A Sprain for a favor

A.S - Mayfair House, Carlos Place

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    continua da qui



    Emise un lieve sospiro, gli occhi freddi come il ghiaccio che gli diedero il permesso di distogliere lo sguardo per qualche istante dalla figura in difficoltà, posandosi sul panorama circostante. La main street era trafficata, come sempre, ma non quanto lo era abitualmente, probabilmente il brutto tempo faceva preferire i luoghi riparati e asciutti rispetto alle passeggiate in mezzo alla strada, per non parlare del rischio di trovare le strade scivolose e finire come la signorina Smith in quel preciso istante, ma era comune un clima piovoso in quella parte del globo perciò non c’era da meravigliarsi, quello che non comprendeva era perché nessun dipendente della banca si fosse mosso al fine di evitare incidenti del genere.
    Non erano questi i soliti pensieri che annebbiavano la sua mente, infatti furono pochi istanti di totale follia e disattenzione per uno come Calahan Shafiq, il quale non si accorse in tempo che tirare su Alice Smith non bastava affatto.
    Il problema non fu la violazione del proprio spazio personale, ma fu più a come le sue mani si posarono sui fianchi della donna per tenerla saldamente in piedi, delle sue dita che si conficcarono probabilmente un po’ troppo bruscamente nelle costole di Alice Smith per la sua svista, dimenticandosi totalmente dell’ombrello caduto a terra.
    -Dovrebbe aspettare ad esultare- mormorò piano, gli occhi chiari che corsero a studiare ogni centimetro sul suo viso prima di focalizzarsi sulla caviglia malandata.

    Era strano e inusuale vedere Alice Smith in quello stato, un po’ vulnerabile e con il controllo che le era scivolato totalmente dalle mani, per non parlare del fatto che si stesse bagnando ancora di più sotto la pioggia; adorabile sarebbe stato l’aggettivo adatto per descriverla, lo stesso aggettivo che la sua segretaria utilizzava praticamente per qualsiasi cosa.
    “Signor Shafiq, ho visto questo porta penne in un negozio adorabile, non trova anche lei?”
    “Non è adorabile il signor Douglas? Ha portato una torta fatta da sua moglie”
    “Oh signor Shafiq, quegli occhiali sono adorabili”

    L’apatia e il nervoso che spesso alloggiava sul volto di Calahan erano sempre ad un livello elevato per tutte quelle volte che sentiva quella parola uscire dalle labbra della donna, tant’è che molte volte aveva pensato di vietare completamente quel sinonimo all’interno del proprio dipartimento. Come un vecchio dittatore seccato dai civili poveri che richiedevano costantemente qualcosa.
    Però, nonostante la pazienza di Cal si trovasse sotto lo zero, adorabile era una descrizione perfetta per la situazione attuale della Smith.
    -Una fonte di disturbo? Deve aver battuto anche la testa per ammettere una cosa del genere- mormorò, probabilmente divertito da quella situazione anche se non ne comprendeva il motivo –apprezzo il tentativo ma dubito che ne sia capace- continuò, sempre con quel tono di voce meno gelido e composto che tutti –compreso lui- erano abituati ad ascoltare e anche se minuscolo, l’ombra di un piccolo sorriso sarebbe apparso sul volto spigoloso dello Shafiq.
    -In realtà cercavo lei, ma a quanto pare mi ha preceduto di qualche minuto- disse, ignorando stranamente tutto ciò che aveva intorno –Si tenga, signorina Smith- aggiunse nuovamente, la pioggia che cadeva sulle loro teste distruggendo la capigliatura perfetta e composta di Calahan. Per essere uno che calcolava anche il movimento del proprio corpo, in quel preciso istante il primogenito non pensò assolutamente a nulla, seppe soltanto che l’ombrello non rientrò più tra i suoi pensieri perché in quel momento ebbe altro in testa; con movimenti fluidi si piegò quel poco necessario per far scorrere una mano, ancora fissa sul fianco di lei, verso le gambe e portando l’altra sulla sua schiena, afferrandola come una giovane neo sposa.
    Si girò verso la strada, scendendo quei pochi scalini restanti, osservando le opzioni che aveva attorno a sé e la delusione era così tangibile sul suo volto che non servì nemmeno parlare.

