. Il Grizzly imprecò senza voce, strabuzzando le iridi oceaniche sul musetto di Marcellina, prima di sbuffare dalle narici e rinvigorire la presa che la teneva comodamente in braccio: -Vediamo cosa ha organizzato la zia Harrie?- aggiunse conciliante, prima di premere le brutte dita mancine sulla porta di ingresso e spingere, in maniera tale da poterla oltrepassare.

    -Vice-Capo Campbell!- tuonò il bestione, adagiando Marceline con i piedini a terra, in maniera tale che potesse goffamente muovere qualche passo da sola -E' questo il modo di lavorare al caso Steinfield?- rimproverò scherzosamente, avvicinandosi alla yankee e stampandole un bacio sulla guancia -Chi hai intenzione di acchiappare al lazo, stasera?- domandò, alzando le sopracciglia in uno scatto eloquente, riferendosi all'arma che comunemente soleva usare Wonder Woman, contro i suoi nemici. La piccola March, a quel punto, si aggrappò allo stivale rosso fiammante della sbirra, sorridendole dal basso.

    -C'è della ginger beer?- chiese, grattandosi la barba rossiccia, guardando in direzione del buffet. L'atmosfera spettrale c'era tutta, non voleva alimentarla con la peggiore versione di sé (ovvero, quella ubriaca marcia): stava facendo il bravo.

    -Prendo i soldi e scappo.- proferì, poi, acchiappando sua figlia al volo e portandosela in spalla come un vero sacco pieno zeppo di banconote profumate, dirigendosi verso una delle poche bottiglie di analcolico presente alla Testa di Porco, quella sera.
     
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    Vedere Harriet riemergere dalla sua personalissima nebbia era stato… inaspettato.
    Piacevole, certo, e di sicuro ci avrebbe messo la firma con il sangue pur di vederla sempre così attiva e motivata, ma era comunque riuscita a prenderla alla sprovvista.
    Aveva ovviamente fatto la sua parte per non farle calare l’entusiasmo, assicurandole che avrebbe partecipato alla festa nonostante fosse stata la mattina in palestra e fino a metà pomeriggio impegnata nel suo giro di ronda.
    Nei giorni precedenti le aveva dato una mano come poteva, per esempio improvvisando un disegnino carino da mettere sui volantini per non renderli troppo spogli e poi avevano fatto brainstorming sui costumi da indossare.
    Ci era voluto un po’, ma alla fine avevano scelto qualcosa della stessa “famiglia”: se Harriet aveva optato per la splendida Diana, Layla avrebbe partecipato al party indossando i panni di un’altra eroina di casa DC: Barbara Gordon aka Batgirl.
    Ci era voluta un’oretta abbondante per riuscire a entrare in tutto quel latex e un paio di shot di tequila per trovare il coraggio di uscire di casa fasciata in quel modo, ma alla fine era riuscita a raggiungere la Testa di Porco un po’ stanca ma tutto sommato contenta.
    Era passata veramente una vita dall’ultima volta che aveva partecipato a una festa così a Hogsemeade ed era moderatamente emozionata.

    All’interno del locale muoveva il capo e i fianchi a tempo di musica orbitando vicino ad Harriet e scambiando quattro chiacchiere con lei ma senza rischiare di distrarla troppo dal lavoro.
    Era così bello vederla un pochino… viva.
    Si era staccata dalla sorella solo quando aveva scorto un paio persone che non vedeva dai tempi Hogwarts. Tornò poi verso il bancone una volta terminato il classico giro di saluti e chiacchiere di rito varie ed eventuali, cercando di dissimulare il fatto che i suoi occhi viaggiassero spesso verso l’entrata del locale.
    Non che stesse aspettando qualcuno.
    E comunque non era importante.
    -Capo Bowie! Devo per caso attaccarla a un palo con il mio rampino?- domandò giocosamente, rivolgendogli poi un gran sorriso. Poco dopo, schiuse di nuovo le labbra con l’intenzione di salutare il suo superiore in modo un po’ più appropriato ma, in quel momento, gli occhi smeraldini della giovane si posarono sull’adorabile bottino che altri non era che Marceline e a quel punto persino Layla, che era convinta di avere lo stesso istinto materno di un moscerino della frutta, non riuscì a trattenere il moto di tenerezza che la travolse ammirando quella vista.