    -Si fida di me?-
    Quattro semplici parole rivolte esclusivamente a lei, occhi freddi come il ghiaccio impressi su occhi azzurri e limpidi come un lago cristallino, in attesa. Non gli importava quanto la pioggia stesse impregnando i suoi vestiti, di come ogni goccia sciogliesse quel portamento rigido e serioso per pochissimi istanti, Calahan avrebbe atteso il suo consenso prima di andare avanti.

    ***



    Quindici secondi.
    Come sempre la Penthouse era buia e silenziosa, fermo immobile a metro di distanza dalla porta di ingresso, Calahan camminò silenzioso verso il divano, ignorando il lieve buio dell’abitazione.
    Dieci secondi.
    I passi bagnati marchiarono il pavimento e infine il tappeto ma poco importava perché gli restarono ancora pochi secondi prima che l’allarme partisse e dal momento che non era passato dalla Hall come tutte le volte, doveva comportarsi come un intruso nella propria dimora. Lasciò cautamente Alice sul divano così che potesse andare liberamente verso l’ingresso, aprì il piccolo sportellino bianco cinque secondi, digitando il codice all’ultimo secondo.
    Niente allarme.
    Nessune future domande scomode.

    Accese le luci del salotto e senza fermarsi o togliersi il cappotto bagnato, si avviò verso la cucina open space aprendo un frizer di dimensioni imbarazzanti, recuperando l’alimento più freddo che avesse. Prese uno strofinaccio che aveva l’aspetto di non essere mai usato e tornò nel salotto.
    –Dove ti fa male?- avrebbe chiesto, in ginocchio, davanti a lei.
     
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    Sebbene, dopo il loro burrascoso primo incontro, le interazioni con Calahan Shafiq fossero state sempre piuttosto sporadiche, ogni qual volta le loro strade si erano incrociate Alice non aveva potuto fare a meno di domandarsi come sarebbe stato far perdere all’uomo quel suo imperturbabile aplomb.
    Sembrava che il maggiore degli Shafiq fosse del tutto incapace di scomporsi, il che era una dote che di solito Alice ammirava negli uomini. Tuttavia, non avrebbe saputo dire per quale motivo, ogni qual volta i suoi occhi incrociavano quelli di ghiaccio di lui, non poteva fare a meno di domandarsi come sarebbe stato fargli perdere il controllo.
    Non era tuttavia per quel motivo che la giovane Smith gli era praticamente crollata tra le braccia ma, nonostante tutto il trambusto, fu sorpresa di sentire quanta pressione fosse in grado di esercitare su un corpo esile come il suo.
    Fu una fortuna, in effetti, o avrebbe rischiato di finire nuovamente con il sedere sul marciapiede scivoloso o di trascinarlo addirittura giù con lei.

    -Una fonte di disturbo? Deve aver battuto anche la testa per ammettere una cosa del genere-
    Nonostante il dolore pungente alla caviglia, quella frase riuscì a far sfuggire una specie di risata dalle labbra della Smith.
    -Ammettere? Quindi pensa davvero che io sia sempre un disturbo? Questo non è cortese.- replicò, mentre cercava di tornare in equilibrio sulla scarpa buona e di guadagnare qualche altro centimetro di spazio vitale.
    Fu in quel momento che lo sguardo di Alice trovò di nuovo quello gelido dello Shafiq e, con sua grande sorpresa, sul suo volto non trovò l’espressione piatta e indifferente di sempre, ma una decisamente più calda e divertita.
    Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere a che cosa stesse pensando in quel momento, visto che non sembrava neanche badare al fatto che la pioggia gli stesse appiattendo tutti i capelli sulla fronte o che, quasi sicuramente, le gocce di pioggia stessero scivolando all’interno del colletto inamidato della sua camicia.

    Non ebbe molto modo di pensarci a dire il vero, perché non ci vollero che pochi momenti prima che Calahan decidesse di prendere in mano quella situazione assurda.
    Il sollievo provato dalle sue gambe nel momento in cui non dovette più caricarci il peso del suo corpo fu surclassato solo dalla consapevolezza che Calahan Shafiq in persona l’avesse presa tra le braccia come se fosse stata una principessa da portare in salvo.
    Alice, una volta tanto, era rimasta praticamente senza parole.
    Non sentiva nemmeno più particolarmente male alla caviglia: la scarica di adrenalina aveva soffocato ogni altra sensazione e tutto ciò che riusciva a percepire era il palmo ampio di Calahan nella arte bassa della sua schiena e il sentore di dopobarba costoso che veniva dal suo viso.
    Si piegò appena in avanti prima che potesse fermarsi: il desiderio di poterlo sentire meglio aveva avuto la meglio sul suo autocontrollo.
    Si fermò in tempo per fortuna: finse di dover sistemare meglio le braccia intorno alle sue spalle e poi tornò dritta, dandosi mentalmente della sciocca per aver ceduto a quell’istinto così puerile.
    Merlino, non aveva mica l’età di Edith!