    -…Ooooohw… non fa niente, persino io lo ruberei questo bel bottino.- aggiunse infatti in direzione della piccola, rivolgendole un piccolo saluto con la mano.
    -Ciao Marceline!- aggiunse poi con un sorriso all’indirizzo della bimba, che conosceva abbastanza visto che di tanto in tanto la vedeva trotterellare per l’ufficio.
    Non era sicura che la piccola l’avrebbe riconosciuta con il viso per metà coperto, infatti per evitare di spaventarla decise di sollevare un po’ la maschera, in modo che potesse osservarla per bene ed eventualmente ricambiare il suo saluto.
    -Merlino, ci muoio dentro questo costume. La fatica per entrarci, oggi…- borbottò a nessuno in particolare o forse sempre al suo capo. Sarebbe dovuta tornare dai suoi coetanei, ma praticamente si erano tutti presentati accoppiati e non le andava di reggere il moccolo proprio a nessuno.
    Afferrò un tovagliolo e iniziò a usarlo per farsi vento, stavolta guardando direttamente il suo superiore.
    -Sa, è bello vederla qui. Credo che Harriet fosse convinta che questa festa sarebbe stata un fiasco, invece non sta andando male. Perciò… grazie per essere venuto. È bello vederla di nuovo darsi da fare così.-
    Lanciò un’occhiata alla sorella maggiore e poi di nuovo a Bowie, accartocciando un pochino il tovagliolo tra le dita esili della sua mano prima di guardare di nuovo Harriet e sorriderle incoraggiante.
    Era una bella serata.
    Sarebbe andato tutto bene.
     
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    -Capo Bowie! Devo per caso attaccarla a un palo con il mio rampino?-



    -So' innocente!- esclamò in prima battuta, ancora di spalle. L'attenzione del presunto criminale si spostò automaticamente sulla proprietaria della voce che aveva appena parlat, a lui decisamente familiare: una delle sue reclute più brillanti aveva deciso di sfidare le leggi della fisica e della magia, infilandosi dentro un costume in latex talmente aderente da sembrare appena uscita spoglia di qualsivoglia indumento da una vasca di petrolio. Si trattava di Layla Lungbarrow, che aveva optato per un'altra eroina del mondo dei fumetti babbani e, insieme alla Campbell, catturava non pochi sguardi su di sé. Beh, Gotham era in mani (e rampini) sicure! Malcolm ruotò nella sua direzione con calma, mentre azzannava una pizzetta (ne andava matto, era ormai risaputo dalla festa di Natale al Ministero dell'anno prima) e, i baffi rossastri, si mossero in concomitanza con il suo stirare le labbra in un sorriso placido.

    -Arzo le mani.- proferì in segno di fiacca resa, finendo di masticare per poi alzare solo una delle brutte mani in alto, visto che l'altra era occupata a sorreggere il bottino senziente. Bottino che la vigilante mascherata non esitò a individuare e che, in risposta, spernacchiò rivelando la sua natura umana: Marceline agitò tutte e dieci le piccole dita verso l'aspirante sbirra, per nulla spaventata e anzi, interessata a sollevare lei stessa la maschera, per individuare la reale identità di Bat Girl: - Tao! - il timbro vocale infantile della piccola March venne accompagnato dal movimento della minuscola e paffuta mancina che, stringendosi a ripetizione, simulò il saluto. La bimba stava palesemente copiando il padre che, attraverso la sua mancina, decisamente più grande, scarabocchiata e rozza, compiva la medesima azione.