    Quando gli occhi algidi e freddi di Calahan si posarono di nuovo su di lei, Alice fu sicura di arrossire come una ragazzina.
    Per un solo, folle, momento, pensò che in qualche modo l’uomo avrebbe potuto intuire i suoi pensieri e si sentì colta in fallo, come una bimba.
    -Sì… certamente. Mi fido.- rispose poi, quando capì che le stava chiedendo il consenso probabilmente per portarla altrove. Ciò che la colpì fu soprattutto la fermezza con cui lo fece, imperturbato dall’acquazzone che non sembrava intenzionato a dare tregua ai due sfortunati avventori di Main Street.

    ***



    Quando la fastidiosa sensazione di spaesamento data dalla Materializzazione congiunta si dissipò del tutto, Alice si rese conto che non era più tra le braccia di Calahan Shafiq, ma su di un tessuto morbido e piacevole al tatto che sembrava appartenere a un divano.
    C’era odore di pulito intorno a sé e, mentre sentiva i passi dell’uomo allontanarsi, Alice cercò di mettere a fuoco quanti più particolari possibili di quello che, ne era certa, fosse l’appartamento di lui.
    Riuscì a sentire un bip bip bip lontano, come di tasti che venivano premuti su una tastiera e poi, finalmente, le luci si accesero, dandole modo di esaminare con più attenzione l’ambiente circostante.
    Ciò che la sorprese, ancora più forse di qualunque altra cosa fosse successa quel giorno (considerato che Calahan Shafiq si fosse presentato al suo ufficio per lei e che poi se la fosse portata in braccio fino a casa fossero già di loro due eventi di una certa importanza) fu che l’ambiente intorno a lei non era impregnato di magia come ci si aspetterebbe da una casa di una famiglia purosangue.
    No, era tutto elettrico, tutto… babbano.
    Come a casa sua.
    Pensava che le sue scelte fossero singolari, non le era mai capitato di mettere piede a casa di un Mago che non aprisse anche le porte sventolando la bacchetta.

    Avrebbe voluto dire qualcosa in merito, ma si rese conto ben presto che erano ancora tutti e due bagnati fradici e lei era anche ricoperta di fango.
    -Oh no… il divano… finirò per rovinarglielo…- si scusò immediatamente, provando a sollevarsi da esso per cercare di limitare i danni.
    Fu Calahan stesso a impedirle di andare oltre: con la stessa determinazione con cui l’aveva presa e trascinata via, adesso si era letteralmente inginocchiato davanti a lei, preoccupandosi solamente di posizionare quello che presumeva fosse ghiaccio avvolto in un panno sulla sua caviglia dolorante.
    Immediatamente una fresca sensazione di sollievo avvolse la sua gamba: non si era resa conto di averne bisogno fino a quel punto fino a quando non aveva sentito le mani di lui e il ghiaccio sulla pelle.
    -Sì ecco…- indugiò solo per qualche istante, stordita da tutte quelle novità insieme, dalla vista di Calahan letteralmente ai suoi piedi e dal tono informale con cui, finalmente, dopo tutti quei mesi, si stava rivolgendo a lei.
    -Un po’ più a destra…- indicò, per poi fare una smorfia quando la sfiorò proprio nel punto più dolente.
    Non si lamentò oltre però: poteva sopportare il dolore con dignità, fino a quel momento ne aveva buttato alle ortiche fin troppa.
    -Mi sento molto fortunata…- scherzò quando la sensazione tornò sopportabile. Aveva bisogno di sdrammatizzare e cercare di non pensare alle condizioni penose in cui versavano sia lei che Calahan a causa della sua sbadataggine.
    -…sono piuttosto certa che non sono molte le donne davanti alle quali ti sei inginocchiato.- continuò, curvando le labbra sottili in quel sorriso divertito e un po’ impertinente che faceva parte integrante della sua persona.