    -Braaava. Però, amò, mai visto un sacco di juta parlante.- asserì con la soddisfazione tipica del genitore che crede che il proprio figlio sia un genio (insomma, Marcellina stava cominciando a parlicchiare e, per lui, era un evento alla stregua di una vittoria degli Hibs), per poi tornare sulla Lungbarrow che, nel frattempo, si stava sciogliendo come un ghiacciolo al sole. Ettecredo, con quella guaina incollata alla pelle era già un miracolo che riuscisse a respirare: -Boh, La', a me m'hanno sempre insegnato a mettermi il talco sulla pelle prima di infilarmi le robe di pelle... quindi, ti sei infarinata a dovere?- domandò divertito, ripensando a quella volta di molti anni prima in cui, in compagnia di Vinnie, era finito per replicare la famosa puntata di Friends in cui Ross decide di indossare dei pantaloni di pelle per un appuntamento. Anche se, in verità, Bowie se li era messi perché gli piacevano e perché aveva sperato di abbinarli a del godibile BDSM, ma tant'è.

    -Sa, è bello vederla qui. Credo che Harriet fosse convinta che questa festa sarebbe stata un fiasco, invece non sta andando male. Perciò… grazie per essere venuto. È bello vederla di nuovo darsi da fare così.-



    Le parole della sua sottoposta lo invitarono a spostare lo sguardo ceruleo su Harriet: era vero ciò che diceva la giovane strega. Il lutto che l'aveva rosicchiata per tutto quel tempo, subiva i tentativi da parte della yankee di tornare a vivere in maniera vagamente più serena. Lui la capiva perfettamente: quando Beth era morta tra le sue braccia, ci aveva messo anni per superare quella sorte di sindrome dell'arto fantasma in chiave emozionale. Notare che Harrie tentasse con tutta se stessa di cavarsi fuori dal buco, con le sue forze, inorgogliva l'amico e lo rincuorava in parte. A contribuire a quel percorso di guarigione, a detta sua, c'era la vicinanza proprio della Lungbarrow.

    -Non potevo mancare... voglio bene a quella ragazzaccia. E' come 'na sorella, pe' me.- esalò, scrollando le larghe spalle foderate dalla casacca a righe, mentre allungava a Marceline, con delicatezza impropria, un biscottino a forma di zucca. La bambina lo agguantò con foga, portandoselo tra le labbra rosee. Questo, mentre a Ziggy veniva una sorta di illuminazione: la sua espressione si accese e, di conseguenza, l'arcata sopraccigliare salì verso l'alto.

    -Beh, m'è stato detto che pe' te lo è davvero, 'na sorella, intendo. Credo che questo abbia influito sul suo umore.- sorrise, inconsapevole del fatto che quelle parole avrebbero potuto scatenare un putiferio. Forse, la prima vera e propria tempesta in quel rapporto appena fiorito.
     
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    Era bravissima a mentire.
    Mentiva a chiunque la guardasse in faccia, mentiva a Layla, mentiva a Norman, a Benjamin, a se stessa.
    Mentiva a sua madre, anche se non la sentiva da settimane se non mesi, mentiva persino ai propri vicini di casa, affermando che stesse bene. Che lei stava tornando ad essere felice, che l’aveva superata.
    Mentiva anche in quel momento auto-convincendosi che stesse bene, che andava tutto bene, che pian piano anche lei finalmente stesse andando avanti, proprio come tutti quanti. Perché come poteva fare altrimenti? Era già un cadavere senza tutto quel trucco, senza quel finto sorriso che si auto spalmava sul proprio viso, a quella falsa voglia di avere gente intorno a tal punto da voler a tutti i costi che quella festa andasse al meglio perché era la sua ultima risorsa.
    Sapevano che amava le feste, che adorava divertirsi, che adorava stare in mezzo alla gente quindi perché privarsi di quello proprio in quel momento? Stava mettendo tutte le sue energie in quella festa quasi come se ne dipendesse della propria vita, come se quel piccolo evento sociale fosse l’ultima cosa per provare realmente ad andare avanti.
    Quindi doveva andare bene, quella festa doveva andare bene ad ogni costo, perché non aveva più carte da giocare.