    Si portò una mano tra i capelli, sentendoli umidi al tatto.
    Merlino, doveva essere in condizioni peggiori di quanto poteva immaginare.
    Calahan invece era perfetto anche in versione pulcino bagnato… quanta ingiustizia al mondo!
    -Allora? Hai detto che mi cercavi. Cosa posso fare per te?- gli chiese, sfoggiando una sicurezza che in quel momento non credeva potesse appartenergli.
    -Dopo tutto questo, non credo affatto che potrei negarti un favore, qualunque esso sia.-
     
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    “Oh no… il divano… finirò per rovinarglielo…”
    In altre situazioni Calahan si sarebbe soffermato su quelle parole, su come quella frase uscì solenne dalle labbra della Smith dandole quell’estetica di donna desolata e un po’ indifesa. Probabilmente il volto dello Shafiq sarebbe rimasto impresso in quello della donna lasciando che innumerevoli secondi scorressero a vuoto in un silenzio imbarazzante, quasi come se Cal avesse voluto ridere o scherzare o addirittura provocarla per la sottomissione dovuta a quella semplice frase.
    Tutto ciò avrebbe portato probabilmente i due adulti a un battibecco equivalente a una partita di scacchi, continuando fino a quando il primo avrebbe proclamato lo scacco matto. In altre circostanze - e magari dopo qualche bicchiere di bourbon- lo Shafiq si sarebbe permesso persino di allentare un bottone della camicia, concedendosi quella ribellione soltanto perché dinnanzi a lui aveva qualcuno con cui sarebbe stato stupido muovere solamente i pedoni sulla scacchiera.
    Ma non fu quello il momento.
    A dire il vero, il motivo per cui Calahan si era recato fino alla banca venne trascinato e dimenticato in una parte buia della propria mente, concentrandosi solamente sulla caviglia dolorante della Smith.
    Ci fu un momento in cui poggiò il sacchetto congelato sul divano, fregandosene della pelle costosa da cui era rivestito, ignorando e anche rispondendo alla domanda della bionda senza nemmeno dover aprire bocca. No, a Calahan non importava nulla del suo divano super costoso, come dubitava che qualche goccia d’acqua potesse creare chissà quale danno, perciò Alice Smith poteva stare tranquilla e seduta, preoccupandosi più della propria caviglia che di uno sciocco mobile d’arredamento; in più, Calahan, era certo di far più danno lui poggiando il sacchetto congelato che la stessa Smith seduta sopra.
    In tutto ciò il padrone di casa potè liberarsi del cappotto che cadde alle sue spalle, creando un piccolo rumore causato dai bottoni che si scontrarono contro il cristallo del tavolino da caffè; allungò la mano verso il sacchetto congelato, avvolto dentro al panno, mentre l’altra mano si poggiava lentamente sul polpaccio della gamba incriminata della donna, sollevandogliela quel poco che bastava per distendergliela davanti ai propri occhi.

    Non aveva ancora aperto bocca, non che ce ne fosse bisogno visto che muoveva l’impacco di ghiaccio dove la Smith gli indicava il punto più doloroso, dimenticandosi momentaneamente della bacchetta che pigiava contro la propria costola. Da settimane si era ripromesso di andare a farsela controllare, ma gli impegni di lavoro aumentavano così tanto che il maggiore degli Shafiq faticava a trovare un minuscolo buco persino per una cosa di gran lunga importante come il proprio catalizzatore, ma davvero non ne aveva il tempo. E poi trovava assurdo il fatto che a volte si ritrovasse a dover stringere i denti perché la bacchetta non rispondeva alla magia o che faceva come accidenti desiderava. Semplicemente si rifiutava di credere che l’unica cosa di cui non avrebbe mai dubitato di perdere il controllo, gli stava sfuggendo di mano.