    Attendeva l’arrivo degli invitati con nonchalance, finendo di sistemare le ultime cose fingendo che il suo corpo non fosse rigido a tal punto da fare male, sentendo un dolore finto dentro di sé e su di sé come se le ferite fossero nuovamente aperte, come se stesse nuovamente sanguinando sul pavimento della locanda e solo la gente lì presente avrebbe fermato quel fiume rosso che pian piano la svuotava, ricucendo quelle ferite che la stavano lacerando ancora una volta, soltanto grazie alla loro presenza.
    Doveva essere totalmente impazzita per credere tutto ciò.
    Probabilmente Raynard, ovunque si trovasse quel bastardo, se la rideva per come l’aveva ridotta, lì in mezzo a tutti quanti a dover rincollare i minuscoli pezzettini che lui aveva distrutto, sacrificandosi per salvarli.
    Che cazzata.
    Che gran cazzata sacrificarsi in quel modo, tanto non è lui quello che piange la sua scomparsa, no?

    In quel momento fu grata che nessuno potesse vederla dietro al bancone, di come stesse torturando quel povero limone a causa dei suoi pensieri, non si accorse nemmeno che Enon fossi uscito dalla cucina, l’avesse guardata per poi soffermarsi sul coltello capendo che forse era meglio lasciarla con i suoi pensieri.
    Non le importava nemmeno di come avesse tagliato male quel limone che nuovamente si stampò un sorriso sul volto quando sentì finalmente le prime voci riempire quel silenzio tombale, nonostante la musica, sorriso che pian piano divenne un pochino più verso quando dopo un eternità, vide la figura di Malcolm e della sua bambina fare la loro entrata.

    “Dato che i tuoi agenti archiviano da schifo le prove, direi di si” disse abbandonando temporaneamente altri volti per dedicarsi a lui. Non era una novità che da quando mise piede fuori dall’ospedale la voglia di tornare sul campo fosse più bassa di quella essere nuovamente in vita, forse per il trauma o per la paura.
    Non ne aveva idea del motivo per cui non riuscisse a tornare in azione, pensava che sarebbe stato temporaneo starsene dietro una scrivania tutto il giorno, finendo i protocolli e consegnare casi su casi, credeva che bastasse solo il tempo di guarigione e poi sarebbe tornato tutto alla normalità.
    “Ancora una settimana” ripeteva in continuazione, soprattutto a Malcolm. Un’altra settimana e poi avrebbe abbandonato il lavoro da ufficio, un’altra settimana e sarebbe tornata sul campo.
    Erano passati quattro mesi.
    Arricciò il naso quando sentì il bacio sulla guancia, lasciandosi sfuggire quel piccolo suono tanto simile ad una risata prima di abbassa lo sguardo “Ma guarda chi c’è.” Mormorò ignorando le parole di Bowie, perché ogni volta che posava gli occhi su quella piccola e magnifica creatura, tutto svaniva.
    “Non lo so ancora, magari potrei prendere un piccione cattivo” rispose tornando a guardarlo “O un bel sacco pieno di soldi” disse tornando a guardare le bambina, accarezzandole dolcemente i capelli.
    “Certo che c’è, per chi mi hai preso?” Borbottò inarcando il sopracciglio, mostrandoli sul tavolo che aveva preparato ciò che cercava “Ci vediamo dopo, vado ad accogliere gli altri clienti”.

    ***


    Detestava aver torto, nemmeno sotto tortura avrebbe mai detto di aver torto ma quella sera, ne fu felice.
    La Testa di Porco era piena di gente, continuava a salutare e offrire drink a chiunque riuscendo a staccarsi dal bancone solo qualche secondo prima di tornare al lavoro; per sentire ciò che desideravano doveva sporgersi e farsi sussurrare all’orecchio perché con la musica e tutto quel chiacchiericcio era impossibile sentire. Non riuscì nemmeno a godersi sua sorella e loro breve conversazione silenziosa che doveva tornare al lavoro, riuscì solamente a guardarla dalla testa ai piedi per poi farle un sorriso a pieno volto, nonostante fosse convinta di non saperlo più fare, prima di farle l’occhiolino in totale approvazione.

    Forse aveva bisogno solamente di questo, di vedere la gente intorno a sé felice per esserlo nuovamente. Forse doveva riprendere ad uscire un po’ di più o tornare a rischiare come tutte le volte.
    Doveva esserci la soluzione in mezzo a quella folla, perché cosa avrebbe fatto altrimenti?
     
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