    Le iridi color ghiaccio tornarono sul volto della Smith, attente e allo stesso tempo in allerta, probabilmente dovuto a quel lieve suono che sfuggì alle labbra della donna non appena spostò il ghiaccio sul punto più doloroso -Non è gonfia…- disse finalmente, la voce bassa e piuttosto roca, quasi come se quel lungo silenzio gli avesse causato chissà quali dolori alla gola, abbassandogli la voce drasticamente. Distolse lo sguardo in quel momento, percorrendo la figura seduta sul suo divano fino alla caviglia distesa dinnanzi a lui -Credo dipenda dalla circostanza del momento…- mormorò nuovamente, innalzando appena l’angolo sinistro della bocca in modo divertito, ma restando composto, controllato e perfetto a tal punto da rendere tutto quanto una semplice illusione.
    -Potrei dire lo stesso di voi- continuò, sollevando lentamente le iridi sulle sue ancora una volta -Sono piuttosto certo che non sono molti gli uomini a vederla scivolare sulle scale- lasciò che il proprio capo si piegasse appena di lato, una mano ancora appoggiata sulla parte bassa del suo polpaccio di lei e l’altra mano sopra alla caviglia, il ghiaccio che li divideva di qualche centimetro nonostante le lunghe dita sfiorassero la sua pelle.
    E quel piccolo sorrisetto appena impercettibile, nuovamente visibile.

    “… Dopo tutto questo, non credo affatto che potrei negarti un favore, qualunque esso sia”
    Distolse lo sguardo brevemente, le iridi chiare tornarono nuovamente sulla caviglia nel momento in cui sollevò appena l’impacco, focalizzandosi più sulla pelle arrossata che alle parole della Smith.
    Più il tempo passava più quella sciocca richiesta che era sorta nella sua mente e che lo aveva condotto da lei, diveniva sempre più sciocca e infantile a tal punto da fargli scuotere appena la testa, probabilmente perché si vergognava di se stesso. Un piccolo colpo all’orgoglio di Calahan Shafiq, non era un evento che capitava tutti i giorni.
    -Non ci pensare- disse piano. Dimentica.
    Iniziò a sentirsi scomodo in quella posizione e il bisogno di nicotina divenne più pungente che mai a tal punto da sentire quasi, o forse si trattava di pura immaginazione, il bisogno di grattarsi il dorso della mano con forte insistenza -Era un’idea estremamente sciocca, nulla di cui tu ti debba preoccupare- bastarono solamente quelle parole per far si che Calahan rindossasse, ancora una volta, la maschera apatica e fredda con il quale era cresciuto. La stessa che lo avevano condotto fino a dove era arrivato oggi.
    Le sue dita scorsero lentamente lungo la sua gamba fino a toccare l’inizio della scarpa di lei, abbandonando l’arto ferito della donna quasi come se stesse lottando una guerra interiore; Calahan non aveva tempo dei capricci che il proprio catalizzatore sembrava rivolgergli, non aveva tempo di pensare o di dover ritrovarsi a dover riaggiustare qualcosa che prima non era rotto.
    Voleva solamente fumare.
    Fumare e aprire una delle sue più costose bottiglie di whiskey che possedeva, bevendo fino a sciogliere i muscoli tesi del proprio cervello, se solo fosse stato possibile.

    Spostò il peso sull’altra gamba, permettendo così alla mano libera di recuperare la bacchetta che teneva al proprio fianco, castando l’incantesimo basico di guarigione in modo non verbale. Ciò avrebbe dovuto dare sollievo alla Smith e dal momento che non urlava ne sentiva oggetti spaccarsi in chissà quale punto del proprio appartamento, significa che aveva funzionato.

    Si alzò da terra e, da cattivo padrone di casa il quale si stava dimostrando di essere, non aspettò nemmeno qualche secondo prima di recuperare il portasigarette che teneva nella tasca interna della propria giacca. Click.
    -Avevo un evento di lavoro questa sera- disse dopo qualche istante.
    Parlò dopo aver acceso la sigaretta.
    Dopo aver inalato abbastanza nicotina da fargli abbassare un po’ le spalle.
    Parlò quando si volse di spalle, puntando lo sguardo sulla gigantesca vetrata che affacciava sulla città inglese, focalizzandosi però sul riflesso della donna alle proprie spalle.
    -A certi colleghi piace puntare lo sguardo su qualcosa che non gli appartiene, ed è gratificante concludere gli accordi quando i loro occhi sono occupati su altro- portò la sigaretta nuovamente alle labbra, aspirando lentamente il fumo, senza mai distogliere lo sguardo dal riflesso.
    -Era un’idea sciocca, la mia, Alice. E per giunta di poca classe-
     
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